Racconta che si sta trattenendo a fatica, «solo perché gli avvocati mi costringono a tacere». Ma lui «di cose da dire» ne ha eccome sull´«attacco mediatico-giudiziario» con il quale lo stanno «assediando: da Milano a Bari, da Napoli a Roma». Ancora poco «e esplodo: vado in tv e rispondo colpo su colpo». La fiducia che salva Saverio Romano diventa quasi un´appendice, alla vigilia di questo settantancinquesimo compleanno che, confessa «amareggiato» ai deputati che lo circondano in aula, non ha alcuna intenzione di festeggiare.
Un´appendice che pure gli costerà l´ennesima mediazione, per convincere il Senatur ancora una volta a non mollare il governo, a garantire i suoi voti a rischio, a ingoiare l´ennesimo rospo. Con un prezzo immediato, per il premier, la rinuncia ancora una volta alla riforma delle pensioni che pure aveva timidamente ritirato fuori dal cilindro nel vertice della notte prima con Tremonti, Bossi e Calderoli. È una giornata tutta in salita, per un Berlusconi che corre tra Palazzo Grazioli e Montecitorio. Il faccia a faccia col governatore uscente Draghi per discutere del suo successore a Bankitalia e poi quello con Tremonti, col quale ha innescato un braccio di ferro sul derby tra Saccomanni e Grilli. Sullo sfondo tuttavia c´è altro che assilla il Cavaliere, c´è l´incubo delle inchieste che lo assediano. Ne parla con il Guardasigilli che riceve al mattino in via del Plebiscito e con il legale Niccolò Ghedini, a pranzo con Angelino Alfano e nel pomeriggio con il repubblicano Nucara intenzionato (come poi farà) a votare la sfiducia a Romano. L´assillo diventa l´argomento pressoché unico nello sfogo con le decine di deputati che lo circondano in aula. Saverio Romano è al suo fianco, tra i due c´è un breve e intenso abbraccio, il premier ha appena risposto alla chiama esprimendo la fiducia. «Vedi Saverio? Siamo qui tutti al tuo fianco» dice al ministro dell´Agricoltura sotto inchiesta. Poi torna subito sulla sua vicenda. Altro che compleanno. Una processione di parlamentari sorridenti gli sfila accanto per fargli gli auguri. «Macché, non ho alcuna voglia di festeggiare – si schermisce con tutti – Mi vogliono fare fuori, è in atto un attacco mediatico giudiziario senza precedenti, per di più prendono a pretesto le mie cene in cui non c´è mai stato alcunché di scandaloso. È una calunnia reiterata che va spazzata via, la gente rischia di cadere nel tranello». L´ex An Laboccetta prova a confortarlo: «Presidente, devi frequentare di più questo palazzo, qui siamo con te, saremo sempre al tuo fianco». Il Cavaliere ringrazia, promette di essere più presente. A un sottosegretario confida quanto ancora sia preoccupato della tenuta del rapporto con Tremonti, «è sempre più difficile trattare con lui». A conferma che se una tregua c´è, è sempre sul fico.
E poi quanta fatica anche ieri per serrare i leghisti. Col Senatur l´ultimo faccia a faccia risale alla notte che precede il voto di fiducia, durante il vertice di Palazzo Grazioli. Sono ore concitate, si fanno insistenti le voci su possibili defezioni. «Umberto, se vengono a mancare i vostri voti ti è chiaro che a cadere non è il ministro Romano ma l´intero governo – lo ha incalzato Berlusconi – Vorrebbe dire cedere agli attacchi strumentali della magistratura che ci vuole far fuori». Bossi ancora una volta lo rassicura. Anche questa volta il suo gruppo sarà compatto. E così è stato. Anche se il ministro dell´Interno Maroni non sederà mai ai banchi del governo per tutta la durata della seduta. Voterà, il capo del Viminale e come lui tutti i suoi uomini. Il Carroccio c´è, ma masticano amaro i dirigenti, di fronte ai cartelli dei finiani in aula («Alla faccia della Lega-lità»). E a poco vale il fatto che dal ministro all´Agricoltura i leghisti incassano tutta una serie di impegni per le richieste avanzate, dal vino ai formaggi, agli animali clonati fino alle quote latte. La base già mugugna, protesta. L´ira esplode sul web, ancora una volta sul forum dei giovani padani, ma anche su “Radio Padania”: «Mai più il nostro voto», «salvare quel ministro è una bestemmia», «vi disprezziamo». Altre grane per la leadership al tramonto di Bossi.
Ma a Berlusconi tutto questo interessa poco. Quando alle 19,45 arriva il responso dell´aula, può tirare un lungo sospiro di sollievo. E festeggia, il voto sì, lo festeggia, ricevendo nella stanza del governo il ministro «salvato» e il fido Verdini. «Avete visto i radicali? È uno strappo serio quello loro col Pd, dobbiamo lavorarci» dice con un cenno d´intesa rivolto al coordinatore pidiellino. Poi fa di conto e guarda avanti. Linfa, ne è convinto, per tirare a campare fino al termine della legislatura. Nonostante gli imprenditori che ormai contestano i ministri e gli attacchi della Marcegaglie, i processi e le inchieste che incombono e la reprimenda dei vescovi. «I 315 voti vogliono dire che siamo a quota 325, se calcoliamo le assenze, andiamo avanti senza esitazioni fino al 2013. Ora decreto sviluppo, intercettazioni e riforme».
La Repubblica 29.09.11