L’ex presidente della Provincia di Milano Filippo Penati in una lunga lettera alla direzione provinciale del Pd, assicura che «se, al termine delle indagini che sono tuttora in corso, tutto non verrà chiarito» non si nasconderà dietro la prescrizione, non accetterà «in nessun modo, un esito che lasci dubbi e zone oscure e a tutti voglio garantire che farò quanto necessario perché ciò non avvenga». La lettera è in parte una risposta a quanti (tra cui il segretario del Pd, Bersani), in questi giorni, stanno chiedendo a Penati, accusato di corruzione a Monza, di rinunciare alla prescrizione e di farsi processare.
L’ex capo della segreteria politica di Bersani si dice «completamente estraneo ai fatti contestati» e osserva che se i presunti episodi di “corruzione” sono prescritti è perché qualcuno ha aspettato dieci anni per denunciarli. «Il GIP non ha creduto alla tesi sostenuta dai miei accusatori, che si sono proclamati vittime di concussione – si legge nella lettera di Penati – e ha derubricato i fatti nel reato di corruzione. Reato che, per quanto riguarda le mie accuse, è prescritto perché, appunto, fa riferimento a presunti episodi di 10 anni fa. Nelle ricostruzioni apparse sulla stampa indotte dai due imprenditori che mi accusano, ci sono evidenti incongruenze e falsità. Ad esempio, quando Di Caterina asserisce di avermi anticipato fino al 1997, somme per oltre 2 miliardi di lire, che gli sarebbero state restituite nel 2001 dalla tangente di Pasini, versata su un suo conto in Lussemburgo. C’è da chiedersi come avrebbe fatto Di Caterina a sapere molti anni prima che Pasini avrebbe comprato le aree Falck con un’operazione così grande da poter sostenere tali esborsi. Se sono passati ben 10 anni e i reati si sono prescritti ciò è avvenuto perchè il mio accusatore, Pasini, ha aspettato tutto questo tempo prima di dichiararsi vittima di concussione. In tutto questo tempo ha trovato il modo non solo di continuare a fare affari, come è normale per un imprenditore, ma anche di candidarsi a sindaco di Sesto per Forza Italia, An e Lega, senza sentire il dovere di dire una sola parola circa le accuse che solo oggi mi rivolge».
Penati ribadisce che la sua priorità è «ristabilire la verità dei fatti, la mia onorabilità e ridare serenità alla mia famiglia. Ristabilire la mia onorabilità significa per me uscire da questa vicenda senza ombre e senza macchie». E dunque, «Se, al termine delle indagini che sono tuttora in corso, tutto non verrà chiarito, non sarò certo io a nascondermi dietro la prescrizione». Penati ricorda che «lo sviluppo delle indagini è ancora lontano dall’essere concluso e oggi la mia situazione di indagato si sostanzia nell’aver ricevuto un avviso di garanzia e la notifica dell’avviso della proroga delle indagini. Chi mi conosce sa che non sono il tipo che si accontenta di scorciatoie o espedienti». Anche per questo chiede «alla politica di essere garante anche nei miei confronti del diritto che ha ogni cittadino di poter svolgere una difesa efficace e di non subire, soprattutto nella fase iniziale dell’indagine, pressioni politiche o non politiche di alcun genere»
Da www.unita.it
******
“Ecco tutti i salvati dalla prescrizione”, di Massimo Solani
PRESCRIZIONE
«La prescrizione è sempre espressamente rinunciabile dall’imputato». L’articolo 157 del codice penale non lascia dubbi: alla prescrizione si può rinunciare se davvero ci si vuol far processare alla ricerca di una assoluzione piena. Una possibilità che andrebbe ricordata ai tanti dirigenti della maggioranza che in questi giorni si sono scagliati contro il Pd sulla vicenda Penati dimenticando però le prescrizioni di cui hanno beneficiato tanti uomini del centrodestra. Il presidente Silvio Berlusconi è come al solito l’esempio più eclatante. Grazie alla prescrizione, infatti, il Cavaliere si è salvato in ben quattro procedimenti: l’All Iberian 1 per le tangenti al Psi (condanna in primo grado a 2 anni e 4 mesi per finanziamento illecito, prescrizione in appello), il processo per l’acquisto dal Torino del calciatore Lentini (prescrizione grazie alla riforma del falso in bilancio), il consolidato Fininvest e il Lodo Mondadori.
Va detto, però, che il presidente del consiglio è in buona compagnia: nella compagine di governo una bella prescrizione se l’è regalata anche il ministro Roberto Calderoli, assieme al collega di partito Davide Caparini. Il leghista fu processato per gli incidenti con la polizia durante l’irruzione nella sede di via Bellerio: in primo grado fu condannato a 8 mesi di reclusione per oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale, ma in appello la pena è poi scesa a 4 mesi e 20 giorni. Sentenza questa poi annullata con rinvio dalla Cassazione e, nel nuovo processo di secondo grado, per Calderoli e gli altri imputati è scattata la prescrizione. Come anche per il senatore Marcello Dell’Utri, condannato in appello per «appropriazione indebita» nell’ambito della vicenda dei fondi neri di Publitalia. Dell’Utri ricorse in Cassazione alla ricerca di un’assoluzione piena ma per la Suprema Corte nel marzo 2010 confermò la sentenza d’appello dichiarando l’ex braccio destro di Berlusconi «non assolvibile».
Restando poi all’inner circle berlusconiano, la prescrizione ha salvato anche l’ex parlamentare (ed ex militare della Guardia di Finanza) Massimo Maria Berruti, accusato di riciclaggio dei fondi neri del gruppo Mediaset. Ma fra i prescritti della scuderia Pdl in Parlamento vanno segnalati anche Maurizio Iapicca (rinviato a giudizio per false fatture, falso in bilancio e abuso d’ufficio), Luigi Grillo (era stato indagato per truffa sulla Tav Milano-Genova), Domenico Nania (condannato in primo grado per abusivismo edilizio, prescritto in appello), Carlo Vizzini (condannato in primo grado per lo scandalo delle Tangenti Enimont, prescritto in appello), Antonio Paravia (condannato in primo grado per corruzione, prescritto in appello) e Giuseppe Firrarello (condannato in primo grado a due anni e sei mesi per turbativa d’asta, prescritto in appello). Arcinota, poi, è la vicenda del senatore a vita Giulio Andreotti e dell’accusa di associazione per delinquere: reato prescritto in appello ma «concretamente ravvisabile» fino al 1980 scrissero i giudici nelle motivazioni poi confermate dalla Corte di Cassazione.
da www.unita.it del 31 agosto 2011