Tutto in 24 ore: martedì mattina il sinistro ringraziamento di Sergio Marchionne al governo, «Quello che serviva ci è stato dato»; ieri, altrettanto di buon ora, l’asettico annuncio della Fiat: «Dopo la rinuncia del GruppoDr all’acquisto, l’attività dello stabilimento Irisbus di Valle Ufita cesserà». Asettico nella forma ma non certo nella sostanza, visto che la chiusura dello stabilimento irpino metterà sulla strada 700 lavoratori. Naturalmente non esiste nessuna correlazione fra i due episodi, come non c’è fra la pioggia che segue il tuono o la notte dopo il tramonto. «Di fronte all’ impossibilità di portare a termine l’unica soluzione individuata – ha poi precisato Irisbus Italia, società del gruppo Iveco -, che consentiva l’avvio di una nuova iniziativa imprenditoriale ed industriale per assicurare continuità al sito l’azienda sarà costretta, suo malgrado, ad avviare le procedure consentite dalla legge per cessare le attività dello stabilimento». A seguire, una frase ambigua: «Irisbus si rammarica del fatto che le strumentalizzazioni sviluppatesi su questa vicenda non abbiano nemmeno consentito la verifica della nuova soluzione industriale che avrebbe garantito prospettive di occupazione e di reddito».
Nella nota la società ricorda di avere subito «duramente gli effetti della crisi che ha colpito il mercato degli
autobus urbani in Italia, le cui immatricolazioni si sono drammaticamente ridotte». Ciò ha determinato una
progressiva e costante contrazione dei volumi produttivi dello stabilimento, che sono passati dai 717 veicoli
del 2006 ai soli 145 autobus, di cui meno di 100 urbani, dei primi sei mesi del 2011. Fin qui i comunicati ufficiali, il primo dei quali, l’ermetico annuncio della Fiat, è arrivato dallo stesso salone dell’Auto di Francoforte dove, appunto, Marchionne aveva plaudito il giorno prima all’articolo 8 del governo. Quanto alle reazioni, sono state una valanga con un paio di significative assenze, quelle di esponenti della maggioranza e del governo.
Un’esecutivo che è stato peraltro chiamato in causa un po’ da tutti per cercare, almeno in extremis, di porre rimedio ad una situazione già compromessa.
«GOVERNO CONVOCHI UN TAVOLO» «Con il piano Fiat – ha dichiarato il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani –
siamo a tre stabilimenti chiusi: Modena,Termini e ora Avellino. Il risultato è questo. È inaccettabile che con la
situazione del trasporto pubblico locale in Italia e la tradizione che abbiamo si lasci scappare via un pezzo industriale così importante». Per il capogruppo democratico in Commissione Lavoro alla Camera, Cesare Damiano, «la decisione della Fiat di chiudere lo stabilimento Irisbus Iveco è molto grave. Colpisce una produzione collocata nel Mezzogiorno, in territori già duramente colpiti da problemi occupazionali e mette fuori gioco quasi 700 lavoratori e migliaia di addetti delle attività dell’indotto. Molte famiglie si troveranno senza alcun sostegno di reddito in un momento di grande difficoltà a causa della crisi economica». Parole molto dure anche dal responsabile Welfare e Lavoro dell’Italia dei Valori, Maurizio Zipponi: «Marchionne ringrazia a suo modo il ministro Sacconi e il governo italiano per l’articolo 8 della manovra chiudendo in tempi record lo stabilimento della Irisbus. Il dramma sociale e occupazionale di Avellino è la fotografia di un esecutivo che fa da zerbino agli azionisti della Fiat, i quali ormai considerano l’Italia come una vacca da mungere e, giorno dopo giorno, cancellano migliaia di posti di lavoro».
Dal fronte sindacale, compattato dalla gravità del momento, l’unanimerichiesta al governo di convocare subitountavolo della trattativa. «Sono sconcertato dalla decisione annunciata da Fiat e ci sentiamo presi in giro dalle tattiche dilatorie del governo – ha detto Mario Melchionna, segretario della Cisl -. Il sottosegretario
Letta si era impegnato a convocare un incontro, mai avvenuto, a Palazzo Chigi». Per il segretario confederale della Uil, Paolo Pirani, «occorre mantenere il sito industriale garantendo il futuro dei lavoratori.
