L´affettuosa carezza che un Berlusconi torvo e cinto d´assedio ha lasciato scivolare sul capo ormai canuto di Bossi e lo sguardo smarrito, quasi bambinesco, di quest´ultimo riescono persino a fare tenerezza.
Nulla meglio di una simile immagine racconta l´impasto umano di questa strana coppia di lombardi, il lievito che ha alimentato il tanto potere spartito insieme in questi anni.
Un gesto di riconoscenza del padrone verso il servo fedele e ammalato, quando le luci della ribalta si stanno spegnendo e del potere non resta che l´attesa della fine. Tenerezza sì, ma anche rabbia perché quello scatto rappresenta plasticamente la crisi generazionale della destra italiana, l´irrimediabile senescenza di chi non riesce ad accettare il proprio declino e si è trasformato in una maschera di disperata vitalità che resiste nel guizzo degli occhi di entrambi, l´unica cosa mobile rimasta in visi altrimenti impietriti, l´uno dal lifting del cerone, l´altro dalla smorfia della paresi.
Ormai è chiaro: il cavaliere e il senatur arriveranno a fine corsa insieme e si sono sbagliati quanti hanno presupposto che la Lega avesse la forza, ossia l´autonomia politica, di «staccare la spina a questo governo», altra abusata metafora che rimanda a corpi inermi e martoriati. Quando ciò avverrà non sarà un atto di ribellione, ma una scelta di suicidio assistito, al termine di un esecutivo che per sopravvivere a se stesso, arroccato intorno agli interessi di un solo uomo, sarà ricordato come il peggiore della storia repubblicana.
È giunto il tempo di cominciare a scrivere l´epitaffio della Lega che, contro ogni apparente ragionevolezza, sta continuando a ribadire, un atto dopo l´altro, il patto con Berlusconi come se fosse un incantesimo in virtù del quale sacrificare il futuro del movimento. Tra qualche decennio saranno gli storici dell´età berlusconiana a studiare le ragioni di questo legame che sta strangolando l´Italia. Da anni si dice che dietro vi sia una questione economica, giacché Berlusconi avrebbe ripianato gli ingenti debiti di un partito personale come quello di Bossi giunto sull´orlo della bancarotta, annettendolo dentro la sua logica padronale e cortigiana. Non sappiamo, ma certo qualcosa non funziona e solo gli aedi o gli ingenui potranno scambiare questo connubio per una prova di fedeltà e di onore, immemori della spregiudicatezza con cui Bossi ha vissuto per tutti gli anni Novanta il suo rapporto con Berlusconi, quando era il capo di un partito libero e forte, forte perché libero.
Nel corso di quasi vent´anni la Lega ha svolto una funzione imprescindibile nel sistema italiano, scegliendo di determinare le fortune e i rovesci di Berlusconi grazie all´indubitabile fiuto politico di Bossi che, a prezzo di oscillazioni elettorali consistenti, è sempre riuscito a ribadire la centralità della propria posizione.
Ma la macchina di lotta e di governo della Lega si è sorprendentemente inceppata in queste ultime amministrative in cui ancora sperava di poter rosicchiare voti a Berlusconi, garantendo in cambio la tenuta dell´esecutivo. La novità è stata una perdita di consensi comune, il segnale di un elettorato deluso che non è più disposto a farsi ingannare in tempi di crisi economica e di aumento della pressione fiscale. E così, di quella florida e opportunistica stagione, sono rimasti, da una parte, il folklore padano, con il corredo di ampolline e di spadoni, e, dall´altro, l´occupazione militare delle “cadreghe” romane e locali.
La propaganda leghista di questi giorni, alla quale troppo è stato concesso negli anni passati con l´obiettivo di continuare a tenere in piedi il sistema di potere berlusconiano, si mostra in tutta la sua ridicola inconsistenza, tra eserciti padani, referendum sulla secessione e le offese al tricolore. Una classe dirigente e un´opinione pubblica meno accondiscendenti non avrebbero dovuto tollerare questi slogan soprattutto se provenienti da ministri della Repubblica, ma, in nome del contenimento dell´attuale assetto di potere (e i risultati si sono visti), ci siamo assuefatti anche a questo.
Dietro i velami della propaganda ormai non resta che la difesa delle poltrone: il partito che aveva fatto della legalità e del rigore la sua ragione d´essere spende il proprio consenso per difendere le parti più corrotte del sistema berlusconiano, dopo avere sostenuto tutte le leggi ad personam di questi anni. E per giunta lo fa a corrente alternata, disorientando ancora di più il suo elettorato: il magistrato Papa è finito in carcere grazie a un vagito di dissenso maroniano, subito rientrato nei ranghi poiché non è facile trasformare partiti del capo in organismi democratici.
Ora, però, libera Milanese per salvare il governo – Bossi dixit – e si appresta a fare lo stesso in occasione del voto di sfiducia contro il ministro siciliano Saverio Romano, rinviato a giudizio per concorso in associazione mafiosa. Ciò non deve stupire perché la “Padania” di Bossi e il “Sud” di Romano esprimono due facce corporative e localistiche di una stessa crisi nazionale.
Intanto la base leghista è stanca e rumoreggia, ma viene censurata da Radio Padania che rivendica il diritto di farlo quando si parla male del partito, come se fosse Radio Bulgaria. Tra i dirigenti nessuno si ribella e in questo silenzio si sta consumando l´esaurimento di un movimento che Berlusconi, tra una carezza e un abbraccio, finirà per soffocare.
La Repubblica 24.09.11