La manovra è iniqua: tutte le risorse disponibili vanno investite per riequilibrare le discriminazioni.
Caro direttore, nell’articolo sul Corriere del 17 agosto (Lo sviluppo riparta al femminile. Quattro proposte sulla manovra) Letizia Moratti presenta delle modifiche dirette a favorire le donne e lo fa a partire da un’analisi condivisa in larga parte dal movimento Se non ora quando. Il testo identifica infatti tra i punti più gravi della situazione italiana la bassa partecipazione delle donne al mercato del lavoro e gli inesistenti servizi pubblici per la conciliazione di tempo e lavoro; tra i problemi dell’attuale politica economica i tagli lineari alla spesa che provocheranno ulteriori abbandoni delle donne nei settori produttivi. Appare inoltre molto pertinente l’esempio della Germania, che ha saputo incrementare massicci interventi a favore del lavoro delle donne rilanciando così lo sviluppo dell’intera economia. Del resto si tratta solo di uno degli argomenti che si possono portare a dimostrazione del fatto che la condizione delle donne è il primo metro della modernità e della civiltà di un paese.
Alle proposte avanzate da Letizia Moratti, che riguardano soprattutto interventi per favorire l’imprenditorialità femminile, vanno aggiunte però secondo noi molte altre questioni vitali. Letizia Moratti pone giustamente il problema della destinazione del risparmio nei costi previdenziali ottenuto con l’innalzamento dell’età pensionabile delle donne, ma dimentica che il risparmio già accantonato, e destinato per legge alle donne, ci e’ stato appena «scippato» dal governo. Lo stesso governo che, tra le sue prime misure, ha anche abrogato una legge che aveva reso impossibile l’imposizione delle dimissioni in bianco per le lavoratrici in attesa di un bambino. Il ripristino delle legge contro le dimissioni in bianco e la restituzione alle donne, attraverso misure ad hoc, del risparmio dovuto all’innalzamento dell’età pensionabile, sono state richieste ferme del movimento delle donne, a cui questo governo è rimasto sordo.
Il welfare delle donne, che nel nostro paese tocca livelli non degni di un Paese europeo, andrebbe invece messo al primo posto di un’agenda politica che non risponda solo alle emergenze ma pensi a grandi riforme per un nuovo Paese. Tutte le risorse disponibili vanno investite oggi al servizio della crescita e del riequilibrio di discriminazioni e inefficenze che non ci permettono di sviluppare i talenti e le capacità che il nostro Paese possiede. Prime fra tutte quelle delle donne italiane, che sostengono il peso di tutto il lavoro di cura, fuori e dentro casa. Come ha, con beata innocenza, detto un importante esponente della maggioranza, l’on. Reguzzoni della Lega Nord, le donne italiane «sono il welfare» e dunque conviene che vadano presto in pensione per fare, non pagate, il lavoro sociale che puntella l’intero paese. A chi conviene? Certo non alle donne per evidenti motivi e non al Paese, che così non cresce economicamente e civilmente. Il 13 febbraio abbiamo chiarito a tutti che non si potrà più governare senza di noi. Non si può più governare contro le donne e questo è quello che sta facendo il governo con una manovra che, profondamente iniqua e ridotta a inseguire l’emergenza, non si assume la responsabilità dei veri cambiamenti richiesti. Le donne lo hanno capito e sono pronte ad assumersi la responsabilità del loro futuro, a mobilitarsi per realizzarlo, nell’interesse di tutti.
Il Corriere della Sera 18.08.11