E’ difficile scrivere qualcosa di non banale in occasione di un anniversario così importante per tutto il mondo come i dieci anni dall’attacco alle Torri Gemelle di New York. Gli americani vogliono dimenticare,ci dice Di Bella,mentre i giornali ci spingono a ricordare ogni dettaglio. I quotidiani italiani propongono cofanetti,inserti speciali, commenti,persino pseudo quiz per rimarcare l’eccezionalità di quel tragico giorno per gli Stati Uniti e per tutti noi.
” ..ti ricordi cosa stavi facendo?”..chiede un quotidiano, ” dov’eri?” chiede un altro”,mentre tutti ripropongono i video con gli aerei che si abbattono su quello che era il simbolo della potenza americana e le voci registrate quella tragica mattina tra i passeggeri e tra i soccorritori giunti a cercare qualche sopravvissuto tra le macerie.
E’ vero,mentre in queste ore l’allarme terrorismo torna alle stelle per il timore di nuovi attacchi, tutti ci ricordiamo cosa stavamo facendo quell’11 settembre. Non si puo’ dimenticare.
“Siamo tutti americani” avevano titolato il giorno dopo Le Monde, il Corriere della sera e tanti altri quotidiani internazionali, mentre quell’enorme ammasso di cristallo, acciaio, e brandelli di corpi sprigionava un fumo acre e velenoso. Tutti noi, nel mondo occidentale ci sentivamo al fianco dell’America e guardavamo con orrore ad alcune manifestazioni di giubilo che provenivano invece da un’altra parte di mondo. Ci sembrava impossibile che si potesse gioire per quasi tremila morti innocenti.
Una situazione che non prometteva nulla di buono. Se doveva essere un millennio di pace, come tutti speravano dopo la fine della Guerra Fredda, era cominciato proprio male.
A distanza di dieci anni, è proseguito anche peggio,con già due guerre in attivo. Ecco perché in questi giorni non si può parlare dell’11 settembre guardando solo a Ground Zero, e senza chiedersi come questo anniversario sia ricordato proprio in quei paesi che non hanno fatto parte della grande coalizione di 46 nazioni che ha mandato i propri soldati a sconfiggere il terrorismo e i talebani in Afghanistan.
Scelgo tra tutti il Pakistan, con il quale gli americani hanno sempre fatto affari, ma che in quei giorni, di fronte alle macerie fumanti del World Trade Center era attraversato da profondi sentimenti antiamericani, andati via via aumentando.
Il giorno dopo gli attacchi, mentre i cieli del nord America erano chiusi, io sono partita con un volo degli Emirates per il Pakistan passando per Dubai. A bordo oltre all’equipaggio c’eravamo solo io e l’operatore. Nessuno osava prendere un aereo in quelle ore.
A Islamabad,la capitale del “paese dei puri” l’atmosfera era completamente diversa. Nei negozi si vendevano magliette con l’effige di Bin Laden, per le strade era un susseguirsi di manifestazioni di giovani integralisti che bruciavano le bandiere americane e i manifesti con il presidente Bush. Le madrasse erano strapiene di ragazzi che inneggiavano alla guerra santa e si aprestavano a partire per l’Afghanistan al fianco dei fratelli musulmani. In Pakistan, in quei giorni ,non si sentiva americana neanche quella ricca borghesia che mandava i propri figli a studiare nelle università statunitensi. Nessuno credeva che l’attacco fosse partito dal vicino Afghanistan, tutti solidarizzavano con i fratelli musulmani sui quali stavano per cadere le bombe dei B52,nei salotti si sussurrava la teoria del complotto.
Di lì a pochi giorni dall’attacco, il Pakistan sarebbe tornato a diventare un forte alleato degli Stati Uniti che avrebbero ripreso a riversare fiumi di danaro al governo del generale Musharraf nella speranza di averlo al fianco nella lotta al terrorismo.
