Mentre il sindaco di Agrigento pensa di cedere ai privati il brand della Valle dei Templi, o qualcun altro di vendere la tv di Stato, il governo italiano vuole regalare ai “soliti noti” altre sei frequenze televisive liberate nel passaggio dal sistema analogico a quello digitale. Il pacco-dono è stato confezionato a palazzo Chigi per essere spedito ai due principali beneficiari: la Rai e Mediaset. Rai e Mediaset, cioè i detentori del vecchio duopolio che oggi fa capo direttamente o indirettamente al presidente del Consiglio. E naturalmente il costo della munifica elargizione, da uno a tre miliardi di euro, sarà a carico di tutti noi, cittadini e contribuenti, sudditi del regime televisivo, in termini di mancato incasso per lo Stato: a meno che nei prossimi giorni non venga approvato al Senato un emendamento del Pd per bloccare questo ennesimo saccheggio via etere.
Siamo in piena emergenza economica e finanziaria. Dobbiamo ridurre il nostro colossale debito pubblico. I titoli di Stato valgono sempre meno e gli interessi aumentano sempre di più. Eppure, rinunciamo a far fruttare un bene pubblico come l´etere, per favorire sostanzialmente gli interessi dell´azienda che appartiene al capo del governo.
È come se l´Italia avesse a disposizione un tesoro nascosto, una miniera invisibile, un immenso giacimento d´oro o di petrolio, ma non volesse sfruttarlo come si deve per ottenere il massimo rendimento. E anzi, invece di cederlo al migliore offerente, lo regala a chi già vi ha messo le mani sopra. Ma, prima di arrivare a vendere i gioielli di famiglia, uno Stato onesto e oculato non dovrebbe cercare di affittare a un giusto prezzo i beni di sua proprietà?
Ormai è un quarto di secolo che il Far West italiano dell´etere viene attraversato impunemente da scorribande di lobby e potentati, con in testa il Cavaliere di Arcore. Fino a quando c´era il Psi di Bettino Craxi a proteggerlo, Berlusconi era rimasto dietro le quinte a godere i benefici del vassallaggio. Poi, come si sa, è stato costretto a scendere in campo in prima persona per difendere a spada tratta il suo macroscopico conflitto d´interessi.
Anomalia dopo anomalia, deroga dopo deroga, rinvio dopo rinvio, l´assetto del nostro sistema televisivo deriva in realtà da quel vizio d´origine che va sotto il nome di “occupazione selvaggia dell´etere”. Fu proprio l´assalto del Biscione alle vecchie frequenze analogiche a innescare una catena di storture legislative e giudiziarie che si perpetuano fino ai nostri giorni. E così anche la pratica del “beauty contest” o “concorso di bellezza”, indicata da una delibera dell´Autorità sulle Comunicazioni per assegnare le frequenze e avallata dalla Commissione europea fino a pretendere che fosse stabilita per legge, può produrre nel contesto attuale un effetto perverso: tanto da legittimare – appunto – la richiesta di un´asta al rilancio, come quella per le frequenze della banda larga di ultima generazione che ieri è partita da una base di 2,3 miliardi di euro e secondo lo stesso ministro Romani potrebbe arrivare addirittura a tre miliardi.
È vero, infatti, che in tutta Europa e anche negli Stati Uniti le frequenze televisive sono sempre state assegnate in via amministrativa e a titolo non oneroso, per alimentare il pluralismo dell´informazione. Ed è vero anche che gli “incumbent” italiani del settore, cioè la Rai e Mediaset, a suo tempo le hanno ottenute gratuitamente. Ma nel nostro Paese non c´è mai stato finora alcun “beauty contest” e adesso un meccanismo del genere rischia di privilegiare proprio i più “belli” che sono anche i più ricchi e i più forti, rafforzando ulteriormente il duopolio a scapito dei “nuovi entranti”.
Sarebbe più opportuno, allora, riservare a questi ultimi il “concorso di bellezza” per assegnare le frequenze in base alle rispettive caratteristiche e potenzialità, mettendo invece all´asta quelle per gli “incumbent” che al momento versano allo Stato un canone di concessione irrisorio, pari appena all´1% del loro fatturato (circa 30 milioni di euro all´anno per la Rai e poco meno per Mediaset). O comunque, far pagare ciascun operatore in proporzione al numero e al valore delle frequenze utilizzate. Altrimenti, al danno (per lo Stato) si aggiungerà la beffa (per i “nuovi entranti”), con un requiem per il pluralismo e la libera concorrenza.
La Repubblica 31.08.11