"Un volto-simbolo del cattolicesimo democratico", di Aldo Cazzullo
La morte di Mino Martinazzoli coincide con la scomparsa — o comunque segna il declino — del cattolicesimo democratico. Una minoranza preziosa, per la Chiesa e per lo Stato, che nella storia recente ha avuto un grande potere, proporzionato più al peso culturale che al numero: tra gli Anni 60 e 70 in Vaticano, negli Anni 80 nella segreteria Dc. Dopo la morte di Nino Andreatta e l’uscita di scena di Romano Prodi, Martinazzoli restava il simbolo di una storia che ha avuto il suo apice drammatico nel sequestro e nell’assassinio di Aldo Moro (benché Francesco Cossiga, un altro che non ha avuto solo demeriti, potesse passare pomeriggi a spiegare la differenza tra un cattolico democratico, come considerava se stesso e il suo amico Martinazzoli, e un cattolico liberale, come definiva Moro). Gli avversari li liquidano spesso come cattocomunisti, confondendo un fenomeno limitato ad ambienti e personalità ben precisi — intellettuali einaudiani come Felice Balbo, collaboratori di Berlinguer come Tatò e Rodano — con un movimento più vasto. Gli amici interessati ne tessono le lodi …