«Con voto istantaneo ed unanime il consiglio dei ministri nomina Mario Draghi governatore della Banca d’Italia». Era il 29 dicembre del 2005, alla guida del governo c’era Silvio Berlusconi e al Quirinale Carlo Azeglio Ciampi. La scelta di Draghi ebbe il plauso generale, anche dell’opposizione, il consiglio superiore della banca centrale approvò subito e il presidente della repubblica controfirmò immediatamente. Tutto si compì con due mesi di anticipo rispetto al momento in cui Draghi avrebbe dovuto assumere il comando di palazzo Koch.
Uno scenario ben diverso da quello attuale. Certo, molte cose sono cambiate e non in meglio: allora bisognava chiudere la poco edificante era Fazio e sul nome di Draghi non fu difficile trovare le convergenze. Ma, evidentemente, i rapporti interni alla maggioranza non erano così gravemente deteriorati e il presidente della repubblica, che pure ebbe non poche occasioni di frizione con palazzo Chigi, almeno sulla questione Bankitalia non fu soverchiato dalle preoccupazioni.
Era necessario voltare pagina, e la pagina si voltò. Il quadro attuale è drammatico e Giorgio Napolitano – che non intende in alcun modo abdicare dalla sua posizione di non coinvolgimento rispetto alla scelta del successore di Draghi – è però in prima linea da mesi nel richiamare alla necessità che si proceda in modo spedito ed efficace, garantendo l’autonomia e l’autorevolezza dell’istituto. I ripetuti contatti delle scorse settimane fra i vari soggetti avevano fatto ritenere che la soluzione fosse stata trovata e che già ieri potesse arrivare al consiglio superiore della banca la proposta di nomina di Fabrizio Saccomanni.
Così, invece, non è stato e Umberto Bossi ha rozzamente esplicitato il braccio di ferro, dimostrando quanto la scelta del nuovo Governatore sia diventata terreno di scontro politico. Proprio quello che Napolitano non vuole. E il contrario di quel che l’istituzione Banca d’Italia si aspetta. La prossima riunione del consiglio superiore dell’istituto ci sarà il 24 ottobre e oltre quella data non si potrà andare, visto che Draghi assumerà l’incarico in Bce il 1° novembre. Lo stesso consiglio ieri ha espresso la volontà unanime di procedere nel più rigoroso rispetto delle regole, con l’obiettivo di garantire l’autonomia di Bankitalia.
Al Colle ieri è salito Draghi, preoccupato per le conseguenze che lo stallo può avere sul piano internazionale, con la credibilità del paese in continua discesa.
Con il presidente è stata completata una ricognizione nell’ambito dello sforzo necessario a recuperare un percorso condiviso.
«Non è pensabile che ci siano candidature contrapposte» si ragiona al Quirinale. Il quadro, tuttavia, non appare brillante e la situazione «è aperta».
Ad allarmare è anche la debolezza del premier. Quando, poco più di due settimane fa, Berlusconi di ritorno da Bruxelles era andato a sondare il terreno sul varo di un decreto antiintercettazioni, aveva assicurato al capo dello stato che su Bankitalia non ci sarebbero stati ritardi.
Napolitano aveva raccomandato «prudenza» e auspicato un contatto con le opposizioni. Il fatto che tutto sia stato improvvisamente rimesso in discussione dimostra la «feudalizzazione» del potere politico, con le forze della maggioranza che procedono ognuna per proprio conto, aprendo e chiudendo trattative che niente hanno a che fare con l’interesse del paese.
Ieri anche il ministro della giustizia è salito al Quirinale, pare per parlare di carceri. Del resto, si sa che il discorso sul decreto anti-intercettazioni per Napolitano è chiuso e che il governo sta pensando di accelerare sul disegno di legge da approvare con la fiducia.
All’attenzione del Colle c’è poi l’altra promessa mancata del presidente del consiglio, una priorità assoluta per Napolitano, il decreto sviluppo: che fine ha fatto?
da Europa Quotidiano 29.09.11