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"Lo scaricabarile non nasconde le colpe del Cav", di Stefano Fassina

E’ in atto, da parte del presidente del consiglio Berlusconi e dei suoi ministri, spalleggiati dai media di famiglia e da quelli «indipendenti» al seguito, il tentativo di liberarsi delle responsabilità politiche per le scelte compiute nelle ultime settimane di emergenza di finanza pubblica. È colpa della crisi globale, la più grave degli ultimi decenni, sentenziano. È colpa degli speculatori, attaccano. È colpa della Banca centrale europea, insinuano, che, per acquistare i nostri BoT, impone una ricetta che fa «grondare di sangue il cuore» del nostro primo ministro. La
situazione precipita improvvisamente ed inaspettatamente, dicono. La casa brucia, spegniamo insieme l’incendio, ripetono. Le misure
sono necessarie e non vi sono alternative, insistono. No. Non è così. È evidente che siamo in un tornante storico difficilissimo: è una grande transizione, non una crisi da eccessi di finanza e speculazione. Accelera, dopo due decenni di lenti slittamenti, lo spostamento dell’asse geo-economico e geo-politico del pianeta: dal secolo americano al «secolo cinese». Insieme, le contraddizioni
materiali squarciano il velo dell’ideologia conservatrice dominante nell’ultimo trentennio .
I mercati non si auto-regolano. I movimenti di capitale e gli scambi globali senza controllo politico, ossia democratico, generano enormi disuguaglianze. L’arretramento delle condizioni del lavoro, dei padri e ancora di più dei figli, lo smantellamento del welfare e della progressività fiscale blocca l’economia. La finanza facile olia le contraddizioni e consente la crescita a debito fino ad un certo punto. Poi, l’eccesso di debito privato ferma la giostra. In tale contesto, è anche evidente la necessità di «più Europa» e l’inadeguatezza culturale prima che politica dei governi di centro destra, in primis Germania e Francia, e delle tecnocrazie di Francoforte e Bruxelles.
Tuttavia, le cause altre non possono nascondere le colpe del governo Berlusconi & C. Innanzitutto, sul piano culturale, hanno la colpa di aver condiviso e di continuare a condividere, in
forme povere di civismo e segnate da neo-liberismo ad intermittenza, le posizioni conservatrici contro la regolazione dei mercati, in particolare del mercato del lavoro, contro la progressività fiscale, contro l’universalità del welfare, contro gli interventi per mitigare la disuguaglianza nella distribuzione del reddito e della ricchezza, contro le politiche pubbliche, contro la politica democratica, partecipata ed organizzata nei partiti.
In secondo luogo, hanno la colpa della caduta di autorevolezza dell’Italia nell’Unione Europea e sul piano internazionale. In un’area
monetaria unica, è inevitabile, anzi è parte del disegno europeista, la condivisione di sovranità nazionale. È ottuso sperare in maggiore sovranità fuori dall’euro. Sarebbe una patetica finzione. Una media potenza in invecchiamento come l’Italia può trattenere un qualche controllo del suo destino soltanto in condominio. Ma oggi la condivisione di sovranità nazionale diventa commissariamento perché nel connubio PdL-Lega l’europeismo è sempre stato una minoritario. Berlusconismo e leghismo hanno sempre subito l’Ue come ostacolo alla coltivazione delle anomalie italiane. Così, il governo Berlusconi non è mai stato alla pari al tavolo delle trattative per comporre interessi nazionali divergenti. Non è mai stato in
grado di segnare in senso europeista la marcia dell’Ue e dell’area euro. Infine, hanno la colpa di aver navigato a vista negli ultimi tre
anni. Di aver evitato ogni riforma pericolosa per i loro referenti sociali ed elettorali. Sono aree, dall’evasione fiscale alle rendite ovunque annidate, dove, invece, si deve intervenire per promuovere lo sviluppo sostenibile. Hanno la colpa di aver caricato i tagli della spesa e gli aumenti di tasse e tariffe soltanto o prevalentemente sulle famiglie in condizioni modeste, sul lavoro dipendente pubblico e privato, sui giovani precari, sulle donne, sul Mezzogiorno. Ora basta. Il Pd non accetta lezioni da nessuno in materia di responsabilità nazionale. I partiti fondatori del Pd e la sua classe dirigente hanno dimostrato, nei fatti, negli ultimi venti anni e in tutta la storia della Repubblica, la capacità di anteporre l’interesse nazionale agli interessi di parte. Il Pd non si sottrae alle proprie responsabilità. Ma la manovra di Ferragosto è inaccettabile. Va radicalmente cambiata. Le nostre proposte sono chiare: hanno il segno dell’equità e dell’efficacia per lo sviluppo sostenibile, condizioni entrambe decisive per l’abbattimento del debito pubblico. Senza un radicale cambiamento il nostro consenso, attivo o implicito, sarebbe un inutile tradimento del risveglio civico dell’Italia e delle possibilità di svolta democratica, economica e sociale.

