La frase più ripetuta, dai palchi e dalle piazze, è stata «non ci rassegneremo». L´ha scandita Susanna Camusso, leader della Cgil, che così ha concluso la manifestazione di Roma. L´hanno recitata slogan e cartelli nei cortei che ieri hanno invaso le piazze di tutta Italia con l´obiettivo di cambiare la manovra che oggi va al voto di fiducia. Una pioggia di proteste voluta e organizzata – come ormai da un po´ di tempo – dalla sola Cgil, contro il parere nettamente contrario di Cisl e Uil. Uno sciopero generale destinato ad aprire un autunno ancora più caldo dopo la decisione del governo di inserire nel provvedimento una norma che attacca l´articolo 18 dello Statuto dei lavoratori e amplia la possibilità delle aziende di licenziare.
Cento piazze mobilitate, un milione di lavoratori nei cortei di tutta Italia, un´adesione media – secondo il sindacato – del 58 per cento, 200 voli cancellati, il 60 per cento dei treni fermi: queste le cifre fornite dalla Cgil e contestate dal governo stesso (Sacconi ha parlato di «adesione bassa», ma anche di «boomerang» per il paese, Brunetta di sciopero «solo del 3-4 per cento»).
Molte le piazze pacifiche, ma anche momenti di tensione: a Palermo un gruppo di autonomi ha bruciato bandiere della Cisl e della Uil; a Milano rappresentanti dei centri sociali hanno lanciato uova e fumogeni contro alcune banche e tentato di raggiungere la Borsa; uova e vernice anche a Torino dove alcuni «No Tav» hanno provato a salire sul palco; undici agenti feriti a Napoli dai petardi e un coro di fischi all´inno nazionale durante la manifestazione in piazza a Genova.
Segnali di un clima difficile, ma la protesta non finirà qui: «Anche se la manovra sarà approvata, noi non ci rassegnammo – ha detto la Camusso – saremo giorno per giorno in piazza, con quelli che hanno il coraggio di dire no» perché «la manovra è incivile e irresponsabile, fa pagare il conto del paese che non cresce ai lavoratori e ai pensionati». L´Italia, ha detto la leader della Cgil, «no la merita, e non merita un governo inadeguato e inaffidabile» che deve andare a casa perché ha già portato «il paese nel baratro» e ora insiste spingendo «in fondo al tunnel». La Cgil assicura che «siamo ancora in tempo a cambiare» le misure. Chiede la patrimoniale, chiede che fra tanti tagli si pensi anche ad una spesa: «un piano straordinario per l´occupazione dei giovani, senza i quali non c´è futuro».
Certo gli spazi sono stretti e i problemi tanti. Uno di questi, per la Cgil, resta il rapporto con Cisl e Uil: due sigle che al solo pronunciarle hanno fatto fioccare i fischi delle piazze. Bonanni, d´altra parte, aveva appena dichiarato che lo sciopero «spacca il mondo del lavoro e dà un segnale negativo ai mercati», la Camusso aveva appena risposto «mi sembra che Bonanni sia sull´orlo di una crisi di nervi». Perché fare ora lo sciopero? «Se non ora quando? – ha replicato la leader Cgil – Se non è mai il momento di scioperare allora non si è capito cosa succede in questo paese».
L´altro fronte aperto è quello legato all´articolo 8 della manovra, quello che di fatto depotenzia l´articolo 18 dello Statuto e che per la Camusso «è un danno al lavoro e all´occupazione: se il Parlamento non lo stralcia intraprenderemo tutte le strade possibili perché questa vergogna deve essere cancellata». Un punto sul quale anche l´opposizione si è impegnata (oltre a Bersani, Vendola e Di Pietro nei cortei Cgil ieri c´erano molti altri rappresentanti di Pd, Idv e Sel), ma sul quale lo scontro con il governo è frontale. «Sacconi cancelli quell´articolo – ha detto la Camusso – altrimenti non ci saranno più dubbi che è il peggior ministro del Lavoro che la storia della Repubblica abbia avuto». «Rinunciare all´articolo? – ha replicato il ministro – Non se ne parla proprio».
