Una lotta solitaria per il diritto allo studio del proprio figlio disabile. L’anno scolastico per Margherita Basso è cominciato così. Il piccolo G. ha otto anni, è affetto da una grave paralisi cerebrale, soffre di epilessia, non parla e mangia a fatica. La scuola italiana gli assegna un’insegnante di sostegno per 11 ore alla settimana. Margherita non ci sta: «Non lascio il mio bambino a scuola da solo, rimango con lui. Non potrei, è vero, ma finché le cose non cambieranno continuerò a farlo». L’anno scorso G. era seguito, per 22 ore settimanali, da un’insegnante a tempo determinato con nomina annuale. Da settembre oltre al dimezzamento delle ore c’è stato il cambio della cattedra. Siamo a Palermo, nel quartiere Montepellegrino. «Tre insegnanti di sostegno non bastano per un istituto che conta cinque disabili gravi – aggiunge Margherita – speriamo in nuove nomine del Provveditorato ma intanto io e un’altra mamma ci stiamo muovendo per fare ricorso al TAR».
Allontanare il mostro della solitudine non è facile («Non mi sono mai iscritta a un’associazione, qui le cose vanno a rilento»), ma su Facebook la giovane donna si avvicina a realtà che sono distanti dalla sua soltanto per la posizione sulla cartina geografica.
Nella ricca Lombardia le cose infatti non vanno diversamente: lo scorso novembre, assistite da “Avvocati per niente” e appoggiate da Ledha, 17 famiglie di Milano hanno avviato e vinto la prima causa antidiscriminatoria collettiva in Italia. «La sentenza esecutiva era stata pronunciata in gennaio – racconta un genitore – ma il MIUR ha fatto ricorso sostenendo che i nostri figli non fossero stati discriminati. Quel ricorso il ministero l’ha perso ma le cattedre sono state attivate ad aprile, quando l’anno scolastico era ormai quasi finito. E il mio bambino, così come altri, quest’anno avrà ancora un’insegnante diversa».
«La legge finanziaria 296/2006 usa l’espressione “effettive esigenze” dei singoli alunni disabili», spiega l’avvocato Salvatore Nocera, vicepresidente della FISH. Esigenze che andrebbero rispettate in maniera prioritaria, ma dei casi di disabili lasciati allo sbando nelle prime settimane di scuola si perde il conto, perché gli insegnanti (precari) spesso vengono assegnati a settembre inoltrato. «Se il dirigente scolastico mi consiglia di tenere a casa mio figlio e di portarlo a scuola soltanto due giorni la settimana non posso più credere nel diritto allo studio», si sfoga una mamma romana. Intanto il ministro Gelmini sottolinea che «quest’anno gli insegnanti di sostegno sono 94mila, il picco più alto mai raggiunto nella scuola italiana». Gli alunni disabili però sono aumentati di più di 7mila unità, passando da 181mila nell’anno scolastico 2009/2010 a oltre 188mila in quello successivo.
«Questi numeri soddisfano la media nazionale di un insegnante per due disabili (stabilito dalla legge 122/2010) – dice Evelina Chiocca, presidente del CIIS, Coordinamento Italiano Insegnanti di Sostegno – ma cosa me ne faccio delle cifre se nel concreto non rispetto le necessità dei singoli alunni?». Il gioco della coperta troppo corta si ripete dappertutto: in una scuola del varesotto L., una bimba straniera sorda, divide con un altro alunno l’insegnante di sostegno, che racconta: «Ho conosciuto L. da qualche settimana, l’anno scorso mi occupavo soltanto dell’altro bambino, che dal rapporto 1 a 1 è passato a quello di 1 a 2. Sono precaria e non ho il titolo specialistico per il sostegno, ma mi aggiorno continuamente. Peccato che la continuità didattica che ho garantito ai miei alunni sia stata dettata puramente dal caso. Ogni anno non sai mai in che scuola ti manderanno».
E se la legge 104/92 stabilisce che in presenza di un disabile grave la classe non può essere composta da più di 20 elementi, la realtà e tutt’altra, e arriva a casi estremi come quello accaduto qualche anno fa a Genova: «Una classe seconda di un istituto professionale arrivò a comprendere 7 disabili», ricorda Paolo Fasce, coordinatore dei precari liguri della scuola. «La famiglia sta diventando l’unica vera risorsa per l’alunno portatore di handicap, è questa la triste realtà – spiega un’insegnante di sostegno del siracusano, che dopo 16 anni di carriera ha perso la cattedra ed è stata assegnata dal Provveditorato ad una nuova scuola – e noi maestre? Finiamo a litigare per spartirci una manciata di ore, è umiliante». I problemi non finiscono qui: manca ancora un’adeguata preparazione dei docenti curricolari, responsabili dell’integrazione scolastica tanto quanto gli insegnanti di sostegno. «Troppo debole il coordinamento tra le diverse figure – lamenta Giuseppe Argiolas, insegnante specializzato entrato in ruolo dopo 15 anni di precariato e componente del direttivo nazionale del CIIS – se non altro, negli ultimi anni e specialmente qui in Sardegna, ho notato una maggiore sensibilità nei confronti dei ragazzi disabili». Un’isola felice, verrebbe da dire, in un mare di caos.
da L’Espresso