Il vero segnale del declino politico e culturale del Paese è il posto che in questi giorni di teso dibattito sulla manovra occupa il tema occupazione, in particolare occupazione giovanile. Parliamo di tutto, dei tagli selvaggi a Comuni e Regioni, del cosiddetto contributo di solidarietà, se deve essere commisurato ai redditi o ai patrimoni. Si parla e si è parlato di tutto tranne che di lavoro. Il problema numero uno del Paese è la sua ridotta base occupazionale che ci pone all’ultimo posto in Europa. La dura realtà è che in Italia lavorano solo 56 cittadini tra i 15-64 anni ogni 100, contro una media del 65% in Europa e del 70% nei Paesi del Nord: Germania, Olanda, Danimarca, Svezia e Finlandia. Questo significa che all’Italia mancano quasi tre milioni di posti lavoro per essere un Paese allineato all’Europa. L’ultima indagine di Confartigianato fotografa una situazione nota a tutti tranne che ai soloni che hanno progettato la manovra. Naturalmente all’interno di queste cifre disastrose di cui nessuno del governo si preoccupa c’è il dramma dei giovani: 1 milione e 400mila gli under 35 disoccupati ed ancora peggio va ai ragazzi sino a 24 anni. In questa fascia uno su tre è senza lavoro con un tasso di disoccupazione quasi del 30% contro una media Ue del 20%. Il problema italiano del più basso tasso di occupazione (occupati sulla popolazione 15-64 anni) europeo non è di oggi ma si è ingigantito grazie alle politiche antisviluppo e soprattutto anti occupazione di questo governo. Perché solo in Italia lo straordinario costa meno dell’orario normale mentre in Francia e Germania costa almeno il 25% in più? Perché la Germania ha tenuto sotto controllo i livelli occupazionali anche negli anni peggiori della crisi – 2008, 2009, 2010 – favorendo orari ridotti mentre in Italia anche gli strumenti esistenti come i contratti di solidarietà sono stati applicati poco e male? Perché nell’ampio e confuso dibattito in corso sulla manovra si parla di tutto tranne che di misure efficaci per rilanciare uno straccio di sviluppo e di occupazione? Assistiamo ad una confusa discussione su eventuali contributi di solidarietà da chiedere a chi più ha ma niente si vede all’orizzonte per eventuali e necessari utilizzi di queste risorse a fini di rilancio dell’occupazione, giovanile e complessiva. La fantasia si può sbizzarrire: ad esempio una minitassa dell’1% sui grandi patrimoni, tirando in ballo solo quel 10% di famiglie che possiedono il 45% degli 8.400 miliardi di ricchezza privata darebbe più di 10 miliardi che potrebbero andare a defiscalizzare il costo lavoro dei giovani under 35, chiedendo un contributo minimo di 10mila euro a ogni famiglia benestante ma dando un contributo significativo all’occupazione, giovanile e non. Quando ci si lamenta della difficoltà di imprese anche artigiane di reperire mano d’opera operaia qualificata, si dovrebbe meditare sulla svalutazione sistematica del lavoro operaio, in salari e diritti – come viene fatto anche con questa manovra – senza dimenticare che parliamo di dimensioni diverse tra disoccupati e carenza di offerta di lavoro: i primi sono milioni, i secondi non arrivano a 100mila. Bisognerebbe anche meditare sul doppio mercato del lavoro che ha richiamato 4 milioni di immigrati tra il 2000 ed il 2010. Il mercato del lavoro di bassa manualità è così mal trattato che ad esso rispondono solo gli immigrati, mentre la domanda di lavoro di media ed alta qualità è bassa perché il tasso di innovazione e tecnologico del sistema Italia è basso. Scuola, cultura, ricerca ed innovazione non sono mai state nell’agenda prioritaria di questo governo, col risultato che sia le produzioni innovative che i posti lavoro qualificati sono carenti ed alimentano un doppio mercato del lavoro: nel biennio 2008-20010 l’occupazione si è ridotta di più di 500mila unità ma l’occupazione italiana si è ridotta di 800mila mentre quella straniera è aumentata di 300mila. È il comportamento classico di un mercato del lavoro stanco e asfittico, dove finisce per funzionare abbastanza bene solo il ricambio di lavori di bassa e media qualifica, quando i vecchi vanno in pensione. L’Italia non cresce e invecchia male: da anni facciamo quasi la metà di figli dei francesi e nessuna politica pro lavoro, pro giovani e pro famiglia. Se non cogliamo l’occasione della manovra per cercare di ovviare al più grave problema economico e sociale, il basso livello di occupazione complessivo e la condanna al lavoro precario dei giovani, anche ricorrendo a tutte le risorse private che il Paese possiede, significa proprio che non abbiamo capito niente delle forze che muovono il mondo globalizzato: il sapere e l’innovazione che, dovunque nel mondo, sono portati avanti soprattutto dai giovani.
L’Unità 26.08.11