attualità, politica italiana

"Il Pdl senza guida né rotta nella tempesta del decreto", di Francesco Lo Sardo

Degenera l’ammutinamento anti-Tremonti. Caos e aria di condono fiscale. «Pronti alla virata… Scudoooo», parte l’urlo nel cuore della notte. Chissà da dove arriva il missile dello scudo-bis da inserire nel decreto, chissà chi l’ha lanciato. Ma tanto basta a tirare giù dalle brande marinai e ufficiali, a far squillare i telefonini, a scatenare la confusione a bordo. Falso allarme, preciseranno ore dopo pezzi di governo.
Non Berlusconi e Tremonti che s’abbandonano ad amenità o tacciono. «Pronti alla virata…
Pensioniiii», parte un altro urlo al mattino: roba più seria questa, si punta dritto alla collisione con la Lega. Brunetta torna alla carica sulla riforma previdenziale, a partire dalle pensioni d’anzianità, spaccando il cosiddetto fronte ex socialista nel Pdl (Sacconi e Tremonti frenano) che proprio “fronte” non è perché s’è già frantumato sull’aumento dell’Iva (Cicchitto d’accordo, i suoi ex compagni no) piuttosto che sul pagamento del tfr a fine mese (l’ex socialista Tremonti ci ragiona o finge di farlo per riguadagnare punti con Bossi ma l’ex psi Cazzola già punta i piedi).
Nessuno è al comando della nave Pdl. Le borse crollano e se il governo continua a parlare con mille voci aumentando l’incertezza sui traballanti ed evanescenti contenuti del decretone, nel partito di Berlusconi le voci sono diecimila: una colossale, incomprensibile Babele. Interviste, dichiarazioni, lettere aperte di singoli, gruppi, sottogruppi, blog.
Tutto rigorosamente fuori dalle sedi formali, proprie di un partito che neppure di fronte a un’emergenza economico finanziaria grave come quella in atto riesce a comportarsi con normalità: riunendo gli organi dirigenti per un’analisi della situazione da cui far emergere posizioni e proposte per il governo. Viceversa di virata in virata, una più violenta e convulsa dell’altra, la folle nave del Pdl prima ancora del rischio di speronamento di quella leghista, corre quello di capovolgersi.
Ex dc contro ex dc, ex dc contro ex pli, a loro volta contro gli ex socialisti che s’azzuffano l’un l’altro: in un clima da assalto alla diligenza delle vecchie Finanziarie, tra mercato delle vacche e lobbies scatenate.
In principio di questa storia, cominciata assai prima del siluro lanciato della Bce che ha affondato dieci giorni fa la manovra tremontiana, fu Berlusconi. L’astuto statista di Arcore chiamò a sé, mentre Tremonti azzoppato dal caso Milanese scriveva e riscriveva la manovra e al solo scopo di farlo imbestialire, gli economisti Antonio Martino e Francesco Forte, uno ex liberale l’altro ex socialista, entrambi ex forzisti. Delle loro ricette anticrisi, che già divergevano sinistramente – campanello d’allarme del caos in cui sarebbe precipitato di lì a qualche settimana tutto il Pdl – il Cavaliere se ne infischiava. Lui voleva solo fare pressing su Tremonti: «Il genio di Sondrio» o «l’analfabeta economico», come lo definisce l’ex ministro Martino.
