attualità, politica italiana

"Il metodo del Cavaliere", di Massimo Giannini

L´arresto di Giampaolo Tarantini, «estorsore» di Silvio Berlusconi per lo scandalo delle escort, è tutt´altro che «una fantasia», come sostiene lo stesso Cavaliere con la consueta, bugiarda improntitudine.Quel provvedimento cautelare, viceversa, ci offre una verità concreta, e «tecnicamente» ineccepibile. Il presidente del Consiglio ha subito un ricatto. Questa volta, almeno per adesso, lui appare come la «vittima». Ma in attesa di capire se e come cambierà la sua posizione nel corso dell´inchiesta, a leggere l´ordinanza dei pubblici ministeri di Napoli emerge fin da ora un´altra verità, politicamente insostenibile. Berlusconi è un premier che, per i suoi vizi pubblici e i suoi stravizi privati, si è esposto alle intimidazioni costanti di un gruppo di delinquenti. È un premier costretto a comprare il silenzio di chi lo ha «assistito» nelle sue avventure, e minaccia di raccontare tutto all´opinione pubblica. Dunque è un premier che, piuttosto che “vittima”, è carnefice di se stesso. E per questo non può governare una moderna democrazia occidentale.
Nelle 105 pagine del documento del gip emerge con chiarezza quello che si può definire il «metodo Giampi». Tarantini, e insieme a lui sua moglie e Valter Lavitola, hanno effettivamente architettato un meccanismo che gli ha consentito, nel corso di un anno, di «spillare» a Berlusconi enormi quantità di denaro (salvo poi spartirsele e fregarsele tra loro, in un vortice di miserabili e reciproci raggiri). Un versamento «una tantum» di 500 mila euro. E poi 14 mila euro al mese, più il pagamento del canone di affitto della casa e altri benefit. Dalle telefonate intercettate viene fuori in modo esplicito. Tra loro, si dicono «dobbiamo andargli addosso», «dobbiamo metterlo in ginocchio», «con le spalle al muro», «dobbiamo tenerlo sulla corda», «sotto pressione». Per loro, il Cavaliere è un formidabile «bancomat», che serve a finanziargli le vite dissipate cui si sono abituati. In punto di diritto, il premier è effettivamente oggetto di un´estorsione, grave e prolungata.
Ma dietro tutto questo, quello che emerge è soprattutto il «metodo Berlusconi». Perché il presidente del Consiglio paga? Perché fa fronte alle richieste sempre più pressanti e sempre più consistenti dei suoi presunti «persecutori»? Questo è il punto chiave della vicenda, che ci riporta alla calda estate del 2008, ai festini di Villa Certosa, alle «cene eleganti» di Palazzo Grazioli. In una parola: al bunga bunga, alle escort, a Patrizia D´Addario e alle papi-girl. Come scrivono gli stessi magistrati, e come si evince dalla lettura delle intercettazioni, il Cavaliere paga il silenzio di Tarantini e Lavitola. Paga perché i suoi apparenti «aguzzini» non rivelino quello che lui non vuole si sappia.
Sono due le cose che gli stanno a cuore, e che lo spingono a versare «consistenti cifre e benefici», in questo anomalo rapporto di «interlocuzione privilegiata» che intrattiene con un noto «pusher» di ragazze già indagato a Bari (Tarantini) e con un meno noto «faccendiere» già coinvolto nella macchina del fango che servì a massacrare Gianfranco Fini per la casa di Montecarlo (Lavitola). La prima cosa: si deve pubblicamente sapere che Berlusconi non è mai stato a conoscenza di aver avuto rapporti con «prostitute» nelle sue residenze pubbliche e private, non le ha mai pagate per lo loro prestazioni. La seconda cosa: si deve convincere Tarantini, perseguito per favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione, a ricorrere al patteggiamento. In questo modo – scrivono i magistrati – l´intero «procedimento finirebbe in archivio, unitamente a tutte le trascrizioni delle conversazioni» relative alle «prestazioni sessuali offerte dalle ragazze» di cui il premier è stato «diretto beneficiario», «senza possibilità di circolazione sulla stampa».
