Al culmine di una crisi che rischia di travolgere nell´ordine l´Italia, l´euro, l´Europa e il mondo, il capo del governo trascorre ore di intenso lavoro, chiuso in una stanza con l´avvocato Ghedini, per studiare un decreto anti-intercettazioni. Il terrore del premier non è affatto misterioso. Fra una settimana la procura di Bari deposita le intercettazioni dell´inchiesta Tarantini-escort, nelle quali pare che Berlusconi ne dica di tutti i colori.
Richieste, dettagli, particolari sulla vera natura delle «cene eleganti» di Arcore diverranno di pubblico dominio sui media italiani e stranieri, dove già Berlusconi è considerato, per usare la formula più diffusa, «un tragico clown». Lo squallore della vicenda è tale da augurarsi che ciò non avvenga. Per la pietà che suscitano certi casi umani e la vergogna che ricadrebbe sull´intero Paese. Ma un conto è provare pena da uomini e cittadini, altro è armare una guerra parlamentare, come sta facendo il premier, per arrivare all´ennesima legge ad personam.
Cerchiamo di essere chiari. La vita sessuale del presidente del Consiglio a noi non interessa e ne sappiamo già molto più di quanto vorremmo. Almeno fino a quando non lo spinge a commettere veri e propri reati. Come per esempio l´induzione alla prostituzione di ragazze minorenni e la concussione nel caso Ruby. Ai quali bisogna aggiungere, secondo l´anticipazione dell´Espresso, la telefonata in cui il premier suggerisce al fuggiasco Lavitola di non tornare in Italia. Una circostanza che perfino l´avvocato Ghedini in qualche modo conferma, sia pure alla sua maniera da azzeccagarbugli. Lo scandalo è che il presidente del Consiglio, per coprire le proprie miserie, non esiti a proporre una legge che equivale a un colpo mortale su decine e centinaia di indagini su mafia, camorra, ‘ndrangheta e traffici criminali d´ogni genere.
Per giustificare la follia il Cavaliere ha scatenato la più bugiarda e demenziale campagna mediatica mai affidata al suo apparato avvocatesco e giornalistico. A partire dall´argomento principale, portato dall´ineffabile avvocato Ghedini, secondo il quale «non è normale un Paese dove la magistratura intercetta il presidente del Consiglio». Sarebbe vero, ma non è mai accaduto. Mai nessuna toga rossa, bianca o nera, ha messo sotto controllo i telefoni del premier, ma soltanto quelli di indagati per reati comuni. E allora, caro avvocato Ghedini, la sentenza deve essere rovesciata. Non è normale un Paese dove un magistrato non può intercettare uno spacciatore, un latitante o un corrotto senza imbattersi, prima o poi, nell´inconfondibile voce del presidente del Consiglio. Indaghi su Lavitola e spunta Berlusconi, insegui le piste di cocaina di Tarantini ed ecco il Cavaliere, avvii un´inchiesta sui traffici di Lele Mora o sugli appalti Rai di Saccà e rieccolo. Che cosa dovrebbero fare i magistrati, tapparsi le orecchie, bruciare i nastri non appena riconoscono la voce, dimettersi? Non è colpa dei magistrati di Bari o Napoli se il capo del governo passa ore e ore al telefono con faccendieri, galeotti e pregiudicati.
Sono falsi gli altri argomenti che Berlusconi e la sottostante corte di servi da anni spacciano per dati inconfutabili. È una grossolana fesseria che «il novanta per cento degli italiani sono intercettati». È una favola che «le intercettazioni costano miliardi ogni anno». La nostra magistratura usa le intercettazioni né più né meno di quanto fanno i magistrati stranieri. Se non si è informati sulle grandi inchieste di mafia, e non sarebbe strano visti i telegiornali pubblici e privati, basta pensare al ruolo decisivo che le intercettazioni hanno avuto nei delitti più conosciuti dal pubblico, dalla strage di Novi all´omicidio di Sarah Scazzi.
Ma il presidente del Consiglio se ne infischia della lotta al crimine. È disposto a disarmare la magistratura pur di coprire il suo chiacchiericcio su puttane e tariffe con gentiluomini del calibro di Tarantini o Lavitola. È stato capace a suo tempo, per la stessa ragione, di distruggere l´alleanza di governo con Fini. L´ossessione del premier, in un mondo in fiamme, è salvare quel briciola di apparenza che lo circonda. Per farlo deve censurare se stesso, bruciare le frasi dette e le cose fatte. Il Berlusconi pubblico è atterrito dal Berlusconi privato, e noi da entrambi.
La Repubblica 09.08.11