La chiesa cattolica ha interessi politici e sociali di prima grandezza in Italia, e il Concordato è lo strumento di mutua protezione che stato e chiesa si sono dati e hanno rinnovato, nella Costituzione del 1948, per mantenere la pace religiosa. Tra le macerie culturali e istituzionali lasciati dal berlusconismo, vi è anche la comprensione dell’importanza politica di quel patto. Ne è testimone la ripetuta domanda retorica di quanti si indignano per la scarsa indignazione dei cattolici verso Berlusconi: «Ma la chiesa, che fa di fronte a Berlusconi?» (domanda che ricorda quella degli indignati della piccola borghesia impaurita di fronte al crimine: «Ma la polizia, che fa?»).
Chi pone questa domanda attribuisce inconsciamente alla chiesa cattolica in Italia un potere di “polizia” che nacque, nell’Europa della Riforma e della Controriforma, contemporaneamente al potere della “politica” come potere al di sopra e più forte delle divisioni confessionali.
Nel caso dell’Italia, invocare il giudizio profetico della chiesa sul potere di Berlusconi risponde alla tesi del cattolicesimo come “super-potere” in Italia, il vero sovrano rispetto ad una sovranità popolare debole o fittizia.
Ma coloro che chiedono una sollevazione delle mitre e dei pastorali contro il decadimento delle istituzioni repubblicane domandano alla chiesa italiana di proclamare uno “stato d’eccezione” extra-costituzionale e di varcare una soglia delicata (una soglia dalla quale più volte la chiesa è stata invitata, da quegli stessi indignati, a tenersi lontana).
Non vi è dubbio che nei confronti del berlusconismo la chiesa italiana e il Vaticano hanno colpe gravi di acquiescenza e sottovalutazione, colpe di cui stanno pagando il prezzo in termini di credibilità e capacità di azione. Per di più, la contesa, in corso da anni ormai, tra la Cei e il Vaticano per la supremazia sulla politica ecclesiastica italiana non depone a favore di un’istituzione ecclesiastica cosciente della posta in gioco.
Ma è anche ora di chiedersi “cosa ha fatto Berlusconi alla chiesa”. Giustamente si evocano i favori giuridici e fiscali elargiti alla chiesa. Ma per comprendere cosa sia accaduto a questo paese negli ultimi due decenni, fermarsi all’elenco dei favori significa non vedere la mutazione morale e culturale inoculata da Berlusconi ad un paese che la chiesa cattolica italiana sapeva di aver smarrito già negli anni Settanta.
Per descrivere la pluridecennale guerra culturale mossa dal berlusconismo non esiste termine migliore di “Kulturkampf”, “battaglia di civiltà”, “lotta tra culture”. Questa settimana Benedetto XVI si reca in visita a Berlino, città simbolo del Kulturkampf della Prussia luterana contro il cattolicesimo tedesco. Nel linguaggio moderno, Kulturkampf è stato tradotto nel mondo anglosassone con “culture wars”, le guerre culturali tra liberal e conservatori volte a minare alla base i valori di riferimento del fronte opposto.
In Italia, la guerra culturale condotta da Berlusconi contro i valori di riferimento di un cattolicesimo indolente (ma diffuso e senza offerte religiose alternative) non ha portato nessuno dei valori del liberalismo, e sembra dissiparsi nel libertinismo.
Due sono le ragioni importanti, tra le altre, del successo di questo Kulturkampf berlusconiano. La prima ragione è che gran parte del cattolicesimo e del liberalismo italiani non hanno visto – impegnati com’erano a farsi la guerra tra loro dalla fine dell’Ottocento – la sfida culturale lanciata dal berlusconismo dai primi anni Ottanta in poi. La seconda ragione riguarda il fatto che la generazione di italiani formati (come tutti gli occidentali) all’interno di una “post-modernità” che ha smantellato ogni “grande narrazione” (religiosa, ideologica, mitologica) come spiegazione della realtà non è stata capace di vedere il berlusconismo come “narrazione”, per quanto triviale: il Drive In delle maggiorate come programma politico.
Non è un problema solo italiano.
Per certi vescovi la sola “guerra culturale” in corso è quella mossa dalla sinistra liberale delle libertà civili, erede del Sessantotto, contro il modello tradizionale di famiglia e di “legge naturale”; per certi liberal la sola guerra culturale mossa contro il liberalismo è la testimonianza dei valori di una fede cristiana e cattolica che deve sempre essere culturale e controculturale al tempo stesso.
