Quanto è accaduto in Libia non è soltanto la caduta di un tiranno lunatico e sanguinario. Nonostante le difficoltà e il caos interno che immancabilmente seguiranno di qui a poco, la caduta di Gheddafi segna di fatto una triplice rottura storica, la somma delle cui componenti sconvolgerà il panorama internazionale. La prima è che l´Europa in Libia ha ripreso l´iniziativa sullo scacchiere mondiale, non soltanto senza gli Stati Uniti, ma addirittura contro di loro, in quanto sono gli europei ad aver reso possibile questa vittoria del movimento insurrezionalistico libico persuadendo le Nazioni Unite a dargli pieno appoggio. L´Europa dunque ha saputo imporsi come protagonista autonoma e determinata della scena internazionale, mentre l´ultima volta in cui ci si era cimentata risale al 1956, quando Francia e Gran Bretagna si lanciarono con il sostegno di Israele in un´operazione militare contro l´Egitto, dopo che Nasser ebbe nazionalizzato il Canale di Suez.
Gli Stati Uniti avevano immediatamente posto fine a quell´impresa, ingiungendo ai suoi alleati di rinunciarvi. Le due ex superpotenze del XIX secolo ne erano uscite umiliate più che mai. La Gran Bretagna era giunta alla conclusione di non poter più aver peso e influenza nel mondo se non restando nella scia dell´America. La Francia aveva compiuto invece una scelta opposta, uscendo dal comando integrato della Nato e affermando una propria peculiarità politica in Occidente, ma in ogni caso – né nell´una né nell´altra, né nelle proprie componenti né nel suo insieme – l´Europa non ha più avuto un ruolo diplomatico proprio per quasi sessant´anni.
Tutta occupata a costruirsi, l´Europa dal punto di vista politico era un non-essere, tutto fuorché quell´”Europa potente” vagheggiata dalla Francia. Ma quando David Cameron e Nicolas Sarkozy hanno visto cadere Mubarak dopo Ben Ali, e gli abitanti dello Yemen e del Bahrein scendere in strada a manifestare, hanno subito capito che qualora non avessero colto l´occasione di prendere le distanze dalle dittature arabe, sostenendo le popolazioni che si stavano sollevando contro di esse, i rispettivi paesi avrebbero perso l´autorevolezza che ancora restava loro a sud e a est del Mediterraneo.
La Primavera araba, ritenuta ormai irreversibile a Parigi come a Londra, era in marcia. Era indispensabile prendere quel treno in corsa, gettare le basi di un´alleanza mediterranea, investire sul futuro e non limitarsi ad attendere sulla banchina, restando aggrappati al passato. E la Libia ha offerto l´occasione a lungo sperata di intraprendere la svolta. Motivati da un interesse a lungo termine, agevolati dalla loro conoscenza del mondo arabo, francesi e britannici si sono apprestati a passare all´azione, ed è stato allora che è successo l´imponderabile. A fronte di una diplomazia americana che non voleva aprire un terzo fronte, visto che già stenta enormemente a tirarsi fuori dall´Iraq e dall´Afghanistan, la coppia formata dalle due ex superpotenze, Francia in testa, molto semplicemente ha ricattato la Casa Bianca, facendo comprendere a Barack Obama che né lui né gli Stati Uniti sarebbero usciti indenni da un eventuale massacro a Bengasi. Da ogni possibile punto di vista, quindi, si è trattato di un caso di Suez alla rovescia, e proprio come l´avventura del 1956 aveva lasciato scorgere un nuovo rapporto tra le forze internazionali, così l´adozione della risoluzione libica e ora la caduta di Muammar Gheddafi fanno intendere chiaramente fino a che punto le cose stiano cambiando su entrambe le sponde dell´Atlantico.
Indebitata in modo esorbitante, in crisi di crescita, spossata dagli interventi militari all´estero e disorientata dalla sfilza di insuccessi incassati nel mondo musulmano, l´America è sempre più tentata di rinchiudersi in se stessa, di lasciare le redini a un´Europa che non le pone più problemi strategici, per dedicarsi in via prioritaria all´Asia dove deve assolutamente trovare un difficile equilibrio con Pechino. Quanto all´Europa, anch´essa è altrettanto indebitata. Le sue difficoltà economiche non sono certo di minor entità, ma lo sgomento americano, la tentazione nei confronti dell´isolazionismo, i tentennamenti del suo apparato diplomatico restituiscono alle due potenze politico-militari dell´Unione europea – Francia e Gran Bretagna – ambizioni tanto più grandi, al punto che la Ue non può più ignorare la necessità di rendere immediatamente stabili i paesi circostanti.
