Proviamo a immaginare la faccia di un militante leghista – non c’è bisogno di pensare a quelli con in testa le corna da Celti: bastano quelli con un fazzoletto verde nel taschino – di fronte al curriculum vitae dell’onorevole Francesco Saverio Romano. Intanto, è nato a Palermo. Poi, è stato democristiano. Quindi, dell’Udc di Casini (uno dei bersagli preferiti degli insulti di Bossi). Adesso è di un partito che non abbiamo capito bene come si chiama, visto che il sito ufficiale della Camera per comunicarlo impiega, anziché una riga, una mezza pagina: nella quale francamente ci si perde, essendo Romano passato in questa sola legislatura dall’«Unione di Centro» al «Gruppo Misto»; quindi da «Noi Sud – Libertà e autonomia, I Popolari di Italia domani» a «Iniziativa Responsabile», e infine a «Popolo e Territorio». Il motivo di tanto peregrinare è poi spiegato sul sito personale dell’onorevole Romano: «Insieme ai deputati meridionali Calogero Mannino, Michele Pisacane, Giuseppe Drago e Giuseppe Ruvolo aderisce al Gruppo Misto fondando il movimento Popolari di Italia domani (Pid) abbandonando quindi il ruolo di opposizione e schierandosi a sostegno della maggioranza parlamentare di centrodestra di Silvio Berlusconi». Sostegno ricompensato, il 23 marzo scorso, con la nomina a ministro dell’Agricoltura. Ultimo dettaglio: il Nostro è indagato per concorso esterno in associazione mafiosa e corruzione. Adesso torniamo alla faccia del militante leghista che legge. Meridionale, democristiano, casiniano, trasformista premiato con un ministero, indagato per mafia: sembra il ritratto perfetto di quell’esemplare di politico che la Lega Nord ha sempre giurato di volere spazzare via. Ricordate gli slogan dei primi tempi? Quel «lumbard tas» (lombardo, taci) con cui i primi leghisti denunciavano lo strapotere dei professori meridionali nelle scuole? E il «via da Roma» scopiazzato a Martin Lutero? E il «Roma ladrona», e il cappio per gli inquisiti, e così via? Lungi da noi far pensare che Francesco Saverio Romano non sia una degna persona. Tutto ciò che c’è nel suo curriculum non è motivo di condanna. Nemmeno l’essere indagato per mafia, visto che ciascuno è innocente fino a sentenza definitiva. Stiamo solo dicendo che a un leghista un simile personaggio provoca l’indigestione. Tanto più se si pensa che il ministero occupato da Romano era, all’inizio della legislatura, proprio di un leghista: Luca Zaia.
Eppure, dopo aver digerito i salvataggi di Caliendo, di Cosentino e di Milanese, i militanti della Lega dovranno a quanto pare mandare giù anche questa. Mercoledì prossimo, 28 settembre, alla Camera si voterà infatti una mozione di sfiducia che Pd, Fli e Idv hanno presentato nei confronti di Romano in seguito al rinvio a giudizio chiesto dalla Procura di Palermo. E ieri Marco Reguzzoni, il capogruppo, ha già detto che la Lega voterà «no» alla sfiducia. Non è che Reguzzoni – e Bossi che ha preso la decisione – siano pazzi. Al contrario, seguono un calcolo più che razionale. Se il ministro indagato per mafia viene sfiduciato, il suo gruppo – i cosiddetti Responsabili – tornano da dove erano venuti, e tolgono la stampella offerta un anno fa a Berlusconi. Salvando Romano, la Lega salva il governo. Su questo non si discute. Resta da capire se salva anche se stessa. Al di là delle risentite smentite dei suoi colonnelli, la Lega è oggi un partito in difficoltà. C’è Bossi che non vuole mollare Berlusconi, a costo di cercar la bella morte. E c’è Maroni che pensa: prima ci smarchiamo dal Cavaliere che affonda, più probabilità abbiamo di non venire puniti alle prossime elezioni. La «base» sembra più in sintonia con Maroni. Pare sfiduciata e arrabbiata: alla festa di Venezia c’era poca gente, e a Radio Padania debbono filtrare le telefonate per non mandare in onda gli insulti. Checché se ne dica (anzi se ne strilli) ai comizi, ci sono segnali inequivocabili: quelli delle urne. In un anno la Lega è passata dal trionfo delle regionali al crollo delle comunali. Dunque mercoledì prossimo Bossi sarà di fronte a un dilemma. Salvare Romano vorrebbe dire restare al governo. Ma restarci grazie a una di quelle alchimie che la Lega chiama «il marciume del Palazzo». Per il popolo padano sarebbe un rospo, l’ennesimo, e non è detto che sia disposto a ingoiarlo.
La Stampa 24.09.11
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“Il satellite Romano precipita sulla Lega”, di Francesco Lo Sardo
Il Carroccio guarda con ansia al nuovo banco di prova: il salvataggio del ministro siciliano
«Un innocuo satellite ormai in disuso precipiterà al nord: è la Lega alle prossime elezioni?». Un titolo di Dagospia, ieri, la metteva sul ridere. La faccenda, però, si fa sempre più drammaticamente seria per il notabilato governativo e parlamentare del Carroccio, costretto a fare i conti con lo scollamento della base elettorale delusa, esasperata e sempre più insofferente all’abbraccio con Berlusconi.
