Con l´inammissibile attacco al presidente della Commissione parlamentare di Vigilanza, Sergio Zavoli, accusato dal direttore (uscente) del Tg Uno di essere un uomo di parte, la crisi della Rai è arrivata all´ultimo stadio: quello istituzionale. E la paralisi dell´azienda, rappresentata scenograficamente dai consiglieri della maggioranza con la decisione di far mancare il numero legale nell´ultima seduta per bloccare le nomine proposte dal direttore generale, ha raggiunto il punto di non ritorno. Siamo ormai a un passo dall´autodistruzione.
La “direttora di latta”, già clamorosamente smentita dal suo stesso consiglio d´amministrazione sul contratto con Serena Dandini per la trasmissione “Parla con me”, ha dovuto subire così un nuovo colpo alla propria immagine e credibilità. Questa volta il suo pacchetto di nomine non è stato neppure respinto, ma semplicemente congelato, rinviato, accantonato. E così la Terza rete, orfana di Paolo Ruffini passato nel frattempo a La 7, resta ancora priva di guida in attesa dell´insediamento di un professionista esperto e collaudato come Antonio Di Bella; mentre al Tg Due il direttore “ad interim”, Marcello Masi, si accinge legittimamente a sostituire d´ufficio il dimissionario Mario Orfeo dopo una “vacatio” di oltre tre mesi.
Ha un bel dire allora il presidente Paolo Garimberti che “la Rai è paralizzata dai giochi di potere”. O il direttore generale, Lorenza Lei, che si rifugia nell´alibi del “vorrei ma non posso”. Entrambi hanno il dovere morale di trarne le conseguenze, per impedire il disastro e favorire una svolta nella gestione fallimentare dell´azienda: altrimenti, rischiano di diventare oggettivamente complici di un crac.
A questo punto, l´unica chance in mano al “presidente di garanzia” eletto da una maggioranza trasversale e ai consiglieri nominati dall´opposizione è quella di autosospendersi dal loro incarico: cioè di non partecipare più al consiglio di amministrazione, provocando magari un soprassalto di responsabilità da parte degli altri. Se i rappresentanti del centrodestra ricorrono addirittura al “filibustering”, in senso parlamentare, cioè all´ostruzionismo che provoca appunto la mancanza del numero legale, che cosa ci stanno a fare ancora i consiglieri di minoranza? La guardia al bidone? I convitati di pietra?
C´è a ben vedere un collegamento diretto tra lo stallo di palazzo Chigi e quello di viale Mazzini. È l´istinto di sopravvivenza e di autoconservazione che accomuna un gruppo di potere allo sbando. Un atteggiamento di arroganza e allo stesso tempo di paura e disperazione, da parte di una maggioranza che non c´è più.
La Rai, si sa, è sempre stata nella sua storia il megafono del governo in carica. Ma ormai è diventata – per così dire – la “cinghia di trasmissione” tra il regime televisivo arroccato nel suo isolamento e il popolo italiano sempre più disorientato e sgomento. E come a palazzo Chigi, anche a viale Mazzini occorrerebbe un “governo di salute pubblica”, un commissariamento, un direttorio, per uscire da un´impasse che mette a repentaglio il futuro del Paese e dell´azienda di Stato.
“Riprendiamoci la Rai”, esorta lo slogan con cui è scattata la mobilitazione dell´Usigrai, il sindaco dei giornalisti interni, in preparazione di uno sciopero di due giorni. Ed è giusto che lo dicano i dipendenti dell´azienda, a cominciare dagli oltre mille professionisti che – nonostante tutto – continuano quotidianamente a fare informazione o cercano di farla. Ma “Riprendiamoci la Rai” dovremmo ripeterlo tutti noi cittadini, telespettatori e abbonati, espropriati del servizio pubblico radiotelevisivo, vittime di una disinformazione di massa, tenuti a pagare un canone che non corrisponde al disservizio fornito.
Alla mobilitazione aziendale, deve affiancarsi perciò una mobilitazione esterna, civile, popolare. Già qualche mese fa avevamo proposto qui una “class action” dei consumatori contro la Rai e contro i dirigenti infedeli che favoriscono la concorrenza. L´idea è sempre valida. Ma tante altre azioni si possono mettere in atto per esercitare una pressione sul vertice dell´azienda: dalla disdetta del canone al boicottaggio organizzato dei prodotti pubblicizzati negli spot sulle reti del servizio pubblico.
Dobbiamo riprenderci la Rai per sottrarla alle grinfie di un premier “a tempo perso” che è anche il suo principale concorrente; alle mani di un potere ottuso e moribondo; alle brame di una partitocrazia che finora l´ha considerata terreno di scorribande politiche e clientelari. Oggi la televisione italiana è, purtroppo, lo specchio del Paese. Domani l´Italia potrà essere migliore, se sarà migliore la sua televisione.
La Repubblica 24.09.11
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“Autunno Rai”, di Mario Lavia
L’anno televisivo della Rai è cominciato malissimo. Rientrata da un’estate in cui ha brillato per l’assenza, nonostante qualcosina su cui informare vi sia stata, tipo la più grave crisi economica mondiale, l’informazione del servizio pubblico sta già facendo cadere le braccia. Non vorremmo che le persone più attente alla qualità dell’informazione siano già assuefatte: tanto c’è Mentana, o SkyTg24. Come per i giovani del Sud che il lavoro nemmeno lo cercano più, tanto non c’è.
Bisognerebbe invece trovare la forza per protestare ancora. E dunque, per noi, ripetere che il Tg1 fa abbastanza schifo non costituisce una novità, anche se qui si va sempre peggio. Alle 20, qui in redazione, è automatico premere il tasto de La7, se vogliamo capirci qualcosa, merito di Mentana e della sua bella redazione, certo, ma molto è demerito di Minzolini, un direttore che stravolge la gerarchia delle notizie, occulta le magagne governative (per quanto possibile, nemmeno lui può fare miracoli), propala linee politiche che nemmeno l’ultimo gregario di palazzo Grazioli: e se l’audience cala, chissenefrega.
Hanno insistito un’altra volta sul programma politico di Giuliano Ferrara, che certo sta a Minzolini come D’Annunzio a Farinacci, ma sempre lì stiamo, ad un programma non solo di parte ma pure non graditissimo al pubblico. Sugli approfondimenti, poi, c’è purtroppo poco da dire: siamo al trionfo di Bruno Vespa e della sua tv dallo spessore millimetrico, grosso professionista ma senza quello che a scuola i docenti di una volta chiamavano spirito critico e che, tradotto, significa scavo, ricerca, dubbio, pluralismo.
Dobbiamo qui lamentarci che manca Santoro, spirito controverso ma pur sempre corroborante per il cervello, dobbiamo qui osservare che siamo costretti a gioire per la permanenza di Floris, Iacona e (quando sarà) della Gabanelli, come se non fosse da considerare scontata la conferma di questi professionisti, dobbiamo qui sottolineare che il cda, stritolato dalla morsa della maggioranza di destra, incapace di avviare un politica di rilancio e di contrasto nei confronti della concorrenza privata? Tutto questo è ovvio, risaputo.
Il problema è che poi avvengono delle cose che ti danno il senso plastico dello stato catastrofico della Rai: hanno tolto Passepartout di Philippe Daverio. Una cosa assurda per un paese che vuole continuare ad essere colto e valorizzare il suo patrimonio. Daverio è un grande divulgatore, una dei rari intellettuali che in questi anni ha messo al servizio di tutti il suo sapere e la sua arte affabulatoria. Per farla breve, è una vergogna.
da Europa Quotidiano 24.09.11
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