Di queste due urgenze assolute di Berlusconi, come si può leggere nell´ordinanza, Tarantini e Lavitola sono ben consapevoli. Ed è su queste urgenze che insistono, per azionare il «bancomat» del Cavaliere. Se uscisse sulla stampa il contenuto di quelle «trascrizioni» – scrivono ancora i pm riportando i giudizi dell´avvocato di Tarantini – sarebbe «catastrofico per l´immagine di Berlusconi». Per questo paga. Per questo si lascia risucchiare dentro una relazione pericolosa con due disgraziati. Le telefonate tra Marinella Brambilla (segretaria personale del presidente del Consiglio) e Lavitola («attivo e riservato informatore su vicende giudiziarie di interesse dello stesso Berlusconi», secondo la definizione dei giudici) sono agghiaccianti. Per il tono (di «speciale vicinanza», lo descrivono i magistrati). Per il linguaggio (ricorda quello dei gangster di Chicago degli Anni Trenta). Per il contenuto (nel gergo dei faccendieri si parla allusivamente di «stampa di fotografie», che nella terminologia dei giudici si traduce in «dazione di consistenti somme di denaro contante»). Il tutto, intermediato da «Juannino», alias Rafael Chavez, misterioso collaboratore peruviano di Lavitola.
Berlusconi, come scrive l´ordinanza, è coinvolto in tutta questa penosa vicenda solo «dal punto di vista mediatico». Non c´è agli atti nessun risvolto penale a suo carico. Ma torna in gioco, oggi più che mai, l´enorme gravità politica dei fatti di cui il premier si è reso protagonista. Torna in gioco l´insostenibilità etica di un presidente del Consiglio che oggi, di fronte alle rivelazioni intorno all´arresto di Tarantini, torna a ripetere la favola del benefattore, che non paga per far tacere i testimoni scomodi delle sue intemperanze, ma per aiutare «le famiglie bisognose». Chi vuole aiutare i poveri fa donazioni pubbliche, magari di fronte ai sindaci e alle autorità costituite, non versa contanti sottobanco a «lenoni» indagati e a trafficanti chiacchierati, con l´intermediazione di oscuri sensali sudamericani.
Torna in gioco l´inaffidabilità di un capo di governo che, in piena discussione sulla manovra economica a metà luglio, perde una quantità esorbitante del suo tempo per discutere di questi «affari» al telefono con Lavitola, e per raccontare la sua indignazione dicendo «… a me possono dire che scopo… è l´unica cosa che possono dire di me… non me ne fotte niente… tra qualche mese me ne vado per i cazzi miei… da un´altra parte e quindi… vado via da questo paese di merda …» Il vero «paese di merda» non è l´Italia, che non merita questo insulto. Ma è il «mondo parallelo» che il presidente del Consiglio costruisce con le sue menzogne, con i suoi comportamenti.
Lo squallido caso Tarantini racconta di un premier che, travolto dalle sue debolezze, si offre sistematicamente al ricatto. E non è più un uomo libero. Non lo è non certo nell´organizzazione delle sue serate, ma nell´esercizio proprio della sua funzione politica e istituzionale. Altro che gossip, altro che privacy. Questo è uno scandalo pubblico, al quale Giuseppe D´Avanzo, su questo giornale, aveva inchiodato il Cavaliere, prima con le «dieci domande» sul caso Noemi-D´Addario, poi con le «dieci bugie» sul caso Ruby. Perché è costretto a comprare il silenzio di tante, troppe persone? Di cosa ha paura? Qual è la verità che deve a tutti i costi nascondere? Dopo quasi tre anni, noi crediamo di averlo capito. Ma lui, agli italiani, non lo ha ancora spiegato.

