Il 17 settembre è scattato, per effetto della manovra, l’aumento dell’Iva. Sono passati dal 20 al 21% i detersivi, i giocattoli, le tv ma anche auto, moto, abbigliamento, scarpe, computer, vino, cioccolata, calzature e una serie di altri servizi. E da un giorno all’altro sono aumentati i prezzi. Dell’1%, penserà il più ingenuo. Non proprio. L’effetto dell’operazione, scattata per rimpinguare le casse dello Stato tra i 4 e i 5 miliardi l’anno, sta diventando un po’ più complessa. Soprattutto per i consumatori.
Le associazioni lo avevano annunciato: il rischio è un aumento indiscriminato dei prezzi. Tant’è. La benzina è subito volata a 1,7 euro al litro (per poi ripiegare: ieri oscillava tra 1,63 e 1,64 euro), le sigarette sono aumentate in media del 4%, con punte del 15% per il tabacco trinciato. Ma non solo. L’Adoc, l’associazione per la difesa e l’orientamento dei consumatori, ha preso carta e penna e con l’aiuto dei suoi volontari, ha monitorato alcuni negozi in tutta Italia prima e dopo l’innalzamento dell’aliquota. Il risultato? Oggi per fare un corso in piscina potremmo spendere al mese il 5,4% in più e per l’aperitivo con gli amici, aumenti del 3,2%. Certo, si tratta solo di un campione e alcuni prezzi (come nel caso degli aperitivi) sono solo una media di quelli rilevati sul territorio nazionale (nessuno ha mai pagato per un happy hour 7,75 euro). Ma dai risultati finali si ha un’idea di quanto, l’aumento dell’imposta sul valore aggiunto, stia impattando sui nostri acquisti.
Il Codacons poi fa notare: «Se l’Iva passa dal 20 al 21%, non significa che un bene che prima veniva 1 euro ora passa a 1,01 euro. Bisogna scorporare e considerare il prezzo del bene senza Iva, e su quello applicare l’Iva maggiore al 21%». Giusto. Lo abbiamo fatto, ma anche così i conti non tornano. Lo dimostrano, oltre ai calcoli (nella tabella sopra) le decine e decine di segnalazioni arrivate proprio all’associazione presieduta da Carlo Rienzi. Simile a questa: «Stamattina al solito bar, la tazzina di espresso — scrive un consumatore di Roma — mi è stata fatta pagare 0,90 euro contro gli ottanta centesimi pre-Iva. È una truffa».
Un caso tutto particolare è quello dei cd musicali, un mercato che con l’avvento della musica digitale è sempre più in crisi. Innumerevoli gli appelli degli artisti che negli anni passati hanno implorato di far scendere l’aliquota Iva sui cd dal 20 al 4%. Al danno, oggi, si aggiunge la beffa. «A questo punto auspichiamo una decisione sotto il 5% a livello comunitario» commenta Enzo Mazza, presidente della Fimi (Federazione industria musicale italiana). Nel frattempo i prezzi dei cd, anziché scendere per contrastare il fenomeno del download (illegale) e della pirateria, sono saliti. Nei negozi monitorati dall’associazione, al netto delle offerte e delle promozioni, sono passati da 19,40 euro a 20,90 euro. Con un incremento lontano da quell’uno per cento. E vediamo perché: il prezzo medio dei cd prima del 17 settembre, era di 19,40 euro. Scorporando l’Iva si arriva a un prezzo base di 16,16 euro. Applicando l’Iva al 21%, il risultato è di 19,55 euro. Eppure il prezzo finale al consumatore è di 20,90 euro. Il 7,7% in più se confrontiamo il prezzo prima e dopo l’aumento dell’imposta. Il 6,9% in più se confrontiamo il prezzo del cd per come doveva essere con l’Iva al 21% (19,55 euro) e com’è invece oggi (20,90 euro). «Questo non aiuta né il commercio né i consumatori — aggiunge Carlo Pileri, presidente dell’Adoc —, che in alcuni casi rinunciano all’acquisto. Senza parlare delle sigarette, una vera e propria speculazione di Stato. E a parlare è un non fumatore: a fronte dell’aumento dell’Iva sono stati alzate anche le accise per un totale di 15-20 centesimi a pacchetto». E poi ci sono le autostrade. A sollevare il caso è stata questa volta Altroconsumo: «I pedaggi autostradali — spiegano dall’associazione — sono una delle categorie di servizi interessati dal recente aumento dell’Iva. Nulla di strano, quindi, se sono state adeguate le tariffe. Peccato che sia stato fatto per scaglioni di 10 centesimi e non applicando matematicamente l’1% in più come previsto dalla manovra finanziaria. Cosa significa? Che a Como, ad esempio il pedaggio è passato da 1,90 euro a 2,00 euro, con un incremento reale del 5,26%».
«Un arrotondamento disciplinato dal decreto interministeriale 10440/28/133 del 12 novembre 2001, del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e del Ministero dell’Economia e delle Finanze» fanno sapere da Autostrade per l’Italia. «In pratica, su una cifra da uno a dieci — spiegano — se l’incremento dell’Iva fa arrivare la tariffa a quattro, si arrotonda per difetto (zero). Ma se l’incremento fa arrivare il pedaggio a sei, si arrotonda per eccesso (dieci)». E così ci sono caselli dove l’aumento dell’Iva non ha fatto registrare alcun tipo di incremento (ad esempio Lainate) e altri dove invece il pedaggio è aumentato per eccesso. I comaschi si rassegnino.
Qualche giorno fa è intervenuto sull’argomento anche Mr Prezzi, Roberto Sambuco che ha avviato, in coordinamento con la Guardia di Finanza e gli uffici del Mise, delle azioni di verifica e ispezione. Oltre a un tavolo anti-speculazione. Subito sono seguiti i commenti sarcastici del Codacons: «Mister Prezzi si è svegliato dal letargo in cui sembrava essere caduto — ha detto Rienzi —. Peccato però che i controlli di cui parla andavano realizzati molti giorni fa, ossia ancor prima dell’entrata in vigore dell’aumento». Dall’altra parte, quella delle aziende, c’è chi ha deciso di farsi carico dell’aumento senza alzare i prezzi dei cartellini. Zara, Esselunga, Benetton, solo per citarne alcuni, assorbiranno l’incremento dell’imposta senza riversarla sui consumatori. Almeno per ora.
Il Corriere della Sera 30.09.11