Giulio Tremonti ha precisato che nella manovra non ci saranno condoni «poiché si tratterebbe di un intervento una tantum che genera introiti di cassa, ma che non modifica l’assetto della finanza pubblica». Evviva. Niente di più condivisibile per chi, come noi, ha sempre criticato duramente la disastrosa politica delle sanatorie. Ma qui, inutile nasconderlo, il problema della credibilità che sempre accompagna simili impegnative dichiarazioni è ancora più grande. Da settimane si rincorrono le voci di un nuovo condono che potrebbe spuntare accanto al tremendissimo (forse) giro di vite sull’evasione fiscale con tintinnio di schiavettoni. Non servono soldi, tanti e subito? E poi, non fu così che andò anche all’inizio degli anni Ottanta, quando alla sanatoria tombale fu accoppiata la legge (pressoché inutile) sulle «manette agli evasori»?
La dichiarazione di Tremonti, semmai, desta anche una legittima preoccupazione: che il partito del condono, agguerritissimo in Parlamento, sia già al lavoro. Convinto, magari, di non incontrare troppa resistenza.
I precedenti la dicono lunga. Ricordiamo che cosa è successo otto anni fa, quando il governo Berlusconi, contrario a parole, si arrese immediatamente all’offensiva parlamentare sfociata non in una, ma in un diluvio di sanatorie. E non possiamo non rammentare come lo stesso ministro dell’Economia, che in quella occasione aveva confessato di essersi dovuto piegare suo malgrado alla ferrea legge dei numeri e dei denari necessari a tenere a galla i conti pubblici, tornando nel 2008 al governo avesse garantito che l’epoca dei condoni era definitivamente sepolta. Salvo poi varare un nuovo scudo fiscale consentendo a evasori che avevano illecitamente esportato capitali di regolarizzarli pagando un ventesimo di quanto versano i cittadini onesti.
Tante volte si è detto di come i condoni abbiano profondamente compromesso la tenuta morale di un Paese dove già le tasse non sono mai state troppo popolari. L’hanno corrotta al punto che c’è chi li utilizza perfino per gabbarli, dimostrando che non sono credibili nemmeno le sanatorie. Quanti hanno chiesto di aderire al condono fiscale per poi dichiararsi falliti e non pagare? E quanti dopo aver pagato la prima rata, poi smettono di pagare, confidando magari in un’altra sanatoria, e poi in un’altra, e un’altra ancora? Non è un caso che al gettito previsto per il benevolo perdono del 2002 manchino almeno 4 miliardi di euro.
Oggi, poi, c’è un dettaglio in più che chiama in causa la credibilità. Ed è il modo con cui sta procedendo la manovra d’agosto, presentata in pompa magna in una conferenza stampa ufficiale a Palazzo Chigi, e smontata nel giro di due settimane (il contributo di solidarietà per i redditi più elevati? Abbiamo scherzato… Il taglio delle Province? Abbiamo scherzato… L’accorpamento dei Comuni più piccoli? Abbiamo scherzato…). Quindi rismontata nuovamente il giorno dopo un vertice politico «decisivo» dal quale il governo, che aveva promesso di non toccare le pensioni, ne era uscito con l’idea bislacca di colpire i riscatti previdenziali per la laurea e il servizio militare. Perché mai dovremmo credere proprio questa volta che non ci metteranno sotto il naso l’ennesimo maleodorante condono?
Il Corriere della Sera 03.09.11