La gelata di questi ultimi mesi sta mostrando i suoi primi segni. La crisi ha picchiato duro e le prime a pagare saranno le aziende, in particolare quelle più piccole, soprattutto nell’Italia del Sud. Le stime parlano di quasi 90.000 posti in meno a fine anno, persi per evitare di chiudere o per recuperare ossigeno necessario per la sopravvivenza. L’allarme inizia insomma a spostarsi anche sul fronte occupazione dove è già previsto l’arrivo di un autunno caldo. I calcoli li ha fatti Unioncamere, l’Unione delle camere di commercio, che ha analizzato l’andamento sull’intero anno, non specificando però quanti sono i posti di lavoro già persi, e quindi quante persone finora hanno già dovuto abbandonare il proprio posto di lavoro e quante invece lo perderanno da qui alla fine di dicembre.
Certo è che a pagare, sempre a detta di Unioncamere, saranno in gran parte le Piccole e medie aziende (Pmi), quelle che rappresentano la fetta più consistente del tessuto produttivo nazionale.
Nel dettaglio, saranno in tutto 87.700 i posti di lavoro che quest’anno spariranno nelle aziende con almeno un dipendente (circa 1,5 milioni).
Significa che l’occupazione dei lavoratori dipendenti calerà dello 0,7%, segnando sì un rallentamento rispetto all’1,5% registrato nel 2011 ma il saldo totale resta, purtroppo, ancora negativo. Nel 2010 il saldo della fuoriuscita era stato di 178 mila unità. Peggio ancora era andata nel 2009, anno clou della crisi, con 213.000 posti bruciati, pari a un calo complessivo dell’1,9%.
A livello di dimensioni, a soffrire di più saranno le imprese più piccole, fino a nove dipendenti, con un emorragia di 41.200 posti lungo tutto l’anno.
Guardando ai singoli settori, le previsioni di Unioncamere mettono l’industria in testa alle categorie più colpite dai tagli già operati e da quelli in arrivo. Secondo i calcoli, qui andranno persi ben 58.800 posti di lavoro. Molto colpito anche il settore delle costruzioni con 29 mila posti in meno a fine anno, mentre 28.800 saranno i posti che spariranno nel settore dei servizi. Il comparto degli alberghi, dei ristoranti e dei servizi turistici chiuderà il 2011 con 5.600 posti in meno, mentre nel settore trasporto, movimentazione merci e logistica ci saranno 6 mila lavoratori in meno.
Nel fosco quadro globale non manca un segnale in controtendenza. A detta di Unioncamere, il ramo dei servizi avanzati archivierà l’anno con 1.500 assunzioni. Una magra consolazione se si guarda alla montagna di posti persi.
Lo studio ha definito anche la geografia dei tagli: la scure della crisi colpirà di più nell’Italia Meridionale, nonostante la maggior presenza di industrie nella parte settentrionale del Paese. I dati dicono che a livello territoriale, più della metà dei posti – 41.200 – andranno bruciati nel Sud e nelle Isole. Qui la variazione percentuale sarà addirittura dell’1,6%. A provocare queste ulteriori difficoltà del mercato del lavoro nel Meridione sono soprattutto le previsioni negative delle piccole e piccolissime imprese dell’area (ovvero quelle con meno di 50 dipendenti), il cui saldo a fine anno dovrebbe superare le 28mila unità in meno. Il Centro Nord prova invece, pian piano e con molta fatica, a recuperare i danni della crisi ma anche qui non mancheranno i tagli: nel dettaglio, saranno 19.300 i posti persi nel Nord Ovest, 10.600 nel Nord Est e 16.600 al Centro.
Secondo gli ultimi dati Istat, che però non è detto siano direttamente confrontabili, a giugno, il calo dell’occupazione su base annua è stato dello 0,3% ed il tasso di disoccupazione è rimasto all’8%. La variazione rispetto a maggio, simile a quella dei mesi precedenti, è stata negativa dello 0,21%.