Che lo voglia o meno, per quanto forti siano le reticenze della Germania e della maggioranza dei Ventisette, l´Europa non può più restare indifferente al mondo arabo in pieno fermento, come pure all´evoluzione della Russia o alla battaglia aperta che si è scatenata tra chi è ostile e chi è favorevole a mettere radici in Europa. Gli sconvolgimenti in corso nel pianeta obbligano l´Unione a dotarsi di una politica estera di nome e di fatto, per la quale la questione libica diverrà la prima concretizzazione, nel momento stesso in cui, summit dopo summit, i governi europei sono obbligati – la crisi lo rende indispensabile – ad armonizzare le loro politiche economiche. Ci troviamo a vivere un cambiamento epocale. La seconda rottura storica che la questione libica mette in risalto è la forza assunta dalla globalizzazione della libertà. Purtroppo, le democrazie non sono ancora diventate più numerose delle dittature. Né si può ragionevolmente affermare che le vecchie democrazie sono irreprensibili, o molto lontane da quelle, ma a vent´anni dal tracollo del blocco sovietico, la libertà si è rimessa in marcia dopo aver esitato a lungo e segnato semplicemente il passo. La caduta del muro di Berlino le ha permesso di dilagare nell´Europa centrale e di estendersi all´America Latina. La sua avanzata è stata spettacolare, ma il modo in cui gli anni Novanta l´hanno assimilata alla liberalizzazione economica aveva fatto sì che la Russia, il paese più grande del mondo, ne provasse quasi ripugnanza, prima che gli attentati dell´11 settembre rinnovassero la polizza vita di tutte le dittature disposte ad aiutare gli occidentali nella guerra contro il terrorismo. Al Qaeda aveva fatto compiere al pianeta, e alle democrazie stesse, una regressione completa, ma ora la terza vittoria che la caduta di Gheddafi offre alla Primavera Araba non porta speranza di libertà soltanto nel Maghreb e nel Machrek.
Per comprendere che le due dittature più grandi al mondo non si sentono più al riparo dal contagio della libertà è sufficiente prendere atto della collera che ha scatenato in Vladimir Putin il rifiuto di Dmitri Medvedev di opporre il veto russo alla risoluzione libica; dell´estrema freddezza con la quale la Cina ha accolto la nascita di un movimento democratico arabo; dell´ostinazione di Mosca e Pechino nel proteggere il regime siriano dalle condanne delle Nazioni Unite.
Il vento della libertà araba alimenta i sogni dei blogger cinesi; dà ragione a quei dirigenti del paese più popoloso al mondo che – come Hu Jintao – affermano che la Cina necessita di libertà politiche; e convince sempre più le grandi fortune russe che la nascita di uno stato di diritto, il programma rivendicato da Dmitri Medvedev, è ormai una necessità vitale. Quanto alla terza rottura storica introdotta dalla svolta libica, è ormai evidente – al di là di ogni ragionevole dubbio – che le speranze sbocciate a Tunisi avranno la meglio e prevarranno in tutto il mondo arabo-musulmano. Ciò non accadrà, naturalmente, dalla sera alla mattina, e neppure in un anno. Assisteremo a passi indietro e ripiegamenti, a lunghi periodi di insoddisfazione, di despotismo e di violenza. La Libia non si stabilizzerà in tempi rapidi né facilmente. Il clan Assad non porrà fine ai propri massacri, se non all´ultima cartuccia disponibile. L´esercito egiziano non rientrerà più nelle caserme, non più di quanto i generali algerini si lasceranno facilmente sottrarre la loro manna petrolifera. In Africa del Nord come nel Vicino Oriente la battaglia è appena all´inizio, ma una nuova generazione sta muovendo i primi passi e si sta affermando in paesi nei quali la popolazione di età inferiore ai trenta anni costituisce oltre i due terzi della stessa.
La posta in gioco a Tripoli superava di gran lunga quella libica. Era una sfida macroscopica e averlo capito è motivo d´onore e di nuova forza per l´Europa.
Traduzione di Anna Bissanti
La Repubblica 26.08.11