L’aria che tira è pesante. Giovedì, vista la traiettoria di caduta dell’ordigno grosso come un autobus su Piemonte, Lombardia e Veneto, tra i deputati leghisti con la valigia e in procinto di tornare al nord con la coda tra le gambe dopo aver votato per il salvataggio di Marco Milanese circolava una battuta amara: «Ci daranno pure la colpa del satellite che precipita in Padania».
Il governatore leghista piemontese Cota ha rassicurato dalla prima pagina della Padania che non c’è «alcun allarme » per la popolazione, sebbene nessuno possa dire dove finiranno esattamente i pezzi del vecchio satellite Nasa.
Viceversa tutti sanno con certezza e precisione quando, dove e chi colpirà la caduta del vecchio satellite dc, poi Cdu, poi Udc, poi Pid (Popolari Italia di domani, uno dei partitini che tiene a galla Berlusconi e il cui ispiratore era ed è Totò Cuffaro) Saverio Romano, da marzo ministro dell’agricoltura, rinviato a giudizio per associazione mafiosa e perciò oggetto di tre mozioni di sfiducia (Pd, Fli e Idv) a Montecitorio.
Ora e data dell’impatto: pomeriggio di mercoledì 28 settembre. Per il Pdl una quisquilia: i berluscones hanno il pelo sullo stomaco e un elettorato in grado di digerire qualsiasi cosa, persino credere che Ruby sia la nipote di Mubarak. Invece il partito destinato, ancora una volta, a pagare il tributo politico più salato per il voto dell’aula sarà la Lega. Il suo voto in difesa di Romano è scontato e ieri il capogruppo Reguzzoni l’ha annunciato formalmente: «Abbiamo votato compatti contro l’arresto di Milanese e ora bocceremo la sfiducia al ministro Romano».
Per l’elettorato leghista sarà un altro choc: ma molto più violento di quello su Milanese, vista la specificità e particolarità del caso Romano, sulla cui nomina a ministro – per via dei procedimenti penali già pendenti nei suoi confronti – espresse riserve persino Giorgio Napolitano e per il quale è poi scattato a luglio il rinvio a giudizio da parte della procura di Palermo. «Avrebbe consapevolmente e fattivamente contribuito al sostegno e al rafforzamento dell’associazione mafiosa», è l’accusa dei pm al politico e ministro siciliano.
«La base capirà», continua a ripetere Bossi e per quel che riguarda i soci-militanti può anche darsi sia così. Il dramma della Lega però non sono loro, ma gli elettori in fuga. In base ai dati 2003 (sulle cifre degli iscritti è poi calato il silenzio) si può calcolare che per ogni cento persone che votano Lega solo 4 sono militanti, gli altri 96 sono elettori d’opinione.
Chi spiegherà a questa massa di elettori già infuriati con Bossi e delusi da Maroni perché la Lega fa da scudo anche a Romano? Per 130mila militanti che, forse, capiranno ci sono milioni di elettori che continueranno allontanarsi dalla Lega dopo averla fatta volare dall’8 per cento (3 milioni di voti) nel 2008, al 10 alle europee 2009, al 12 alle regionali 2010: dal caso Ruby in poi, a forza cedimenti a Berlusconi, il Carroccio è precipitato nei sondaggi al 9 e il crollo continua.
Ma che fare? Il via libera a Romano all’agricoltura della Lega fu pagato alla Lega facendole mettere il cappello sulla nomina di Orsi al vertice di Finmeccanica e garantendole un posto in cda e un altro posto in Enel. Adesso, accuse di mafia o meno, pacta sunt servanda. Poltrona per poltrona.
da Europa Quotidiano 24.09.11
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E ora la Lega salverà anche il ministro accusato di mafia
Per il Carroccio il peggio deve arrivare. Alfano: nuova legge elettorale
Infuriano le polemiche nel popolo leghista dopo il salvataggio (dal carcere) di Marco Milanese, con una base preoccupata dal “tradimento” delle originarie ragioni del Carroccio che specie sulla questione morale aveva costruito la propria immagine.
E l’ansia cresce con lo sguardo rivolto a mercoledì prossimo, quando la camera dovrà pronunciarsi sulla mozione di sfiducia individuale presentata delle opposizioni contro il ministro Saverio Romano, rinviato a giudizio per mafia. Cosa farà Bossi? Cosa farà Maroni?
La previsione è che anche stavolta la Lega farà prevalere la ragion politica, cioè la sopravvivenza di un governo che resta comunque malandato.
L’esecutivo di Berlusconi infatti è stato nuovamente bombardato da Emma Marcegaglia (la Confindustria ha varato un “manifesto” molto duro, in cui si chiede «un vero cambiamento») e resta sempre in preda alle convulsioni interne, ultima (ma non certo inedita) quella fra il premier e Giulio Tremonti.
Il voto di due giorni fa sull’ex braccio destro del ministro dell’economia dunque non ha mutato i termini di una situazione che rimane pericolante, con un quadro economico che da lunedì tornerà certamente a destare nuove preoccupazioni, malgrado il nuovo appello alla crescita ripetuto ieri da Giorgio Napolitano.
In questo quadro, il Pdl le tenta tutte. Ieri il segretario Alfano ha garantito che il suo partito ha in programma di rivedere quella legge elettorale imposta dalla maggioranza e dal suo ministro Calderoli su cui peraltro pende la domanda referendaria (sulle firme ormai ci siamo e sulla sentenza di ammissibilità della Corte nessuno può fare previsioni).
da Europa Quotidiano 24.09.11