Bersani attacca il premier «impresentabile» all’Onu e dà appuntamento alla manifestazione del 5 novembre a Roma. Cesa ai parlamentari Udc dopo il voto su Milanese: «Preparatevi al voto a marzo». Il 5 novembre il Pd scende in piazza «in nome del popolo italiano». Pier Luigi Bersani lascia Montecitorio dopo il voto su Marco Milanese parlando di «giornata amara per il Parlamento». In ogni caso. Perché se anche quel no all’arresto sancito dai voti di Pdl e Lega fosse stato «ispirato da una continuità di governo, dall’esigenza di sopravvivere», dice il leader Pd, anche questo sarebbe «da irresponsabili». Mentre tutti gli occhi sono puntati sul crollo della Borsa, l’impennata dello Spread, il ministero del Tesoro che rivede al ribasso il Pil, il governo ancora una volta si mostra incapace di affrontare la crisi economica e il «premier a tempo perso» è impegnato in sempre più numerose vicende giudiziarie («Italiani a tempo pieno» è la campagna d’affissione lanciata ieri, mentre da stamattina sui muri delle città del nord compariranno i manifesti sulla Lega «salva-cricca»). Per questo Bersani lasciata Roma e arrivato a Cortona dove apre la scuola di formazione politica del Pd che andrà avanti fino a domenica dà appuntamento alla manifestazione del 5 novembre con lo slogan «in nome del popolo italiano». «Noi non siamo semplicemente l’opposizione, noi vorremmo interpretare un’esigenza di riscossa per la ricostruzione di questo Paese». Vuole una piazza «larga», il leader del Pd: «Cercheremo di chiamare tutti». Perché a questo punto la priorità è «rimettere il Paese all’altezza della sua dignità».
Il voto su Milanese non è che una goccia. Le notizie sulle vicende giudiziarie del premier, le intercettazioni, le battute, hanno fatto il giro del mondo. Scuote la testa, Bersani: «Noi siamo la settima potenza industriale, siamo uno tra i primi dieci Paesi del mondo. Ma possiamo essere ridotti che all’Onu si parla di Palestina e Frattini interverrà lunedì, in coda a tutti, perché noi mandiamo il ministro degli Esteri e non mandiamo il presidente del Consiglio. E non lo mandiamo perché è impresentabile».
Bersani non si capacita di come il governo si arrocchi nonostante si dimostri ogni giorno incapace di far fronte alle «condizioni reali del nostro Paese». Per il leader del Pd serve «un nuovo inizio, una discontinuità, un gesto»: «Cosa ci vuole ancora per cambiare governo? Abbiamo uno Spread di oltre 400 punti e le imprese sono con l’acqua alla gola», twitta sul cellulare.
Dar vita a un governo di transizione è l’ipotesi sempre in campo. Anche se, nella stessa Udc, strenua sostenitrice del governo di responsabilità nazionale, dopo il voto di ieri iniziano ad emergere perplessità sulla possibilità di andare a una soluzione come questa. Avrebbe detto infatti il segretario dei centristi Lorenzo Cesa ai parlamentari del suo partito: «Preparatevi al voto. Ormai è chiaro che dopo oggi non vi è alternativa alle elezioni anticipate. Servirebbe un governo di responsabilità nazionale, ma senza sponde nel Pdl l’ipotesi è impraticabile. Dunque, non perdiamo tempo e prepariamoci perché a marzo si vota»
Nel Pd la soluzione del governo di transizione rimane in cima alle ipotesi, ma Bersani non si vuole far trovare impreparato di fronte al rischio di una precipitazione verso le urne. Per questo sta impegnando il partito in una serie di iniziative che culmineranno, dopo la giornata di mobilitazione straordinaria del 15 ottobre, con la manifestazione del 5 novembre a Roma. E il candidato premier? Bersani ribadisce che non vuole mettere «il carro davanti ai buoi» e che il modello dell’uomo solo al comando si è già visto che non funziona. «Adesso bisogna lavorare al progetto, poi viene coalizione e infine il candidato, che si sceglierà con meccanismi di ampia partecipazione. Finalmente entreremo in una democrazia seria».
L’Unità 23.09.11