Ma sul lato dei rapporti tra chiesa, morale e politica in Italia la violenza del linguaggio berlusconiano impone di uscire, specialmente in questo momento, da uno schema ideologico “liberal contro cattolici”. L’epilogo del berlusconismo mette in evidenza il cortocircuito tra queste due percezioni parziali e crea un’opportunità per spezzare le grucce ideologiche di quel Kulturkampf.
da Europa Quotidiano 21.09.11
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“Lo strano silenzio della Chiesa”, di BARBARA SPINELLI
Il sostegno che i vertici della Chiesa continuano a dare a Berlusconi è non solo uno scandalo, ma sta sfiorando l´incomprensibile. Che altro deve fare il capo di governo, perché i custodi del cattolicesimo dicano la nuda parola: «Ora basta»? Qualcosa succede nel loro animo quando leggono le telefonate di un Premier che traffica favori, nomine, affari, con canaglie e strozzini? Non sono sufficienti le accuse di aver prostituito minorenni, di svilire la carica dimenticando la disciplina e l´onore cui la Costituzione obbliga gli uomini di Stato? Non basta il plauso a Dell´Utri, quando questi chiamò eroe un mafioso, Vittorio Mangano? Cosa occorre ancora alla Chiesa, perché si erga e proclami che questa persona, proprio perché imperterrita si millanta cristiana, è pietra di scandalo e arreca danno immenso ai fedeli, e allo Stato democratico unitario che tanti laici cattolici hanno contribuito a costruire?
Un tempo si usava la scomunica: neanche molto tempo fa, nel ´49, fu scomunicato il comunismo (il fascismo no, eppure gli italiani soffrirono il secondo, non il primo). Se Berlusconi non è uomo di buona volontà, e tutto fa supporre che non lo sia, la Chiesa usi il verbo. Ha a suo fianco la lettera di Paolo ai Corinzi: «Vi ho scritto di non mescolarvi con chi si dice fratello, ed è immorale o avaro o idolatra o maldicente o ubriacone o ladro; con questi tali non dovete neanche mangiare insieme. Spetta forse a me giudicare quelli di fuori? Non sono quelli di dentro che voi giudicate? Quelli di fuori li giudicherà Dio. Togliete il malvagio di mezzo a voi!».
Anche l´omissione è complicità. Sta accadendo l´intollerabile dal punto di vista morale, in politica, e i vertici della Chiesa tacciono: dunque consentono. Si può scegliere l´afonia, certo, o il grido inarticolato di disgusto: sono moti umani, ma che bisogno c´è allora di essere papa o vescovo? (avete visto, in Vaticano, Habemus Papam?). Dicono che parole inequivocabili son state dette: «desertificazione valoriale», «società dei forti e dei furbi», «cultura della seduzione». Ma sono analisi: manca la sintesi, e le analisi stesse son fiacche. D´un sol fiato vengono condannati gli eccessi dei magistrati, pareggiando ignominiosamente le condanne. Da troppo tempo questo è, per tanti laici cattolici scandalizzati ma non uditi, incomprensibile. Quasi che il ritardo nella presa di coscienza fosse ormai connaturato nella Chiesa. Quasi che l´espiazione (penso ai mea culpa di Giovanni Paolo II, nobili ma pur sempre tardivi) fosse più pura e santa che semplicemente non fare il male: qui, nell´ora che ci si spalanca davanti.
Un gesto simile a quello di Cristo nel tempio, un no inconfondibile, allontanerebbe Berlusconi dal potere in un attimo. Alcuni veramente prezzolati resterebbero nel clan. Ma la maggior parte non potrebbero mangiare insieme a lui, senza doversi ogni minuto giustificare. Non è necessario che l´espulsione sia resa subito pubblica, anche se lo sapete, uomini di Chiesa: c´è un contagio, del male e del malaffare. Forse basterebbe che un alto prelato vada da Berlusconi, minacci l´arma ultima, la renda nota a tutti. Questa è l´ora della parresia, del parlar chiaro: la raccomanda il Vangelo, nelle ore cruciali.
