«È un’intercettazione che, se gliela diamo a Berlusconi, vince le elezioni». Non andò proprio così, ma quasi: la rimonta del centrodestra fin quasi al pareggio con Prodi alle elezioni del 2006 ebbe tra i propellenti la pubblicazione il 31 dicembre 2005 su Il Giornale, edito da Paolo Berlusconi, dell’intercettazione nella quale il non indagato segretario ds Piero Fassino il 18 luglio chiedeva «Allora, abbiamo una banca?» al n.1 di Unipol Giovanni Consorte, lo scalatore della Bnl poi bloccato dai pm per aggiotaggio. L’intercettazione non era depositata agli atti, e neppure trascritta o riassunta, ma esisteva solo come file audio nei pc della Gdf, dei pm, e dell’azienda privata «Research control system» che per i pm faceva le intercettazioni. Decisiva, nel 2010, è stata la confessione al pm Maurizio Romanelli proprio dell’amministratore di Rcs, Roberto Raffaelli, che tramite l’imprenditore Fabrizio Favata aveva agganciato Paolo Berlusconi, offertosi in cambio di 40.000 euro al mese di propiziare l’aiuto del premier per il progetto di espansione della Rcs in Romania. Raffaelli ammette d’aver trafugato e portato nella villa di Arcore a Silvio e a Paolo Berlusconi un computer con l’audio, alle 7 di sera della vigilia di Natale 2005 in un incontro organizzato e così dipinto da Favata: «In una sala vi era il grande albero di Natale bianco… Berlusconi appariva stanco a occhi chiusi… Raffaelli fece ascoltare al presidente la telefonata e lui, nel sentirla, sobbalzò sulla poltrona…». Sarà poi Paolo a ribadire a Favata i ringraziamenti del premier, assicurando che «qualsiasi cosa avessimo avuto bisogno bastava un fischio, la riconoscenza della famiglia Berlusconi è al di là della vita». Il 10 giugno scorso Raffaelli patteggia 20 mesi, Favata è condannato a 2 anni e 4 mesi e a risarcire Fassino con 40.000 euro per i danni morali, Paolo Berlusconi è rinviato a giudizio. E il premier? Il pm proponeva di archiviarlo, ma ieri il giudice Stefania Donadeo ha respinto l’archiviazione e ordinato al pm di chiedere (a un altro gup) anche il suo rinvio a giudizio per concorso nella rivelazione di segreto d’ufficio. Decisione che per l’avvocato Niccolò Ghedini è «infondata», «incredibile» e viziata da «una conclamata questione di incompetenza».
Il Corriere della Sera 16.09.11
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«Il nastro un regalo a Silvio per avere una ricompensa», di Luigi Ferrarella
Da anni tuona contro «gli abusi» delle intercettazioni, nella cui pubblicazione (legittima quando gli atti sono depositati) denuncia uno «strumento di lotta politica» ai suoi danni: ma adesso proprio il presidente del Consiglio è a un passo dall’essere processato per aver usato nel 2005 una intercettazione, non depositata agli atti, contro il capo dell’opposizione suo avversario politico dell’epoca (il segretario ds Piero Fassino) e dalle pagine del quotidiano di proprietà della sua famiglia (Il Giornale).
