L’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (Anvur) ha varato, e proposto alla discussione, i «criteri e parametri di valutazione dei candidati e dei commissari dell’abilitazione scientifica nazionale» (nuova formula dei vecchi concorsi). Già Ernesto Galli della Loggia ha indicato sul Corriere alcuni punti assai problematici nei criteri dettati per valutare le pubblicazioni dei candidati, «dettagli» significativi del generale declino del Paese e della sua stessa identità.
Varrà la pena riprendere il discorso, esaminando più da vicino il documento dell’Anvur. Esso afferma di seguire orientamenti condivisi a livello internazionale, ma propone parametri bibliometrici, cioè puramente quantitativi, sui quali proprio la comunità scientifica ha da anni espresso forti riserve. Ricorderemo solo alcune significative e autorevoli prese di posizione. Il Consiglio Universitario Nazionale, nel documento del dicembre 2008, ha escluso la validità di criteri bibliometrici (fondati sull’Impact Factor, ovvero il numero medio di citazioni ricevute in un determinato e breve arco temporale su riviste presenti nelle banche dati citazionali di Isi), per la gran parte delle aree disciplinari, dalla matematica all’informatica, dalle scienze della terra all’ingegneria-architettura, dalle scienze dell’antichità alle discipline filosofiche, storiche, filologiche, giuridiche; più di recente (2011) è tornato a «sottolineare che non è possibile individuare e definire indicatori universali». Nel 2009 una commissione creata dal Consiglio scientifico generale del Cnr, presieduta da Luigi Labruna, proponendo nuovi e più adeguati criteri di valutazione per le scienze umanistiche, ha escluso per esse la validità di criteri bibliometrici e ha sottolineato il carattere non scientifico della banca dati delle riviste Isi (lo stesso va ripetuto per Scopus), trattandosi di prodotti puramente commerciali: la prima è della società Thomson Reuters Corporation, la seconda è degli Elsevier; in queste banche dati si entra non sulla base di valutazioni scientifiche, ma per accordi economici, con accesso a pagamento. Del tutto privo di pretese scientifiche è Google Scholars, grande calderone di libri, riviste e citazioni, facilmente manipolabile e falsificabile. Peraltro il numero delle citazioni non è di per sé indice di qualità: non solo perché le citazioni possono anche essere stroncature (la banca dati non fa differenza), ma anche perché lavori altamente specialistici possono trovare pochi recensori, mentre la loro significatività nei tempi lunghi è assai più incisiva.
In sede internazionale basterà ricordare il documento presentato dall’Académie des Sciences al ministro dell’Istruzione superiore e della ricerca francese (17 gennaio 2011): esso mette in luce, con un dettagliato elenco, tutti gli errori intrinseci all’applicazione di criteri bibliometrici, mostrandone altresì l’inadeguatezza per una corretta valutazione scientifica. Nel marzo 2011 è stato presentato un ampio rapporto della European Sciences Foundation sui criteri di valutazione dei programmi di ricerca nel quale si sottolinea come parametri bibliometrici abbiano un valore del tutto marginale e non possano essere esclusivi o determinanti per la valutazione delle ricerche individuali.
Dunque la comunità scientifica nazionale e internazionale è tutta fortemente critica dei parametri bibliometrici che invece, per l’Anvur, costituiscono parametri da «utilizzare per i candidati all’abilitazione», parametri così precisati: 1) il numero di pubblicazioni censite su Isi o Scopus (o altra base dati di ampia copertura); 2) il numero totale delle citazioni; 3) l’indice h (basato sul numero delle pubblicazioni e sulle citazioni ricevute).
Fortunatamente qualche dubbio deve avere colto i membri dell’Anvur dato che — anche se non detto direttamente — tali parametri non si applicano, almeno per ora, alle discipline storiche, filologiche, filosofiche, antichistiche, giuridiche e sociali (aree 10-14, con alcune eccezioni); per questi settori sarebbe opportuno tener presenti le indicazioni del Cnr.
Preoccupa ugualmente la sicurezza nel proporre parametri quantitativi per tutte le altre aree disciplinari per le quali, abbiamo visto, il Cun aveva escluso la validità. Del resto non sono solo questi i problemi che il documento solleva: al di là del credito dato alle banche dati di Isi e Scopus, assai preoccupante appare la distinzione proposta, fra articoli e monografie in lingua non italiana e quelli in italiano (forse si pensa, ma non si dice, all’inglese), assicurando ai primi una maggiore valutazione. Così una monografia, anche di grande rilevanza, pubblicata in lingua italiana vale meno («peso 1 punto») di una pubblicazione in lingua straniera (peso 1,5: curioso l’uso del termine «peso» per qualificare il valore scientifico di un testo). La stessa definizione di un punteggio massimo per ogni pubblicazione penalizza monografie di più alto valore; meglio sarebbe indicare un punteggio globale per le pubblicazioni, lasciando alle commissioni di valutare le singole opere.
V’è infine l’introduzione di un criterio puramente aziendalistico e manageriale nel «profilo scientifico del professore associato e del professore ordinario»: la capacità «di attrarre finanziamenti»; «almeno in un caso» per l’associato, con una «posizione di leader» per l’ordinario. Come se compito di uno studioso, sua missione, fosse trovare denari e sponsor, e questo possa essere requisito tanto importante da divenire condizione per accedere alla carriera universitaria.
Dettagli? Può darsi, ma siamo qui nel punto più delicato della recente riforma universitaria e si ha l’impressione che il documento dell’Anvur rispecchi un desolato paesaggio nel quale gli stessi protagonisti hanno perduto fiducia nella ricerca libera e disinteressata, accettando un’idea di università come azienda che deve vendere prodotti, valutando i risultati della ricerca in base all’immediato successo, all’ascolto: come si chiede agli spettacoli televisivi, con i noti risultati.
Il Corriere della Sera 10.09.11