Non è più oltre rinviabile un reale impegno del Governo per cambiare la situazione in cui versa il trasporto pubblico locale, frazionato in oltre 1200aziende di tutte le dimensioni e fonte di sprechi ed inefficienze».
L’Unità 15.09.11
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“COLPA DEL GOVERNO MANCA UNA POLITICA PER L’INDUSTRIA”, di di Paolo Bonaretti
Dalla crisi dell’ Irisbus ci viene una lezione sui disastri che comporta una politica economica senza politiche
industriali. È evidente che dopo anni di tagli agli enti locali e alle regioni, dopo le ultime manovre approvate e con quella in corso si è colpevolmente colpita la domanda pubblica in settori vitali per la tenuta del paese,
soprattutto nel settore degli investimenti (mentre, come è noto, la spesa statale corrente è aumentata). Inoltre si è resa impossibile la programmazione degli investimenti, sia perché si è generata una situazione di
emergenza, sia perché l’improvvisazione e la mancanza di credibilità delle politiche governative generano un quadro di incertezza in cui nessuno, né amministratori locali, né aziende di trasporto, né le industrie sono
in grado di fare più previsioni e programmazioni di sorta. I tagli al trasporto locale sono spaventosi e insostenibili. In questa situazione le aziende di trasporto non hanno potuto fare altro che prima rallentare e poi bloccare gli ordini, quindi l’intero settore industriale è entrato in crisi. Gli effetti disastrosi continueranno. Innnanzitutto sui costi ambientali: la riduzione dimensionale e di efficienza del servizio pubblico, genererà
maggior traffico privato, con maggiori costi per i lavoratori e gli studenti, ma anche con un peggioramento della qualità ambientale, cui le città dovranno far fronte con maggiori costi per soluzioni palliative. Inoltre il
blocco della sostituzione dei mezzi non consentirà l’introduzione di tecnologie meno inquinanti e con consumi
e manutenzioni molto inferiori; ovviamente questo produrrà nuovi costi ambientali, ma soprattutto ulteriori costi economici e in particolare spesa corrente, impedendo anche una prospettiva di infrastrutture di trasporto più efficienti e soffocando sul nascere qualsiasi ipotesi di partnership pubblico-privata. Il disastro
maggiore però sarà proprio nella scelta di colpire a morte un settore industriale in cui l’Italia sempre avuto una buona capacità industriale e tecnologica. Del resto non bisogna aver studiato economia per capire che un settore industriale, che in tutto il mondo è a prevalente domanda pubblica, entra in difficoltà se si azzera la domanda interna. Non si riescono a studiare e sperimentare nuovi mezzi, nuove tecnologie, nuovi sistemi organizzativi e di trasporto. Il caso di scuola fu la nuova Metro di Napoli: l’allora Ansaldo fu in grado di studiare mezzi e tecnologie di nuova concezione che poi le consentirono di acquisire appalti in tutto il mondo. Si pensi alle sperimentazioni in corso, sull’idrogeno, su metano e idrometano, sull’elettrico e sui integrati di trasporto, sui nuovi sistemi di gestione del traffico delle città che in tutto il mondo privilegiano il trasporto pubblico e il ruolo che questo avrà nelle nuove città sostenibili. Quando questo mercato decollerà (e sta già decollando) la nostra industria sarà fuori gioco, noi non ci saremo. Nel frattempo avremo maggiori costi di gestione, e quando mai avremo risorse da investire compreremo tecnologia di altri Paesi.
Con Industria 2015 del governo Prodi , nell’ambito del progetto strategico Mobilità Sostenibile si erano messe a punto una serie di azioni convergenti di ricerca e sviluppo, di sperimentazioni in
collaborazione con le regioni e i territori che avrebbero generato in pochi anni ritorni di gran lunga superiori ai risparmi che si otterranno da questi tagli; ma Industria 2015 si è prima boicottata poi azzerata. Semplicemente irresponsabili.
L’Unità 15.09.11