La Stampa 21.08.11
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“Autunno nero per il lavoro. Unioncamere: 88mila posti persi alla fine del 2011”, di Celestina Dominelli
Malgrado il piccolo rallentamento nell’emorragia di posti di lavoro sarà comunque un autunno nero per l’occupazione. Secondo i dati diffusi oggi da Unioncamere il saldo a fine 2011 per le imprese con almeno un dipendente (circa 1,5 milioni) non sarà per nulla rassicurante: 88mila posti in uscita, pari a un calo dell’occupazione dipendente dello 0,7%. Chi soffre di più? La fotografia è chiarissima: ad annaspare sono soprattutto piccole e medie imprese, mentre a livello geografico è il Sud a registrare i maggiori problemi. Nel 2010 il saldo negativo era stato di 178mila unità, -1,5%. Peggio ancora era andata nel 2009, anno clou della crisi: 213.000 i posti bruciati, pari a -1,9%.
Male soprattutto l’industria e le costruzioni
Nei numeri diffusi dal centro studi Unioncamere il 2011 vede quasi 44mila entrate in più rispetto al 2010 e 47mila uscite in meno ma, anche a causa dell’accresciuta incertezza sulla scena internazionale, l’inversione di tendenza non sembra essere alle porte per le imprese dell’industria, commercio e servizi. Per il settore industriale a fine 2011 è attesa una perdita di quasi 59mila unità (-1,2%); meglio i servizi che dovrebbero fermarsi a quota -29mila unità (-0,4%). Crollo invece per le imprese delle costruzioni (quasi 29mila posti in meno).
Unico segno positivo nei servizi avanzati
Nei servizi, l’unico settore che arriva a perdere un punto percentuale è relativo agli alberghi e ristoranti, mentre i tassi di variazione degli altri comparti sono compresi tra il -0,7% (servizi alle imprese) e il -0,2% (commercio al dettaglio). Unico segno più nei servizi avanzati, dove le imprese pensano di incrementare di circa 1.500 unità i propri dipendenti.
Soffre soprattutto il Sud
Particolarmente negativo il saldo del Meridione. Il Nord-Ovest ha in programma una contrazione di oltre 19mila posti di lavoro (-0,5%), il Nord-Est di 10.600 (-0,4%), Il Centro di 16.600 (-0,7%). Al Sud, al contrario, i posti di lavoro in meno dovrebbero essere oltre 41mila, con un tasso di variazione occupazionale pari a -1,6%. A provocare queste ulteriori difficoltà del mercato del lavoro nel Meridione sono soprattutto le previsioni negative delle piccole e piccolissime imprese dell’area (ovvero quelle con meno di 50 dipendenti), il cui saldo a fine anno dovrebbe superare le 28mila unità in meno.
Censis-Unipol: solo il 28,6% delle coppie giovani riesce a risparmiare
A rendere ll quadro ancora più fosco ci sono poi i dati raccolti nel progetto “Welfare, Italia. Laboratorio per le nuove politiche sociali” di Censis e Unipol, che fotografano l’enorme difficoltà delle giovani famiglie. Secondo la rilevazione, solo il 28,6% dei capofamiglia fino a 35 anni indica che il suo nucleo è riuscito a mettere da parte qualcosa, rispetto a una percentuale più alta (il 38%) riferita ai capofamiglia di 45-54 anni. Sono infatti le famiglie più giovani quelle che in quota maggiore spendono tutto il loro reddito mensile (il 58,4% contro la media del 52,5%) e che sono costrette a indebitarsi (il 5% contro la media del 3,7%).
Per il 42,6% nessun patrimonio immobiliare
Insomma è chiara la debolezza dei nuclei più giovani, particolarmente marcata in oltre la metà dei casi. L’8% non può contare su nessun genere di patrimonio, e a queste si aggiunge il 42,6% che non ha nessun patrimonio immobiliare. Circa il 20% delle famiglie giovani (rispetto al 40% circa del totale delle famiglie) può contare esclusivamente sulla prima casa (3,7%) o sulla prima casa e un conto in banca (19,1%). Il possesso di altri immobili o di investimenti e rendite riguarda circa il 23% di esse, contro il 36% riferito alla totalità delle famiglie italiane. Oltre il 40% delle famiglie giovani vive infatti in una casa in affitto (contro il 16,8% medio).
Il Sole 24 Ore 21.08.11