Contro il governo e la crisi. «Noi studenti paghiamo più degli altri le loro scelte sbagliate». Generazione senza futuro «Vogliamo riprenderci la politica e costruire una grande sinistra»- Manifestazioni, assemblee, sit-in. Dopo un anno gli studenti tornano a mobilitarsi. Convocati dagli indignados spagnoli, saranno in piazza il 15 ottobre. Ma rivendicano: «Più che indignati, siamo non rassegnati». Non chiamateli indignados. «Indignarsi non basta», preferiscono scandire i giovani italiani, citando un grande vecchio della sinistra nostrana, Pietro Ingrao. Studenti, universitari, precari, ricercatori. Lo scorso anno, sono stati i primi a muoversi contro il governo Berlusconi. Sono saliti sui tetti, hanno occupato le piazze d’Italia, assediato il Parlamento. E ora di nuovo, tornano a mobilitarsi. Con la loro miriade di sigle. Contro il governo, contro la crisi. Per difendere il loro futuro.
«Più che indignati, siamo non rassegnati», suggerisce Mario Castagna, dei Giovani democratici. «Sappiamo che per difendere i nostri diritti e per aprirci un varco nel mondo del lavoro e in generale nella società dobbiamo aprire un conflitto, generazionale e non solo, e che questo è un po’ più complicato che dire che destra e sinistra sono uguali». «Poco da sorridere, molto da combattere», recita infatti lo slogan della Rete universitaria nazionale, vicina ai Gd («anche se molti di noi non sono iscritti al Pd o votano altri partiti»), che domani e sabato hanno convocato alla Sapienza due giorni di assemblea («Espulsi dal sapere, lottano i pensieri»), con ospiti parlamentari e vertici universitari, compreso il presidente dei rettori. «Vogliamo far dialogare movimento e opposizione in Parlamento, perciò abbiamo invitato tutte le associazioni studentesche spiega il coordinatore nazionale Federico Nastasi -, il regalo più grande che potremmo fare alla destra in questo momento sarebbe dividerci, mentre la nostra forza è che quando sali su un tetto nessuno ti chiede di che partito sei».
Una miriade di sigle. E un lavorio di assemblee, incontri, appelli comuni, in corso in queste ore, per cercare di comporre di nuovo quella moltitudine che l’autunno scorso ha saputo richiamare l’attenzione dell’intero paese. Davanti, primo banco di prova, sarà proprio la data lanciata dagli indignados spagnoli: 15 ottobre, convocazione mondiale per dire che c’è una alternativa a come i governi stanno gestendo la crisi. Per i «non rassegnati» italiani sarà l’inizio di una mobilitazione, che proverà di nuovo a far sentire al paese la voce di una intera generazione di esclusi.
«Siamo la generazione che più subisce alla crisi, privata dei diritti conquistati da chi ci ha preceduto, delle tutele, delle garanzie, del futuro, ma ci mobilitiamo per cambiare le cose e non solo protestare, perciò l’appello che abbiamo firmato per convocare tutti in piazza il 15 ottobre recita “Indignarsi non basta”», spiega Luca Spadon, del coordinamento universitario Link, che ha appena lanciato una campagna per il diritto allo studio che scandisce «disoccupazione giovanile 30%, precarietà 47%, tagli alla borse di studio 95%», una equazione che non torna. Perciò gli studenti, non aspetteranno il 15 ottobre per scendere in piazza. La prima grande manifestazione l’hanno convocata il 7 ottobre gli studenti medi, ma tutta la Rete della conoscenza ha aderito. «Ora i conti li fate con noi», recita lo slogan che sarà rilanciato con cortei e sit-in in tutta Italia.
COME GLI STUDENTI CILENI
Come i cugini spagnoli. Anche se il modello è piuttosto il movimento studentesco cileno, sceso in piazza per rivendicare che l’università è un bene pubblico, suggerisce Maria Pia Pizzolante, della neonata «Tilt», che si muove tra SeL e dintorni. «Tilt come lo scossone che vorremmo dare alla a questa classe dirigente, anzi come lo scossone che abbiamo già cominciato a dare, con la mobilitazione dei precari e delle donne, con il referendum per l’acqua, con la vittoria alle amministrative». «Quello che ci separa dagli indignados spagnoli rivendica Maria Pia è che non ci piace cavalcare l’antipolitica, perché abbiamo una idea piuttosto precisa della politica e vorremmo costruire la grande sinistra che manca a questo Paese. Questa è la risposta da dare al mercato del lavoro che ci mette gli uni contro gli altri».
Al fronte dei «non rassegnati» si iscrivono ovviamente anche i ricercatori della Rete 29 aprile, quelli che lo scorso autunno salivano sui tetti contro la riforma Gelmini e la distruzione dell’università pubblica. A partire dal 10 ottobre, torneranno a fare lezione in piazza. Lezioni sulla crisi: quella economica, ma anche quella della cultura. E, ovviamente, dell’università. «Negli atenei è tutto bloccato spiega Alessandro Ferretti, uno dei leader della Rete -, i concorsi per ricercatore e per associato sono tutti fermi e quello che non è bloccato è distribuito in modo iniquo, i pochi fondi per finanziare posti da associato verranno destinati solo agli atenei che spendono meno del 90 per cento del budget per i dipendenti».
L’Unità 29.09.11