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"Inquinatori sì, ma prescritti. In fumo l’inchiesta "Gomorra"", di Antonio Salvati

Dalla realtà al film. L’operazione «Cassiopea» e il traffico di rifiuti tossici seppelliti nel Casertano erano al centro delle vicende raccontate nel libro e nel film «Gomorra». «Non luogo a procedere»: niente processo per i 95 accusati di aver riempito le campagne del Casertano di rifiuti tossici. C’ erano almeno un milione di buone ragioni per portare davanti al giudice quelle 95 persone. Tante quante le tonnellate di rifiuti speciali che secondo gli investigatori vennero prelevate dal Veneto e dal Piemonte e seppellite in ogni anfratto della provincia di Caserta, ma anche in Umbria, nel Lazio, in Sardegna, in Puglia e in Calabria. Eppure, una volta lì, il gup di Santa Maria Capua Vetere Giovanni Caparco non ha potuto fare altro che emettere una sentenza di non luogo a procedere. Il che significa che per quelle indagini iniziate dodici anni fa non ci sarà nessun processo.

Quasi tutti i reati contestati, infatti, sono finiti per essere cancellati dal tempo e anche le accuse più gravi sono state nel corso degli anni derubricate in reati minori «inghiottiti», a loro volta, dalla prescrizione. «Cassiopea», come fu ribattezzata l’inchiesta, venne salutata da tutti come l’alba di una nuova era di contrasto ai reati ambientali. E, nei fatti, così è stato. Basti pensare che prima delle indagini del Nucleo operativo ecologico di Caserta guidati dall’allora pubblico ministero Donato Ceglie, il traffico illecito di rifiuti non era neanche contemplato nel codice penale e lo si contrastava con delle semplici contravvenzioni. Roberto Saviano ha dedicato ampie pagine del suo «Gomorra» alla rivoluzione partita dagli uffici della Procura di Santa Maria Capua Vetere. Era il 1999: tutto iniziò dopo un controllo effettuato dai carabinieri in un’azienda di conglomerati bitumosi ubicata in provincia di Napoli. Fu quello il primo tassello che portò poi nel 2002 alla richiesta di 98 ordinanze di custodia cautelare a carico di imprenditori, trasportatori, faccendieri, titolari di cave dismesse e affini. Tutti quelli che secondo la Procura avevano «tombato» rifiuti vicino a corsi d’acqua e accanto alle coltivazioni di frutta e verdura.

Una ventina di viaggi alla settimana, così come documentato dai carabinieri, treni di Tir carichi di scorie il cui rischio cancerogeno, è stato accertato, era particolarmente alto. Dalle polveri da abbattimento dei fumi delle industrie siderurgiche e metallurgiche alle ceneri da combustione di olio minerale. In tre anni di indagini gli investigatori scoprirono un’organizzazione in grado di «collocare» a prezzi stracciati qualsiasi tipo di rifiuto. Utilizzando un meccanismo diabolico nella sua semplicità: le scorie venivano prelevate dal produttore e depositate presso un centro di stoccaggio, qui la sostanza veniva declassata della sua pericolosità «semplicemente» cambiando la dicitura del rifiuto sulle bolle d’accompagnamento. E poi «scompariva». Seppellita come la speranza di una vita normale per le migliaia di persone che vivevano accanto a questi depositi o mangiavano la frutta e la verdura nata sui campi «concimati» dalle melme acide e dai solventi industriali. Nel 2003 fu avanzata la prima richiesta di rinvio a giudizio a carico degli indagati: da allora tutto si è mosso lentamente, troppo.

Anzi, come in un perverso gioco, si è tornati spesso al punto di partenza. Come nel 2005, quando il giudice del tribunale di Santa Maria Capua Vetere ravvisò in quelle contestazioni gli estremi del reato di associazione mafiosa. Per questo si dichiarò incompetente spedendo il fascicolo a Napoli, sede della Direzione Distrettuale Antimafia. All’esame delle carte però, il pubblico ministero della Dda valutò insostenibile in giudizio quell’accusa e ne propose l’archiviazione. Proposta accettata nell’ottobre dello stesso anno con contestuale ritorno degli atti a Santa Maria Capua Vetere. Basta poco a farsi trascinare dal vorticoso valzer delle udienze preliminari rinviate, figlie di competenze territoriali contestate, accuse sostenibili e non, difetti di notifiche e altro ancora: dal 17 ottobre 2008 (la richiesta del pubblico ministero è datata febbraio dello stesso anno), al 17 aprile del 2009 fino al 20 ottobre successivo e arrivando al gennaio del 2010 e così continuando fino al verdetto dell’altro giorno.

La Stampa 18.09.11