La Commissione europea classifica i 27 Paesi dell’Unione in base all’innovazione espressa da un indice (fra 0 e 1), funzione di 24
indicatori (lauree, investimenti in ricerca, brevetti, % di imprese innovative). La media europea è 0,53. La Svezia è a 0,75. L’Italia a
0,42, occupando il sedicesimo posto su 27, dopo Portogallo ed Estonia. Da noi gli investimenti pubblici in ricerca sono 0,58 % del Pil (0,77 della media europea) e quelli privati 0,65%del Pil (0,52 della media). Non sono scarsi solo gli investimenti, ma la cultura. Solo il 19% degli italiani completa l’educazione terziaria. La media
europea è 32 %, Francia 43 %, Irlanda 49 per cento.
Siamo nell’era dell’informazione, ma la misura del successo di un Paese in base alla diffusione di Pc, cellulari e altri gadget è piuttosto
rozza. Attualmente cresce il divario fra alta tecnologia e cultura media. I supercomputer si usano per scopi banali. I decisori pubblici
e privati non investono in ricerca e sviluppo, né creano scuole di eccellenza. I mass media propagandano tecnologia per scopi insulsi. Una rimonta tecnologica ed economica richiederà investimenti, risorse umane, immaginazione e controlli di qualità, ma non se ne vedono segni. È ora che quelle esigenze siano soddisfatte. In ogni settore dovremmo rinnovare strumenti e concetti efficaci per combattere il degrado culturale. Le carenze sono così palesi che spesso si propongono rimedi, purtroppo timidi e settoriali. È vitale, invece, definire con precisione i traguardi da raggiungere. Questo significa, ad esempio, individuare i settori su cui puntare; facilitare l’avvio di imprese innovative; progettare la nascita di aziende costituite da ricercatori, scienziati e industriali; innovare nei settori di attività già perseguite all’estero; creare studi e formazione avanzata all’interno delle aziende.
In Italia c’è una università ogni 600.000 abitanti. Negli Usa ogni 100.000 abitanti, in Inghilterra ogni 200.000, in Francia ogni 230.000. Per iniziare una ripresa, l’industria italiana dovrà creare università, istituti di ricerca, politecnici. Invece si tagliano i finanziamenti pubblici a università e ricerca. In Francia il 2% dei professori universitari sono stranieri, in Gran Bretagna 10,4 %, in Usa 19%, a Singapore 47% – e, in questi Paesi, è alta la percentuale di università eccellenti. Le università italiane, invece, non ingaggiano
i migliori ovunque si trovino. Innalzare la cultura generale, creare scuole avanzate, investire in ricerca e sviluppo evita il declino. Invece le opinioni, credenze, ideologie più diffuse sono errate e modeste e il pubblico crede a catastrofismi e leggende metropolitane. A lungo termine occorre un’azione internazionale congiunta di aziende ad alta tecnologia per innalzare la cultura di intere popolazioni. Si alleino accademia, parlamento, industria per fornire al pubblico criteri di giudizio e modi di comunicazione efficaci.
In tutto il mondo si generano progressi continui cui si accede da Internet, mail pubblico ne è escluso: giornali, radio, Tv, comunicazioni sociali trattano argomenti volatili e non analizzano criticamente fatti importanti. Non siamo motivati a capire, a partecipare. I mass media vengono usati usano per fini politici o interessi privati.
Per eliminare tutto ciò ci vogliono tante conversioni a codici di equità e oggettività, oggi disprezzati. L’abbandono della ragione lascia spazio ad astrologia, parapsicologia, miracoli, visti come spiritosi atteggiamenti anche da certi intellettuali. La disinformazione porta alla rovina.
Il mondo è fatto di meccanismi naturali, struttura della materia, artefatti umani, processi sociali, politici ed economici. Questi sono gestiti o subìti dal pubblico in modi razionali, irrazionali, casuali. Per capirlo bisogna padroneggiare strumenti concettuali e tecnologici. La capacità di concatenare problemi e soluzioni deve essere acquisita
da tutti. La gestione di problemi sociali e politici non è una scienza.Usa anche principi semplici facili da comprendere. La gestione totale di qualità deve continuare a diffondersi nell’industria, ma anche pervadere società, scuole, processi decisionali, mass media. Solo chi investe forte in ricerca e sviluppo incrementa il Pil o non lo vede calare in tempo di crisi – gli altri no.
L’Unità 20.08.11