Ora che abbiamo visto Lavitola in tv sappiamo che Berlusconi è riuscito a degradare anche l´uomo nero in ometto nero. Nel ruolo di diavolo italiano non ci sono più i Calvi e i Sindona ma il malandrino piccolo piccolo, allo stesso modo in cui la donna fatale – Anita Ekberg, per dirne una – è stata soppiantata dalla donnetta fatale – Ruby e la Began, per dirne due. Ed è già partito sulla stampa di “casa Berlusconi” il tam tam dell´elogio del mascalzone. Lavitola è l´idolo nascente della bricconeria come stile di vita, molto più del vecchio Briatore, è il nuovo Jean Paul Belmondo della patacca, la simpatica canaglia, il bravo ragazzo per male e non solo perché ha saputo tenere testa ai cronisti giudiziari con la sua aria da impunito, la cartellina verde e i dettagli di scena preparati con l´avvocato.
Ma ci si può estasiare per la “normalità” con cui Lavitola affronta temi come la latitanza a Panama, l´origine e il destino di tutti quei soldi chiamati “foto”, il codice malavitoso adottato con Berlusconi, le accuse di avere pagato Tarantini perché mentisse ai giudici?
In realtà Lavitola, con la sua allegria e la sua disinvoltura sfrontate, ribadisce la trionfante normalità italiana: la normalità di convivere con le deiezioni, la normalità della monnezza, la normalità della festa del boss per le strade di Napoli… Rendere normale il delitto è un altro delitto, ed è definitivo perché, dopo il delitto, l´onestà diventa noiosa. Davvero sono normali la satiriasi del vecchio potente e la prostituzione pagata con pezzi di Stato? Davvero è normale Lavitola?
«Ma lei che mestiere fa? » gli ha chiesto Carlo Bonini e, detto fatto, «il pescivendolo» ha risposto, e subito si è messo a magnificare la sua merce: un foglietto illeggibile ma “vivo” come le sogliole e i crostacei, un tabulato telefonico incomprensibile ma “sostanzioso” come il salmone e il baccalà. Vaghezza e imprecisione sono le risorse della tv e delle fiere, e sono i vecchi trucchi berlusconiani come il contratto con gli italiani nella pescheria di Vespa. Agitando davanti alla telecamera una carta qualsiasi si arriva alla gag irresistibile della prova inconfutabile che scagiona perché non c´è: «Vedete» dice, ma non si vede nulla «in quel giorno e a quell´ora ho fatto la telefonata che raccontava tutta la verità». Si sa che c´è una grande sintonia tra furbizia e stupidità, si sa che si ingravidano a vicenda. Dunque il telespettatore berlusconiano cade nella botola del luogo comune antigiustizialista quando Lavitola chiede: «Perché i magistrati non hanno esibito la telefonata-prova della mia innocenza?». E nessuno ride: “la prova che non c´è” in tv è un falso sì, ma autentico. È come l´attore che si sazia mangiando da un piatto vuoto.
La sola cosa che si capisce è che Lavitola ha in mano Berlusconi e crede di potere imbrogliare il mondo perché imbroglia lui, sa di essere migliore di lui e sa anche che è lui il suo salvacondotto, in suo nome intorta capi di Stato, ministri, manager pubblici e certo devono essere andati in solluchero, che so?, Verdini e Previti, dinanzi a quella faccia da schiaffi che sembra l´evoluzione ammorbidita delle loro facce, riedizione incanaglita del Superbone, vecchio fumetto del Monello: «Io non sono scemo» ripete Lavitola proprio come ripeteva quello. E ancora: «Berlusconi è tutto tranne che scemo». Di Tarantini invece: «È un poco fesso».
Passare per scemo è la sua ossessione e per grazia fisiognomica ha le sopracciglia unite dell´intelligenza istintiva. C´è stata, nell´Italia dei diavoli, la faccia tormentata di Bruno Contrada, ad esprimere la complessità del Paese. Ora c´è la faccia rotonda e primitiva di Lavitola che non rivela né rimorsi né rimproveri, è la faccia paffuta che sta per diventare la nuova bandiera degli spavaldi ribaldi e ricchi del berlusconismo, quelli che gli scemi siamo noi. Lo scemo è Libero Grassi e non Brunetta, lo scemo è don Milani e non la Gelmini, lo scemo è il contribuente e non l´evasore, lo scemo è il drogato e non lo spacciatore, lo scemo è il pesce e non il pescivendolo. È questo il mondo sottosopra di Lavitola. Elogiarlo non è allegria e non è goliardia ma è solo una versione da mezzacalzetta del maledettismo, della trasgressione e del dannunzianesimo politico.
E forse hanno esagerato i colleghi a contrapporre cavilli a cavilli: il famoso formalismo giudiziario è tanto utile ai pm per incastrare quanto agli avvocati per imbrogliare e scagionare. Insomma la tecnicalità e i dettagli giudiziari hanno reso noiosa e lunga l´intervista al latitante che voleva ovviamente far conoscere la sua strategia difensiva. Solo i dettagli antropologici hanno, al contrario, reso sapido il programma di Mentana: «Mi sono iscritto alla massoneria» racconta «perché avevo letto la storia dei Rosa Croce» e qui non resiste al richiamo del pescivendolo e «io leggo moltissimo» dice. E si capisce che questo è il pesce avariato che usa con i Tarantini. Nessun lettore di libri dice di leggere molto, è un tic di copertura, lo stesso di Minzolini che li esibisce dietro le spalle quando recita l´editoriale del Tg1. E ancora: «Nella loggia mi diedero il ruolo di apprendista, ma dovevo star zitto e io invece sono un chiacchierone di natura», e qui si intuisce che ha provato ad intortare pure la massoneria.
E infine c´è un comprensibile messaggio alla propria famiglia che però è anche un rimprovero a Berlusconi: «Io non c´entro nulla con le feste, non sono mai stato invitato». Marca la differenza, Lavitola. Non è uomo da patonza. Ha la fama non dello sciupa femmine ma del castiga femmine, quello che seduce la donna del nemico o del grullo che ha sotto tutela. E ha una sua morale, Lavitola. È un commerciante all´antica, non ama le spese false che riducono il guadagno. Nel berlusconismo cattolico che «ammorba l´aria» Lavitola è un magliaro sì, ma calvinista.
La Repubblica 30.09.11