Ivan Sagnet,26 anni, è quasi ingegnere: gli mancano soltanto tre esami per la laurea. Ivan, 26 anni dal Camerun, studia al Politecnico: ma lotta contro i «caporali». L’ inizio è Roberto Baggio. «Nel 1990 guardavo i mondiali in televisione. Avevo 5 anni, tifavo Juve e sognavo l’Italia. Volevo andare a vivere nella città dove giocava il mio calciatore preferito». Ivan Sagnet c’è riuscito, anche se poi la vita è sempre più complicata di così. Da Baggio, al Politecnico di Torino, a un campo di pomodori nel Salento agli ordini di un caporale ghanese: «Ho capito che sono stato un privilegiato. Non sapevo di questa Italia. Nei campi della Puglia ho ritrovato l’Africa. Le persone trattate come schiavi, macchine da lavoro senza diritti».
Questa è la storia di Ivan Sagnet, 26 anni, camerunese di Duala. In due ore cita Bettino Craxi e Enrico Mattei. I nuovi idoli della sua vita: «L’egiziano El Baradei, Barack Obama e Nelson Mandela». Ti racconta della grande cultura di suo zio poliziotto, delle sere passate insieme ad ascoltare alla radio le notizie del mondo: «È lui che mi ha cresciuto. Ed è grazie alla mia famiglia se ho potuto studiare qui». Si imbarazza un po’ sul tema fidanzate: «Ho avuto solo storie che non sono durate». E poi ti racconta questa estate pazzesca, che gli ha cambiato la vita per sempre: «Voglio continuare la battaglia per i diritti dei braccianti fino alla fine. Adesso non ho più paura».
A Ivan Sagnet mancano tre esami per laurearsi in Ingegneria informatica. Per conquistarsi l’iscrizione ha studiato prima l’italiano. Per mantenersi fa il cassiere part-time in un supermercato. Ma ultimamente non l’hanno più chiamato. Aveva bisogno di soldi per pagarsi l’affitto. Per questo ha accettato l’invito di un amico: andare insieme a fare la stagione dei pomodori a Nardò. «Il giorno in cui ho stabilito il mio record sono riuscito a riempire sei cassoni di ciliegini – racconta – sempre in piedi: dalle 3 del mattino alle 5 del pomeriggio. Il caporale mi urlava dietro: “Muoviti, raccogli tutto, domani non ti chiamo più!”. Ogni cassone da 350 chili mi è stato pagato 3,50 euro. Totale 21 euro. Ma devi dare 8,50 al caporale per il trasporto nei campi e per un panino alla frittata. Quindi, per 15 ore di lavoro ho preso 12 euro e 50 centesimi: meno di 1 euro all’ora».
Al quarto giorno di lavoro un uomo tunisino è morto d’infarto: «L’ho visto sotto un telo, quando i medici erano già andati via». Ivan Sagnet ci ha provato, si è guardato intorno, prima stupefatto, poi sempre più indignato. Fino a quando ha deciso di organizzare il primo sciopero della categoria. «A un certo punto i caporali ci hanno chiesto un doppio lavoro. Avremmo dovuto scegliere i pomodori più belli. Era troppo: strappare la pianta, scrollarla e riempire il cassone dopo la selezione. Abbiamo chiesto 7 euro. Sono arrivati ad offrircene 4,50 a cassone. Ci siamo rifiutati».
Braccia incrociate. Prima hanno aderito i dieci compagni della sua squadra. Poi altri 40. Infine il 70 per cento dei 400 lavoratori stagionali di Nardò. Un successo che ha attirato l’attenzione della politica e dei sindacati, ma che di fatto ha bloccato i guadagni per tutto il comparto. A Ivan Sagnet sono iniziate ad arrivare minacce sempre più pesanti: «Prima dai caporali – spiega – poi anche da una parte dei raccoglitori. Li capisco: molti sono tunisini appena sbarcati a Lampedusa, disposti a lavorare anche per 2 euro e 50 a cassone».
Lo sciopero dei braccianti di Nardò ha prodotto razioni diverse: «Mi hanno detto di lasciar perdere – spiega Sagnet – tanto il mondo è sempre andato così, non cambierà». E invece la protesta sta iniziando, lentamente, a cambiare le cose.
Ora un bus comunale porta i braccianti al lavoro, togliendo il guadagno ai caporali. Si sta cercando di rendere trasparente la lista di prenotazione attraverso il centro di collocamento. Ma soprattutto è allo studio una proposta di legge per convertire il caporalato in reato penale, mentre oggi è punito con una multa da 50 euro. «Il giorno che arresteranno un caporale – dice Ivan Sagnet – sarà il più bel giorno della mia vita. Mi aspettavo di più dal nostro sciopero».
Ha le basette scolpite. Gli occhiali da sole giganti come quelli di Balotelli. Un borsello a tracolla tipico di certi giocatori di calcio. È un ragazzo in cammino: «Il mio sogno adesso è la carriera diplomatica. La storia di Nardò mi sta insegnando molte cose. È bello fare qualcosa per gli altri». Mentre parliamo, seduti su una panchina, riceve due telefonate. Una è di un bracciante che gli urla in francese: «Torna giù, abbiamo bisogno di te». L’altra è di una signora della Caritas di Nardò: «Sono molto dispiaciuta per quello che è successo – gli dice – volevo esprimerti tutta la mia solidarietà. Fatti vedere, parliamo».
È successo che dopo le ultime minacce Ivan Sagnet è tornato a Torino. «La situazione era diventata tesa. Un caporale è venuto a dirmi: “Ti uccido con le mie mani”. Per fortuna è intervenuta la polizia, gli agenti sono stati molto bravi con me».
Intanto nei campi di Nardò molte angurie sono andate in disgrazia. E qualcuno accusa il ragazzo venuto dal Camerun anche di questo: «Lo so cosa dicono. Che c’è la crisi. E che scioperare non ha fatto altro che peggiorare le cose. Ma non è vero: la crisi delle angurie non c’entra con i pomodori. Abbiamo fatto i conti in tasca ai caporali». Eccoli: «Ogni cassone gli viene pagato 15 euro. Un camion tiene 88 cassoni. Ogni giorno vengono caricati 4 camion. Quindi il caporale incassa più di 5 mila euro al giorno. Non è un problema di crisi, ma di rispetto dei lavoratori».
Adesso Ivan Sagnet sta per salire su un treno per Lecce. In Puglia hanno organizzato concerti e manifestazioni di solidarietà. Vuole esserci. Il bambino che amava Baggio, il ragazzo che studia Ingegneria, è diventato un uomo.
La Stampa 23.08.11