Sarebbe un´interferenza non promettente per il futuro, lo so. Ma l´interferenza è una prassi non disdegnata in Vaticano, e poi non dimentichiamolo: già l´Italia è governata da podestà stranieri in questa crisi (Mario Monti l´ha scritto sul Corriere: «Le decisioni principali sono prese da un «governo tecnico sopranazionale»), e Berlusconi d´altronde vuole che sia così per non assumersi responsabilità.
Resta che gli alleati europei possono poco. E una maggioranza che destituisca Berlusconi ancora non c´è in Parlamento. Lo stesso Napolitano può poco, ma la sua calma è d´aiuto, nel mezzo del fragore di chi teme chissà quali marasmi quando il Premier cadrà. Il marasma postberlusconiano è fantasia cupa e furba, piace a chi Berlusconi ce l´ha ormai nelle vene. Il marasma, quello vero, è Berlusconi che non governa la crisi ma si occupa di come evitare i propri processi: tanti processi, sì, perché di tanti reati è sospettato. L´Italia è un battello ebbro, il capitano è un simulacro. Non ci sono congiure di magistrati, per indebolire la carica. Il trono è già vuoto. Il pubblico ministero, organo dello Stato che rappresenta l´interesse pubblico, deve per legge esercitare l´azione penale, ogni qualvolta abbia notizia di un reato, e in molte indagini Berlusconi è centrale: come corruttore o vittima-complice di ricatti. Gli italiani non possono permettersi un timoniere così. Se sono economicamente declassati, la colpa è essenzialmente sua.
Berlusconi non farà passi indietro, gli oppositori si ridicolizzano implorandolo senza mai cambiare copione. Oppure vuole qualcosa in cambio, e anche questo sarebbe vituperio dell´Italia. Il salvacondotto proposto da Buttiglione oltraggia la Costituzione. Casini lo ha smentito: «Sarebbe tecnicamente e giuridicamente impossibile perché siamo in uno Stato di diritto».
Perché la Chiesa non dice basta? Si dice «impressionata» dalle cifre dell´evasione fiscale, ma la vecchia domanda di Prodi resta intatta: «Perché, quando vado a messa, questo tema non è mai toccato nelle omelie? Eppure ha una forte carica etica» (Famiglia cristiana, 5-8-07). E come si spiega tanta indulgenza verso Berlusconi, mentre Prodi fu accusato di voler essere cristiano adulto? Pare che sia la paura, ad attanagliare i vertici ecclesiastici: paura di perdere esenzioni fiscali, sovvenzioni. Berlusconi garantisce tutto questo ma da mercante, e mercanti sono quelli che con lui mercanteggiano, di quelli che Cristo cacciò dal tempio rovesciandone i banchi. E siete proprio sicuri di perdere privilegi? Tra gli oppositori vi sono persone a sufficienza, purtroppo, che non ve li toglieranno. Paura di un cristianesimo che in Italia sarebbe saldamente ancorato a destra? Non è vero. Non posso credere che lo spauracchio agitato da Berlusconi (un regime ateo-comunista)abbia ancora presa. Oppure sì? Penso che la Chiesa sia alle prese con la terza e più grande tentazione. Alcuni la chiamano satanica, perché di essa narra il Vangelo, quando enumera le prove cui Cristo fu sottoposto: la prova della ricchezza, del regno sui mondi: «Tutte queste cose ti darò, se prostrandoti mi adorerai». La Chiesa sa la replica di Gesù.
Il Papa ha detto cose importanti sulla crisi. Che agli uomini vengon date pietre al posto del pane (Ancona, 11 settembre). La soluzione spetta a politici che arginino i mercati con la loro autorevolezza. Non saranno mai autorevoli, se ignorano la quintessenza della decenza umana che è il Decalogo. Ma neanche la Chiesa lo sarà. Diceva Ilario di Poitiers all´imperatore Costanzo, nel IV secolo dC: «Noi non abbiamo più un imperatore anticristiano che ci perseguita, ma dobbiamo lottare contro un persecutore ancora più insidioso, un nemico che lusinga; non ci flagella la schiena ma ci accarezza il ventre; non ci confisca i beni (dandoci così la vita), ma ci arricchisce per darci la morte; non ci spinge verso la libertà mettendoci in carcere, ma verso la schiavitù invitandoci e onorandoci nel palazzo; non ci colpisce il corpo, ma prende possesso del cuore; non ci taglia la testa con la spada, ma ci uccide l´anima con il denaro».
La Repubblica 21.09.11