Va benissimo evitare la completa distruzione del tempo-pieno, purchè, però, si riesca a salvare almeno i connotati essenziali del modello
Sono d’accordo con gran parte delle considerazioni espresse da Pippo Frisone (“un tagliando per il tempo pieno” del 24 agosto) a difesa di un modello alto di tempo-pieno, che potrebbe essere snaturato da un intervento improprio e/o meramente assistenziale del Comune di Milano.
Mi pare, però, che Pippo tenda a negare in radice la “invasione di campo del Comune di Milano nella scuola di Stato”.
Qualche volta, come si sa, le invasioni sono produttrici di eventi rivoluzionari. Dipende, pertanto, dal cosa si invade e dal come si invade.
Effettivamente le 40 ore settimanali del tempo-pieno debbono essere garantite dallo Stato senza interventi comunali. È del tutto evidente, pertanto, che una forzatura normativa è avvenuta. Se il duo Gelmini-Petralia autorizza l’invasione, non può, però, pretendere che il tutto debba avvenire “a tutela delle donne che lavorano”garantendosi un efficace megafono mediatico all’insegna dello slogan “”abbiamo salvato il tempo pieno a Milano””, magari dando atto alla giunta Pisapia di aver effettuato un contributo “responsabile”. Con questa eventuale “sinfonia”, si confonderebbe ancora una volta un progetto educativo fondato sulla programmazione collegiale unitaria delle attività da realizzare, sulle compresenze, sul team docente, sulle classi aperte, sulle attività laboratoriali con uno spezzatino pedagogico di tipo sostanzialmente assistenziale:
Credo che una giunta comunale a vocazione riformista non possa sottrarsi all’esigenza di governare i fenomeni soprattutto quando si tratta di garantire diritti ad una prestazione educativa qualificata nel settore della scuola primaria.
Più esplicitamente: sarebbe veramente non solo riduttivo, ma anche fuorviante offrire al duo la sola vigilanza dei bambini nei refettori per 10 ore settimanali. Si riconsegnerebbe alla città di Milano un modulo educativo antistorico con la parcellizzazione delle 40 ore settimanali in attività di serie A e attività di serie B, riducendo la mensa a mero consumo del pasto e riempitivo dell’orario scolastico tra un’attiva antimeridiana e un’attività pomeridiana.
Se invasione può/deve esserci, bisogna conciliare gli aspetti assistenziali con gli aspetti qualitativi del progetto educativo. E, quindi, le 10 ore settimanali riparatrici dei 455 posti tagliati dovranno contaminare l’intero pacchetto orario delle 40 ore settimanali per evitare che l’intervento del Comune possa essere utilizzato come una sorta di bancomat pedagogico al quale le scuole possono attingere liberamente per risolvere solo i problemi quantitativi originati dai tagli indiscriminati Tremonti-Gelmini.
Fa bene il Comune di Milano ad intervenire nelle scuole “tagliate”, purché, però, si riservi il diritto- in convenzioni inequivoche sul piano dei contenuti- a spendere i pochi fondi a disposizione della nostra comunità attraverso stringenti verifiche bilaterali sulle modalità di utilizzo delle ore riparatrice: modello pedagogico del team-teaching; ore di compresenze per forme di insegnamento individualizzato e attività laboratoriali; tempo “disteso” assunto in modo intenzionale, deliberato e controllato quale specifica risorsa formativa; valorizzazione delle diversità problematiche; pluralità delle figure educative e assoluta parità degli insegnanti con alternanza di ruoli e di orari:
In conclusione: va benissimo evitare la completa distruzione del tempo-pieno, purchè, però, si riesca a salvare almeno i connotati essenziali del modello e si utilizzi l’occasione dell’intervento riparatore in un’azione degna della tradizione pedagogica riformista della sinistra milanese.
da ScuolaOggi.org