«L´Italia è il Paese che amo». In questa dichiarazione – l´inizio della Grande Propaganda – c´era molta verità. Berlusconi ama veramente l´Italia perché ama veramente se stesso, avendo evidentemente operato una sintesi a priori fra l´Italia e la propria persona. Il suo amore non è un rapporto con l´oggetto amato; è il preventivo annullamento della sua autonomia, a cui segue l´identificazione con l´amante. Non è neppure un´inclusione: è un´illusione, un culto idolatrico.
un culto il cui primo adepto, oltre che il primo beneficiario, è proprio Berlusconi. Il quale crede veramente di essere l´Italia. Non di rappresentarla – come nelle moderne dottrine della regalità il Re col proprio corpo concreto rappresentava l´intera complessità del regno – ma di coincidervi.
Una delle conseguenze di questa smisurata proiezione egolatrica è la indistinguibilità di pubblico e privato – l´annullamento del conflitto d´interessi, trasformato nella più perfetta identità d´interessi, passati presenti e futuri, fra Berlusconi e l´Italia – , ma anche la loro intercambiabilità (è Berlusconi che decide che cosa è pubblico, come per esempio la telefonata per Ruby, e che cosa è privato, come le serate con le escort). Un´altra è la coincidenza della parte col Tutto, del suo Partito con l´intero Popolo (il nome del Pdl è tutto un programma), e quindi l´esclusione degli avversari di Berlusconi dall´Italia – da questa Italia fittizia, fatta di proiezioni mentali, ma anche molto concreta nella sua configurazione di potere – . Quelli che lo criticano perdono ogni legittimità politica e morale, poiché non sono una parte che si contrappone, com´è normale in una democrazia, a un´altra parte, ma sono faziosi, traditori e sabotatori, che attaccando il Capo attaccano ipso facto il Paese. Nemici interni, dunque. Una terza conseguenza è che sovrana non è la legge, che vorrebbe considerare Berlusconi un cittadino fra gli altri; sovrano è lui, che è l´Italia, e che in quanto tale è il soggetto della legge e non è soggetto alla legge. Chi potrà mai voler processare l´Italia se non degli anti-italiani?
L´identificazione del governo con lo Stato, e dell´opposizione con l´attività anti-nazionale, è, certo, un´abusata strategia retorica, di ogni tempo e di molti Paesi – per lo più autoritari –; ma in concomitanza con la crisi finale della sua politica e della sua stessa avventura pubblica, Berlusconi sta toccando il grottesco. Il suo ricorso al tema-chiave della sua propoganda, alla radice della sua costruzione di legittimità, è ormai parossistico. Ora, è giunto il momento di squarciare il velo di Maya, di spezzare l´incantesimo, di dissipare le nebbie dell´illusione. E di spiegare a tutti (molti, in verità, lo stanno già comprendendo da soli, all´amara luce dell´esperienza), e in primis all´interessato, che Berlusconi non è l´Italia, che l´Italia non è Berlusconi, e che essere italiani non è essere berlusconiani. Che Berlusconi non è il destino dell´Italia e che lo si può attaccare senza essere anti-italiani.
Essere italiani non è una cosa soltanto, non significa realizzare un´essenza, un carattere, una vocazione unica. L´Italia non ha un´identità compatta, né nella nazione né nella razza, né nella religione né nell´ideologia. E quindi essere italiani vuol dire molte cose; essere portatori di interessi diversi, di ideali diversi, di visioni del mondo e della società differenziate. E questa pluralità, questa complessità – che hanno radici nella storia e nella geografia, nell´economia e nella politica –, non riconducibili a una unanimità, a un unico modello omologante, a un pensiero unico, possono essere una ricchezza, una riserva d´energie e di prospettive, se il punto d´unificazione del Paese, l´essenza dell´essere italiani, non sta nell´identificazione fra l´Italia e un Capo – che in realtà è stata superficiale ed episodica, e che ha avuto come effetto reale la più grave frantumazione della nostra società in mille linee di frattura disarticolate – ma al contrario nella sovranità della legge e nel più solenne dei vincoli: la Costituzione.
Essere italiani, oggi, può significare, in positivo, il riconoscersi in un´unità giuridica e politica, in un sistema di norme e in un´idea di democrazia pluralistica, che costituiscono, in realtà, un patto di uomini e di donne libere. Uniti dal rispetto delle leggi, e quindi dalla reciproca fiducia in se stessi, e dal riconoscersi nelle istituzioni: dall´identificarsi non in un uomo ma nella Repubblica e nei suoi ordinamenti. Essere italiani significa prendere sul serio la Costituzione, che è l´essenza dell´italianità, il progetto di una patria viva e libera perché consapevole della propria ricchezza plurale e della propria volontà di un destino civile comune. Una patria, un Paese, che non dipende dalle affabulazioni, dai rancori e dalle smanie narcisistiche di Uno – che dapprima ama, e che infine, quando l´incantesimo finisce, ingiuria –, ma dall´orgoglio civile di tutti. Dalla voglia, di tutti, di sciogliere il vincolo – tutt´altro che indissolubile – col Capo, e di riprendere, dopo tanti anni perduti, un cammino comune, libero dall´eccezione permanente, dall´anomalia in servizio perenne ed effettivo. Convinti che sia possibile, e magari anche bello, essere italiani.
La Repubblica 14.09.11