cultura

"Il paese dove Mao significa Maometto". di Mario Pirani

L´inizio dell´anno scolastico si è aperto con la riproposizione delle critiche a Mariastella Gelmini. Nella sostanza le polemiche vertono sui tagli che in gran parte, però, ricadono sulla manovra di bilancio e portano la firma di Tremonti. Comunque non vi è dubbio che lo stato della scuola sia nel complesso deplorevole soprattutto se sottoposto al confronto internazionale. Il modo come abitualmente se ne discute è, peraltro, ripetitivo e sostanzialmente inutile. Non c´è ministro dai tempi antidiluviani della Falcucci in poi che non sia stato infilzato nelle innumerevoli okkupazioni e nei manifesti sindacali del settore. Ma se è più che giusto denunciare i miseri stipendi, lo stato fatiscente di gran parte dell´edilizia scolastica, l´affollamento delle classi ed altri guasti evidenti, non va ignorato che paradossalmente la concretezza rivendicativa finisce per allontanare l´attenzione dal catastrofico contesto culturale entro cui la scuola è chiamata ad operare nell´ambito di una «società dal pensiero corto», sempre più aliena dall´amore per il sapere e dagli strumenti per assimilarlo.
La più impietosa e aggiornata analisi in proposito (“L´Italia dell´ignoranza”, ed. FrancoAngeli, di Graziella Priulla, docente di Sociologia dei processi culturali a Catania) è un saggio sulla voluta mancanza di una strategia che sostenga la crescita culturale dei cittadini. Per contro ” si fa in modo che si riduca il consenso sociale attorno alla cultura e tra le cose ‘sdoganate´ ci sono la rozzezza e l´ignoranza”. Sui temi trattati riesco solo a segnalare qualche passaggio, cominciando dalla cosiddetta ‘literacy´ ( cinque livelli di lettura e comprensione di testi, indipendentemente dal livello d´istruzione ) . Dalle indagini comparative internazionali emerge che meno di un decimo della popolazione italiana raggiunge i livelli (4 e 5) per comprendere i contenuti di qualsiasi testo (secondo gli standard internazionali la percentuale di più alta competenza alfabetica oscilla tra il 20 e il 30%). In Italia nella maggioranza dei casi ci troviamo di fronte a una alfabetizzazione apparente: la gente in teoria sa leggere (identifica i segni) ma non capisce bene ciò che legge, fatica a leggere e, di conseguenza smette di leggere. Per contro in quasi tutta Europa il processo formativo è visto come un continuum: circa la metà della popolazione tra i 16 e i 65 anni è in varia misura toccata da attività di educazione. Noi siamo assai sotto il 20%. La scuola non riesce a sradicare le diseguaglianze. Grazie alle analisi sappiamo che le variabili extrascolastiche che incidono di più sulle prestazioni dei ragazzi non sono legate tanto allo status economico quanto al livello culturale dei genitori. Così anche l´approdo all´Università non assicura un minimo di capacità linguistica. Nelle prove di ammissione alla facoltà di Lettere di Roma Tor Vergata il 47% dei candidati non ha risposto correttamente al 50% delle domande di comprensione del testo. Alla facoltà di Lettere di Firenze il 50% non ha superato i test d´italiano. Tra le parole che hanno lasciato più perplessi i giovani si annovera: alacre, bandire, egregio, foriero, giubilo, irretire, ecc. L´autrice del libro ha svolto una ricerca sistematica tra i suoi 122 studenti, aspiranti a una laurea, sulla base della lettura di due quotidiani con risultati disperanti. La metà dei ragazzi ignorava e non riusciva a ricostruire il significato di onere, coercizione, sanzione, recessione, apparato. Le assonanze poi provocano effetti stranianti: il ‘virtuale´ ha molte virtù, i gesuiti sono quelli che amano Gesù, Mao è diminutivo di Maometto, lottizzare equivale a ‘fare le lotte´. La sostanziale estraneità con il linguaggio, la sciatteria con cui ci si rapporta con esso, impediscono di usare il buon senso per ricavare il significato di singoli composti: nemmeno chi è uscito con il massimo dei voti dal liceo classico è in grado di ricostruire l´etimodi ‘genocidio´. Purtroppo non basta accusare la Gelmini di turno.

La Repubblica 26.09.11

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