Nel Pdl si coglie il messaggio del Capo e le cannonate contro il detestato Tremonti, autore di una manovra «senza crescita» e di «tasse mascherate», si moltiplicano. I bombardamenti si fanno più intensi dopo il varo del decreto “ordinato” dalla Bce, che costringe il governo ad anticipare di un anno il pareggio di bilancio. La regia delle operazioni inizialmente appare ordinata: le principali batterie di lancio sono due, il correntone Scajola-Martino e il più agile gruppo Crosetto- Stracquadanio, prevalentemente ex dc, più ex libertari ed ex liberal. Formigoni, dall’isola ciellina, tira anche lui le sue bombarde. Gli ex psi, balcanizzati, sono confusi e si muovono in ordine sparso: Tremonti, in fin dei conti, è pur sempre uno di loro. Tutto il resto del Pdl scompare. Il neosegretario Alfano si eclissa prudentemente e della corrente Frattini- Gelmini-Carfagna-Prestigiacomo, ora che il gioco si fa duro, non c’è più traccia. Si spara tutti i giorni. Ma quando Berlusconi, per dare sponda alle fronde, annuncia che sono possibili alcuni cambiamenti del decretone senza fornire indicazioni precise, le batterie d’artiglieria anti-Tremonti che servono anche ad arginare la Lega vanno in tilt.
Nessuno sa più cosa dire né fare. L’ex dc Scajola (aperto all’aumento dell’Iva e persino a patrimoniali blande) entra in collisione col liberal Martino che le avversa, s’accendono zuffe sul mantenimento del contributo di solidarietà o su una sua rimodulazione per non infierire su una fascia di reddito alta ma che già paga molte tasse, sull’ipotesi di prelievi sui capitali scudati (lanciata dall’ala ciellina ma ostacolata dai pdl ex An), sul Tfr in busta paga e sulle pensioni. Il fronte Pdl, a ieri sera, appariva così: un colabrodo. Nelle ultime ore voci delle retrovie riferiscono che, almeno su pensioni e Iva, nel Pdl si troverà un’intesa per sfondare le resistenze di Tremonti e Bossi.
Mentre nelle stesse retrovie un mormorio insistente rilancia una voce: condono fiscale.
Un condono tributario, non valutario (tipo scudo fiscale) né edilizio. Un condono “tombale” che farebbe entrare rapidamente 30 miliardi di euro nelle casse dello stato, calcola il pidiellino Osvaldo Napoli, vicino a Scajola. Sono d’accordo pressoché tutti nel Pdl: ex dc in testa, che ne sono il vero motore.
«Meglio un condono fiscale piuttosto che una patrimoniale sulla seconda casa, su questo abbiamo già presentato a Berlusconi qualche proposta», conferma un’autorevole fonte pdl di rito ciellino. Perché servono soldi, altri soldi. «Pronti alla virata… Condonooo».