La Repubblica 07.09.11
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“Nelle fabbriche bolognesi gli indignati di Cisl e Uil”, di MARCO BETTAZZI
Alla Ducati, la fabbrica dei bolidi rossi made in Italy, tutti e quattro i delegati Cisl hanno scioperato per otto ore assieme alla Fiom. Contro una manovra «iniqua e ingiusta» e contro l´articolo 8, che definiscono «la goccia che ha fatto traboccare il vaso». E più o meno allo stesso modo hanno fatto alla Lamborghini, alla Saeco e in altre importanti fabbriche bolognesi, perché sono proprio gli operai della dare voce al malcontento che serpeggia dentro il sindacato di Bonanni. Qualcuno di loro poi ieri si è spinto fino in piazza con la Cgil, dove in una Piazza Maggiore tinta di rosso ha ricevuto anche il saluto dei “cugini” della Cgil dal palco.
Partita dalle grandi aziende meccaniche della montagna la rabbia dei “ribelli” della Cisl si è subito estesa ad alcune delle fabbriche maggiori. Tanto che ora il segretario locale delle tute blu Marino Mazzini promette scioperi «se la manovra non cambia», pur appoggiando la manifestazione che Cisl e Uil faranno davanti alla prefettura questo sabato per non pesare sulle tasche dei lavoratori e sui bilanci delle imprese. E a poco sono valsi gli appelli della casa madre, che continua a dire che lo sciopero in questo momento è da irresponsabili e che comunque i ribelli ci sono anche dall´altra parte, basta contarli.
«Ognuno ha le sue idee», commenta a denti stretti Emilio Vincenzi, delegato Fim alla Ducati convinto dall´articolo 8 a scioperare. E il collega Matteo Saglia, iscritto alla Uilm, sfilando in corteo, rincara la dose: «Oggi è giusto scioperare. Ci sono aspetti che toccano la vita di tutti noi, ben oltre lo scontro tra i sindacati confederali». Loro sono stati gli ultimi a decidersi dopo che adesioni simili erano già state proclamate tra i duri e puri delle tute blu. «Abbiamo perso un´occasione per fare un´iniziativa unitaria», dice Stefano Stefanelli dalla Saeco, dove lo sciopero indetto ieri per quattro ore in uscita anche dalla Cisl ha ottenuto una «buona adesione». «La Cgil è voluta andare da sola e ha sbagliato perché insieme avremmo ottenuto risultati migliori, però noi abbiamo voluto comunque dare un segnale adesso», continua. «Arrabbiati è dir poco», spiega invece il delegato Fim della Oerlikon Olindo Cioni. «Non servono le bordate di Bonanni, dobbiamo recuperare l´unità sindacale – continua – io amo fare il sindacalista ma non ci sto a passare come quello che fa da stampella a questo governo». E nascosti tra le bandiere della Cgil che ieri hanno sfilato per Bologna c´erano anche alcuni delegati e iscritti Cisl, specie tra i metalmeccanici. Come Alessandro Magnani della Kemet, fabbrica a rischio di chiusura, che si arrabbia: «Colpiscono sempre gli operai e i più deboli». Pochi e senza striscioni, anche se alla vigilia qualcuno prometteva di portarli, e spesso senza nomi, perché la faccia non sono ancora disposti a mettercela. «Ritenevo giusto farlo, ho la mia testa per pensare e stavolta non sono d´accordo col mio sindacato», spiega un´iscritta Cisl che lavora alla “Perla”, regno dell´intimo di lusso. Poi c´è Maurizio (il cognome non lo dice), 42 anni e operaio alla Lamborghini, che dietro allo striscione della Fiom spiega che un anno fa aveva strappato la tessera Cgil per iscriversi alla Cisl «per divergenze di opinioni politiche», ma che ora tornerà «a casa, perché mi sbagliavo». «Mi dissocio da Bonanni – tuona convinto – sono in piazza perché era giusto dare un segnale forte, anche per responsabilità civile. È ora di darci un taglio, non se ne può più».
La Repubblica 07.09.11