Che cosa è successo da allora? Questi dieci anni ci dicono che le cose non sono andate come previsto e i sentimenti antiamericani in Pakistan sono aumentati. I giornali pachistani in questi giorni ricordano l’11 settembre condannando l’azione terroristica, ma nei blogs si invita a raccontare anche le storie dei civili sopravvissuti ai bombardamenti degli aerei americani nei villagi pachistani e afgani dove è stata più intensa la caccia ai terroristi di Al Qaida. Anche lì ci sono stati tanti morti innocenti, si legge negli editoriali che ci offrono spunti di riflessione interessanti.
Anche i pachistani e gli afgani- leggo – sono traumatizzati, ma sono troppo poveri per permettersi di andare dal medico e farsi curare per la sindrome chiamata post-traumatic stress disorder e da queste parti, si sottolinea, la gente è troppo occupata a cercare acqua potabile e un pasto al giorno da mettere in tavola per i propri figli.
Continuando così, scrive un altro blogger sul quotidiano Dawn, per ogni civile ucciso dalle truppe americane, nascerà un piccolo Bin Laden.
Il presidente Obama ha chiesto che le cerimonie per l’11 settembre tengano conto delle numerose nazionalità e religioni delle persone morte nelle Torri e ha fatto bene a sottolineare che l’anniversario non passi come una commemorazione solo americana. Da quell’11 settembre 2001 il terrorismo ha colpito ovunque nel mondo, in Europa ma anche nei paesi islamici, i cui governi sono stati accusati di essere troppo vicini all’Occidente.
Ho riletto il discorso di Obama al Cairo all’università Al Azar. Un grande discorso.
“Sono qui per cercare un nuovo inizio fra gli Stati Uniti ed i musulmani nel mondo, basato sul mutuo interesse e sul mutuo rispetto. E sulla verità: America e Islam non devono essere in competizione……ma sovrapporsi e condividere principi comuni, di giustizia e progresso, di tolleranza e dignità di tutti gli esseri umani”…… “Qualsiasi cosa pensiamo del passato, non dobbiamo rimanerne prigionieri. I nostri problemi vanno affrontati in partnership e il progresso va condiviso. Ma la prima questione da affrontare è l’estremismo violento in tutte le sue forme. L’America non è e non sarà mai in guerra con l’Islam. Tuttavia, confronteremo senza tregua gli estremisti violenti che pongono un serio rischio alla nostra sicurezza. Il mio primo compito come presidente è proteggere il popolo americano”….
E’ stato un discorso al fronte moderato,un invito a lavorare insieme.
” La guerra ha depresso e svuotato le casse americane, ma anche i musulmani hanno preso una grande batosta, scrive il blogger pachistano di Dawn, oggi chi ha una barba e un copricapo viene visto come un fondamentalista,” ” le donne con il velo sono guardate con sospetto e il radicalismo è aumentato, se c’è qualcuno che quotidianamente è pronto a farsi esplodere.”
“L’Europa ha dovuto prendere atto dei venti milioni di musulmani che vi abitano e si è incominciato a parlare di diritti e di accetazione della diversità” scrive un altro editorialista, ma i diritti lo sappiamo portano insieme anche i doveri.
Ovunque c”è una ferma condanna dell’attacco dell’11 settembre e delle azioni degli integralisti,ma è forte la richiesta di una maggiore attenzione a non archiviare come “danni collaterali” le persone che soffrono e muoiono ancora oggi per le conseguenze di quell’attacco.
E’ evidente a tutti che in questi dieci anni le nostre vite sono peggiorate, anche se il terrorismo è più debole e Bin Laden è morto. Potranno esserci altri attacchi, ma lo scontro tra civiltà, che alcuni consiglieri del presidente Bush avevano previsto, non c’è stato. Solo il dialogo e la conoscenza, e la continua ricerca di quei punti di incontro a cui faceva riferimento Obama, possono portarci verso un orizzonte di pace. Sono i moderati di tutti i fronti che devono darsi da fare, se non vogliono perdere la nuova occasione che si è aperta con le primavere arabe. Già l’Afghanistan è una guerra di occasioni perdute, per gli afgani e per noi. Evitiamo che lo sia anche il Nord Africa. Altrimenti questi dieci anni sarebbero trascorsi invano.
www.articolo21.org