«Tutti i coimputati — ricostruisce il gip Stefania Donadeo — hanno riferito» che la vigilia di Natale 2005 ad Arcore il destinatario della intercettazione coperta da segreto non era Paolo bensì Silvio Berlusconi, «unico interessato alla pubblicazione della notizia riguardante un avversario politico, stante l’approssimarsi delle elezioni politiche», perché «tale notizia avrebbe leso, così come è stato, l’immagine di Piero Fassino». Tanto più che la prima pubblicazione dell’esordio di Fassino a Consorte («Allora, abbiamo una banca?») nell’articolo era monca delle due battute successive, e cioè della risposta di Consorte («Sì, è chiusa») e del commento di Fassino («Siete padroni della banca, io non c’entro niente»). L’uomo delle intercettazioni della Procura (Raffaelli) e il mediatore Favata, come pure Petessi, sponda di fatture false di Raffaelli, hanno «confermato che l’incontro con Silvio Berlusconi aveva la finalità principale di consentire a Raffaelli di parlare con il presidente del Consiglio delle prospettive di espansione» della sua società di intercettazioni «sul mercato estero e in particolare in Romania. In tale occasione, d’accordo con Paolo Berlusconi, Raffaelli aveva portato come regalo a Silvio Berlusconi la registrazione della conversazione telefonica tra Fassino e Consorte», che dunque «costituiva non la ragione dell’incontro, ma solo» appunto «un regalo per Silvio Berlusconi nella speranza di essere adeguatamente ricambiati». Questo, per il gip, è anche «il motivo per cui Paolo Berlusconi, pur avendo avuto conoscenza della conversazione coperta da segreto almeno tre mesi prima, avendola già ascoltata alla fine di settembre, non ne dispone la pubblicazione se non immediatamente dopo averla fatta ascoltare al fratello». Se l’editore de Il Giornale «fosse stato interessato allo scoop giornalistico, non avrebbe atteso l’incontro con il fratello». Invece «il suo principale, se non unico interesse, era — per il gip — non la pubblicazione della notizia, ma il conseguimento dei 40.000 euro mensili richiesti a Raffaelli per poter perorare i suoi progetti in Romania: progetti che potevano essere attuati solo se il fratello Silvio fosse intervenuto. Per questo la conversazione era un regalo da parte di tutti a Silvio Berlusconi».
A «comprovare il concorso» del premier nella rivelazione di segreto d’ufficio», sono «proprio la condotta tenuta nella sua abitazione la sera del 24 dicembre 2005 e il dato storico dell’avvenuta pubblicazione nei giorni immediatamente successivi» (il 27 dicembre la notizia delle intercettazioni, il 31 e poi in gennaio i testi). Quando infatti ascoltò la conversazione, «la sua reazione, dinnanzi alla rivelazione da parte di un incaricato di un pubblico servizio di una notizia coperta da segreto d’ufficio e riguardante un esponente politico», non fu «di disapprovazione, bensì di compiacimento e di riconoscenza». E «ascoltando la conversazione, compiacendosi e dimostrandosi riconoscente verso Raffaelli e Favata», Silvio Berlusconi «ha acconsentito esplicitamente che il fratello Paolo, lì presente e fautore dell’incontro, completasse il regalo ricevuto, ovvero pubblicasse la notizia». Con annessi ringraziamenti e assicurazioni a Favata e Raffaelli, «tramite il fratello Paolo, di gratitudine eterna».
Le versioni dei coimputati divergono invece sul fatto che il premier abbia o meno trattenuto la chiavetta sotto l’albero di Natale. La consegna a Silvio Berlusconi, negata da Raffaelli e non nota a Petessi, è asserita da Favata: il quale però poi aggiunge che Paolo Berlusconi il 27 dicembre (quando sul Giornale c’era il primo cenno ma non ancora il testo delle intercettazioni) gli chiese una seconda chiavetta da consegnare al direttore Maurizio Belpietro, «che io — sostiene Favata — ho avuto da Raffaelli in piazza della Repubblica e ho portato a Paolo Berlusconi in via Negri» (sede della redazione). Il gip non si avventura: mentre «è pacificamente provato l’ascolto delle telefonate intercettate» da parte del premier, «non è invece possibile ritenere altrettanto pacificamente provata la consegna della chiavetta a Silvio Berlusconi». Ma, in ogni caso, «la successiva richiesta della chiavetta destinata al direttore Maurizio Belpietro» appare al gip funzionale al fatto che «gli autori degli articoli, nonché il direttore deputato al controllo, avessero necessità di ascoltare le conversazioni, e quindi di averle su supporto informatico per poi trarne diverse utili informazioni da sviluppare in articoli» succedutisi tra fine dicembre e gennaio. Per questo il giudice ordina al pm di iscrivere nel registro degli indagati anche il direttore per omesso controllo nella rivelazione di segreto d’ufficio (art. 326), ravvisandone «una responsabilità non come concorso doloso» nel reato, ma «per “fatto proprio” punibile a titolo di colpa per non aver attuato il dovuto controllo (art. 57) necessario a impedire che con il mezzo della pubblicazione fossero commessi reati».
Il Corriere della Sera 16.09.11