L’estensione delle regole del patto di stabilità interno, da sempre riservate esclusivamente ai Comuni con popolazione superiore a 5mila abitanti, anche ai centri con più di mille anime avrà un impatto pesante. Far sentire le briglie dei vincoli di finanza pubblica anche ai centri con una popolazione compresa fra mille e 5mila abitanti, con bilanci dotati di risorse meno voluminose e con scarsi margini di manovra, farà tornare a galla i problemi dei picchi e della insostenibilità per i municipi che si verranno a trovare con saldi di competenza mista in avanzo. Sarà più difficile in questi enti di minori dimensioni gestire gli eventuali picchi di manovra prodotti da una base di calcolo più ampia. Così come sarà più devastante in questo contesto subire gli effetti negativi del nuovo meccanismo della virtuosità, quando non si è “baciati” dai parametri.
Saranno molti i piccoli Comuni che vedranno accendersi il semaforo rosso nella spesa per investimenti, anche per il venir meno della possibilità di ricorrere al debito, con tutto ciò che ne deriva in termini di blocco delle manutenzioni straordinarie e delle opere pubbliche.
Non vanno sottaciute poi le difficoltà derivanti dai fenomeni patologici generati dal patto (ritardi nei pagamenti delle fatture dei lavori pubblici, aumento dei residui passivi nei bilanci, impossibilità di utilizzare gli avanzi di amministrazione e così via) e dalla burocrazia che il meccanismo si porta con sè (monitoraggi, certificazioni, controlli, prospetti da allegare ai bilanci, programmazioni dei pagamenti in conto capitale, visti di compatibilità monetaria e così via), la quale sarà più pesante in contesti poveri di risorse umane.
Ci si chiede poi se il venir meno del muro che da anni divide in due il comparto, spazzerà via anche tutte le altre differenziazioni di regole che prendono a riferimento proprio il discrimine dell’assoggettamento o meno al patto.
L’idea di estendere il raggio d’azione anche ai restanti due terzi dei Comuni potrebbe essere giusta, ma l’errore è nelle modalità scelte. La manovra bis decide il secco assoggettamento dei municipi con più di mille abitanti al patto di stabilità a partire dall’anno 2013, senza preoccuparsi di una norma di ingresso con la quale traghettare nel nuovo sistema una platea così ampia di soggetti, che conta quasi il doppio dei Comuni rispetto a quelli attualmente assoggettati ai vincoli di finanza pubblica. Il problema è analogo per le unioni di Comuni con popolazione fino a mille abitanti, che dal 2014 saranno soggette alle stesse regole di finanza pubblica previste per i centri con una popolazione corrispondente.
Certamente i Comuni sopra i 5 mila abitanti avranno un alleggerimento del sacrificio a loro carico, grazie alla quota scaricata sui piccoli: secondo le stime Ifel nel 2013 la percentuale sulla spesa media per questi enti, grazie all’estensione della platea, scenderà dal 18% al 15,8%. Ma, come in altri casi, dalla strada scelta derivano più problemi che soluzioni.
Il Sole 24 Ore 19.09.11