L’Italia sta pericolosamente scivolando verso il fallimento. Bisogna dire le cose come stanno, visto che il governo ha a lungo tentato di oscurare la verità sulla crisi e sulla propria incapacità di affrontarla. Se vogliamo evitare un drammatico default dello Stato, che travolgerebbe la moneta unica e l’intera Europa, occorre una presa di coscienza, un’assunzione di responsabilità delle classi dirigenti, una riscossa civica.
Ma al nostro Paese serve innanzitutto una svolta politica. Questo governo non ce la fa più. Anzi, non esiste già più agli occhi del mondo, come dimostrano le disposizioni di quasi tutte le cancellerie che tengono i loro leader a debita distanza dal nostro presidente del Consiglio. Il governo Berlusconi ha già fatto fallimento. Ed è interesse nazionale che questo non coinvolga definitivamente il Paese.
Non è certo il declassamento di Standard & Poor’s la prova regina del discredito accumulato dal nostro esecutivo. Questo giornale non ha mai preso per oro colato le sentenze delle agenzie di rating e anche nel numero odierno ospitiamo commenti assai critici sull’operato, sui criteri di giudizio di questi istituti e sui loro intrecci proprietari, che condizionano non ingenuamente il mercato. L’approssimativa reazione di Palazzo Chigi al downrating è invece una testimonianza robusta della confusione e dell’impotenza del governo. Non è soltanto S&P a dire che l’Italia soffre per un’esecutivo e una maggioranza così fragili dalimitare l’affidabilità e la capacità di risposta dello Stato. Non è solo S&P a dire che la manovra correttiva, per quanto pesante, è inadeguata a raggiungere l’obiettivo del pareggio di bilancio nel 2013 perché il prezzo del discredito del governo è altissimo e si paga con l’aumento del costo del debito (ovvero dei tassi sui Bot). Si può legittimamente ribadire il primato della politica a fronte del giudizio di un’agenzia di rating. Ma non si può negare che questo governo difetta proprio nell’esercizio del primato politico.Ha semplicemente alzato le mani dal volante. Ha gestito una manovra da 50 miliardi, che doveva mettere il Paese al riparo della speculazione, con una confusione e un pressapochismo che ne ha distrutto la credibilità prima ancora dell’entrata in vigore. E l’immagine, ieri pomeriggio, della maggioranza disfatta alla Camera che andava sotto a ripetizione, sia pure su questioni marginali, rendeva plasticamente l’idea del declino irreversibile. Ieri, è vero, al quartier generale di Berlusconi si brindava per il trasferimento dell’inchiesta Tarantini a Roma. Un punto a favore del premier, che
aveva rifiutato l’intimazione a comparire come testimone davanti alla Procura. Ma anche questo, a ben vedere, è un segno di disfacimento. Berlusconi pensa ai suoi guai giudiziari. In cima ai suoi pensieri c’è la resistenza personale, il corpo a corpo con la giustizia, la difesa nel bunker senza più alcun progetto di medio periodo per il Paese. Tutto ciò che si muove è per il Cavaliere una minaccia. E intanto la manovra pesante e iniqua attanaglia l’Italia reale. Tagli e tasse senza crescita spingono l’economia in una spirale di stagnazione recessione. La crescita è l’obiettivo a cui devono tendere le forze della ricostruzione. Per rilanciare la crescita occorrono interventi strutturali. E occorre fiducia. Ma la sfiducia verso Berlusconi sta diventando sfiducia verso l’Italia. Lo dimostra il fatto che un’economia più in difficoltà della nostra, quella spagnola, è oggi maggiormente protetta dalla speculazione dopo le elezioni anticipate annunciate da Zapatero. Sono necessarie altre prove per dimostrare che il governo Berlusconi rappresenta un pericolo e un ostacolo per il Paese?
La linea governativa di difesa è che il nostro bilancio primario è migliore di quello francese e tedesco. Che le nostre famiglie hanno maggiori risparmi e patrimoni immobiliari.Che le nostre banche sono le meno contaminate dai titoli spazzatura. Ma non è una linea di difesa valida. Perché la sfiducia che accompagna questo sgangherato esecutivo – con un premier noto nel mondo per le feste notturne e i rifiuti diurni di sottostare alla legge, con il principale alleato che inneggia alla secessione, con una maggioranza che si regge su Scilipoti ed è sempre più divisa su tutto – rischia esattamente di vanificare i punti di forza dell’economia reale. Quelli su cui dovrebbe poggiare un rilancio, un’opera di ricostruzione. La dignità impone a Berlusconi le dimissioni. Dimissioni subito perché, come è stato detto ieri, gli italiani non possono diventare lo zimbello del mondo. Chiunque ha a cuore il Paese dovrà, subito dopo, dimostrare di essere pronto a servirlo.
L’Unità 21.09.11