da Europa Quotidiano 20.08.11

******

Donne, anzianità e contributi Le ipotesi per rafforzare la manovra

Il governo era partito giurando: no, l’età pensionabile per le donne non si tocca. Poi con la prima manovra, quella dello scorso 6 luglio, c’è stato un primo ripensamento, con la decisione di aumentare gradualmente l’età per la pensione di vecchiaia delle donne da 60 a 65 anni, come per gli uomini (e per le donne del pubblico impiego, a seguito di una sentenza della Corte europea di giustizia). Si partiva nel 2020 con 60 anni e un mese e si finiva nel 2032 con 65 anni. Poi, con la manovra bis del 13 agosto, il percorso è stato accelerato. Si partirà nel 2016, sempre con 60 anni e un mese, per finire nel 2028. Adesso, tra le ipotesi che circolano, per correggere o rafforzare ulteriormente la manovra in sede di discussione parlamentare, c’è anche quella di una nuova accelerazione. Giuliano Cazzola (Pdl), vicepresidente della commissione Lavoro della Camera, propone per esempio di partire già nel 2012 e con aumenti di un anno ogni dodici mesi, in modo da arrivare a 65 anni nel 2016. «I risparmi di spesa sarebbero davvero notevoli», sottolinea Cazzola.
La relazione tecnica alla prima manovra stimava risparmi per 145 milioni nel 2021 «progressivamente crescenti» fino allo «0,4% del Prodotto interno lordo nel periodo 2031-2040», cioè la bellezza di 6,5 miliardi a valori attuali. La relazione tecnica alla manovra bis fa notare che a questi risparmi vanno aggiunti quelli che si realizzeranno per effetto dell’anticipo della misura: 112 milioni nel 2017, 320 milioni nel 2018, 565 milioni nel 2019, 1,2 miliardi nel 2020, 1,8 miliardi nel 2021. È chiaro che se si partisse nel 2012 questi risparmi si otterrebbero subito.
Ma non è questa l’unica ipotesi in circolazione. Ce ne sono altre che, in teoria, hanno maggiori chance di quella sulle donne, dove il no della Lega appare insormontabile. È il caso delle pensioni di anzianità. Adesso la possibilità di lasciare il lavoro in anticipo rispetto alla pensione di vecchiaia è regolata dal sistema delle «quote», fissato dalla riforma Damiano del 2007. Fino a tutto il 2012 vige quota 96, si può cioè andare in pensione di anzianità avendo 36 anni di contributi e 60 di età oppure 35 di contributi e 61 di età (per gli autonomi la quota è 97). Dal 2013 scatterà quota 97 per i lavoratori dipendenti (36+61 o 35+62) e 98 per gli autonomi. Come ha fatto notare di recente il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, la riforma Damiano fu fatta per ridurre il cosiddetto «scalone», cioè l’età di pensionamento improvvisamente aumentata dalla riforma Maroni del 2004. Un’operazione sbagliata e antistorica, secondo Sacconi. Ora, se per rimediare, si stabilisse un’accelerazione delle quote, per esempio, facendo scattare quella 97 già nel 2012, si potrebbero risparmiare all’inizio alcune centinaia di milioni e nel giro di qualche anno almeno un miliardo. Ma secondo Cazzola bisognerebbe fare ancora di più: «Arrivare in 5 anni a quota 100 e abolire la possibilità di lasciare il lavoro con 40 anni di contributi indipendentemente dall’età» (che poi, in realtà, diventano 41 con l’applicazione della cosiddetta finestra mobile). Probabilmente non si arriverà a tanto, ma l’anticipo di quota 97 non è da escludere.
Tutte le proposte viste finora (donne, anzianità) prestano il fianco all’accusa di accanimento contro i lavoratori. Più difficile sarebbe criticare l’estensione del contributivo pro-quota a tutti, rilanciata ancora ieri sul Sole 24 Ore da Elsa Fornero, grande esperta di previdenza. Una misura di equità intergenerazionale che se fosse stata applicata fin dall’inizio, cioè dalla riforma Dini che introdusse il metodo di calcolo contributivo ma escludendo i lavoratori che nel ’95 avevano più di 18 anni di servizio, avrebbe risparmiato tante riforme successive distribuendo il carico dei sacrifici non solo sui giovani, come purtroppo è accaduto. Lo stesso Cazzola, anche lui molto esperto di pensioni, lo ammette, ma osserva: «Temo che i buoi siano ormai scappati», nel senso che chi aveva almeno 18 anni di contributi nel 1995 o è già andato in pensione o gli manca poco. Diverso sarebbe calcolare tutte le pensioni, anche quelle di chi aveva allora meno di 18 anni di versamenti (che ha il sistema misto), col contributivo, come avviene per chi ha cominciato a lavorare dopo il ’95, ma ci sarebbe una rivolta dei sindacati. E Berlusconi non vuole rompere con Cisl e Uil.
Infine, se perfino uno come Cazzola, sempre attento ai lavoratori autonomi, base elettorale del Pdl, dice che bisognerebbe aumentare i contributi che versano commercianti e autonomi (il 20% contro il 33% dei lavoratori dipendenti), «anche perché le loro gestioni Inps sono in profondo rosso», vuol dire proprio che l’ipotesi andrebbe considerata. Così come quella di un contributo di solidarietà sui pensionati baby: molti i lettori che hanno scritto al Corriere per sostenerla.

Corriere della Sera 20.08.11

1 Commento

I commenti sono chiusi.