La Repubblica 02.09.11

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“Caso escort, ricatto a Berlusconi” arrestati Tarantini e la moglie, di DARIO DEL PORTO e CONCHITA SANNINO

“Pagato per tacere e patteggiare”. I pm: grave fuga di notizie Il gip: l´indagine spetta a Napoli. Un uomo sotto ricatto. Stretto da persone senza scrupoli o disperate che sono pronte ad «andargli addosso», vogliono «tenerlo sulla corda», metterlo «con le spalle al muro» o peggio «in ginocchio». E gli spillano quattrini nella consapevolezza che «più merda esce meglio è». È il ritratto del presidente del consiglio Silvio Berlusconi così come tratteggiato dal gip di Napoli Amelia Primavera che ha disposto l´arresto di Gianpaolo Tarantini, l´imprenditore barese che portò Patrizia D´Addario a Palazzo Grazioli, della moglie Angela Devenuto e di Walter Lavitola, direttore ed editore dell´Avanti!, protagonista un anno fa della campagna di stampa sulla casa di Montecarlo in uso al cognato di Gianfranco Fini. Sono accusati di estorsione ai danni del premier. Tarantini è rinchiuso nel carcere di Poggioreale, la moglie a Pozzuoli. Lavitola invece è irreperibile. «Non sono latitante, sono all´estero per lavoro», fa sapere.
Dunque è arrivata la svolta nell´inchiesta coordinata dai pm Francesco Curcio, Vincenzo Piscitelli e Henry John Woodcock e condotta dalla Digos diretta da Filippo Bonfiglio. Un´indagine «fortemente compromessa dalla criminosa sottrazione di numerosi e rilevanti contenuti», sottolinea il procuratore aggiunto Francesco Greco riferendosi alle anticipazioni pubblicate nel numero di Panorama del 25 agosto. Ma nonostante questo ancora «in pieno svolgimento», ricorda la Procura napoletana che ieri ha disposto anche una serie di perquisizioni. Il gip ha ritenuto sussistente in questa fase la competenza territoriale dell´autorità giudiziaria napoletana. Ma la battaglia su questo punto è appena iniziata. L´avvocato di Tarantini, Alessandro Diddi, chiede la trasmissione degli atti a Roma. Secondo l´accusa a Tarantini e alla sua famiglia «viene fornito da tempo in forma occulta una sorta di appannaggio mensile di quasi 20 mila euro: 14 mila mensili, oltre all´affitto della casa di Roma, spese legali e straordinarie». Appannaggio al quale «provvede Berlusconi attraverso Lavitola». A Tarantini, il premier avrebbe destinato anche 500 mila euro “una tantum”. Somma «di fatto consegnata in più riprese a Lavitola» da Marinella Brambilla, segretaria particolare del presidente del Consiglio (che non è indagata) ma pervenuta all´imprenditore barese solo in minima parte, 100 mila euro, i restanti 4/5 sarebbero rimasti nelle mani di Lavitola. Nei colloqui con la Brambilla, Lavitola utilizzava «termini convenzionali» per riferirsi ai soldi e parlava di «fotografie da stampare».
Partendo dalle intercettazioni su alcune società del gruppo Finmeccanica, per conto delle quali Lavitola «sembra svolgere non meglio definitive attività di consulenza», i pm sono dunque arrivati a scoprire conversazioni dalle quali emerge in maniera ritenuta «inequivocabile» la «logica e la prospettiva ricattatoria» che avrebbe ispirato Lavitola e i Tarantini nel loro rapporto con il premier. Le «ragioni giustificative» dei pagamenti erogati da Berlusconi a Tarantini attraverso Lavitola, scrive infatti il giudice, «risiedono tutte nella vicenda processuale radicata a Bari dove Tarantini è tuttora indagato (per favoreggiamento della prostituzione nelle feste organizzate nelle residenze estive del premier – n. d. r.) e Berlusconi è comunque coinvolto anche se solo “mediaticamente”». Il presidente del Consiglio sarebbe allarmato per il contenuto ritenuto potenzialmente «catastrofico» delle trascrizioni contenute negli atti depositati alla fine dell´indagine pugliese. Per questo sarebbe stata «suggerita» a Tarantini la via d´uscita del patteggiamento, soluzione individuata «nell´interesse sostanziale di Berlusconi» così da evitare la diffusione delle telefonate. È in questa fase che Lavitola, secondo quando desunto dai magistrati dai colloqui intercettati, suggerisce invece a Tarantini di mantenere ferma la volontà di affrontare invece il processo pubblico. «Salvo che in extremis non sia Berlusconi a chiedergli “in ginocchio” di optare per il patteggiamento», rileva il giudice. Così da tenere il premier «sulla corda». «Ho solo aiutato una famiglia in difficoltà», aveva affermato il premier a Panorama (settimanale di sua proprietà) escludendo di essere rimasto vittima di un´estorsione. «Non escludiamo di ascoltarlo come teste», dice il procuratore Giandomenico Lepore.

La Repubblica 02.09.11