L’Unità 14.08.11

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«Proposte poco credibili che affossano il Paese. In Parlamento vanno cambiate» intervista a VIncenzo Visco di Bianca di Giovanni

«Il cuore del premier gronda sangue? Ma qui si tratta del sangue nostro». L’ex ministro del Tesoro avverte: con queste misure non si riparte. «Lotta all’evasione? Piccoli passi. Certi interessi non sono stati toccati». Ancora una volta il centrodestra evita di colpire le sue basi di riferimento, producendo un testo fragile e poco credibile. Stavolta l’opposizione ha controproposte forti, non accetterà a scatola chiusa quello che viene proposto». Vincenzo Visco non fa sconti sull’ultima manovra del centrodestra. «Fanno fumo, manca un disegno complessivo per far ripartire il paese», spiega. Come dire, un affastellamento di tagli, nuove tasse («dissimulate, nascoste e improbabili»), e penalizzazioni inaccettabili («sul Tfr i pubblici sono carne da macello»). «Il premier parla di cuore che gronda sangue? ma è il sangue nostro», aggiunge ironico. Si poteva fare diversamente? «Sì – replica secco Visco – Se pagassero quelli che finora non hanno mai pagato, i soldi si troverebbero, senza martoriare il Paese. Il nostro livello di vita uscirà molto peggiorato da questa manovra, non so se gli italiani lo capiscono davvero visto che siamo a Ferragosto».
Il ministro attribuisce alla crisi internazionale i guai di oggi.
«Nella sostanza questa tesi non regge. Gli sconquassi sui mercati sono l’esito prevedibile delle crisi finanziarie. Accade sempre che alla fine vengono coinvolti anche i debiti sovrani. Presentando una manovra spostata sugli ultimi due anni, cioè sulla futura legislatura, il governo ha aggravato la situazione dell’Italia, che già ha forti problemi strutturali». Eppure l’Europa aveva apprezzato la manovra di luglio. «Macché, siamo seri. Quello che si è visto sono i soliti rituali. Nessun ufficio tecnico ha valutato quella manovra, ci sono state solo affermazioni politiche. Anche questo accade sempre: se dico che faccio una manovra da 45 miliardi tutti dicono: bene, bravo. Quel testo era squilibrato sia dal punto di vista temporale che distributivo: nessun benestante pagava».
E questa? È migliore?
«Cominciamo col dire che nessuno la conosce: non c’è testo, non ci sono quantificazioni, né tabelle. Fumo. Quanto ai cosiddetti costi della politica, è un obolo versato all’opinione pubblica che lascia il tempo che trova. Prima che arrivino i risparmi, bisogna prevedere una lunga fase di riassetto amministrativo. Qui manca un disegno organico, e non si tiene conto che tutta l’articolazione dello Stato è su base provinciale. Un conto è il livello poitico, un altro è quello amministrativo».
Come giudica le norme sul lavoro?
«È chiaro che qui si introduce e generalizza il licenziamento anche senza giusta causa, con corrispettivi monetizzabili. Non so se questo può avere un effetto positivo sul mercato del lavoro, so solo che fa parte di una vulgata molto diffusa».
Verosimile che l’abbia chiesto la Bce.
«Sì, visto che si tratta di un mantra molto diffuso».
Le sembra giusto che la lettera della Bce rimanga segreta?
«Assolutamente no. La ritengo una cosa gravissima. In ogni caso, a parte il lavoro e questi cosiddetti costi della politica, la manovra non c’è».
C’è la delega fiscale.
«No, c’è l’aumento dell’aliquota marginale più elevata. Poi c’èun intervento inaudito sul Tfr dei pubblici, una cosa inaccettabile. Voglio vedere se trattano così i privati: perché questi lavoratori devono essere trattati come carne da macello? E poi l’avete chiesto al ministro se sul Tfr dopo due anni pagano anche gli interessi? Perché se non lo fanno, significa un taglio bello e buono. Che si aggiunge all’aumento nascosto delle tasse locali, visti i tagli a Comuni e Regioni. Non mi pare tanto credibile».
Insisto: c’è la delega.
«Su quello non si può certo votare senza spiegare prima di cosa si tratta. Se le cifre ballano, da 4 miliardi a 12 o 15miliardi l’anno dopo, di cosa parliamo? Se si vuole operare con il bisturi sulle detrazioni, non si recuperano più di 4-5 miliardi. Oggi comunque il vero punto è un altro: si può e si deve seguire una strada diversa».
Cioè?
«Se dobbiamo avere una raffica di aumenti fiscali, allora paghi chi finora ha pagato poco. È giusta la proposta Pd sui valori immobiliari, e non ha effetti sulla produzione. Da qui si può ottenere un punto di Pil (oltre 15 miliardi).
Giusta anche la misura di un contributo di solidarietà sui capitali scudati. Se quella aliquote si alzassero al 20%, si può recuperare un altro punto. Sono misure semplici e efficaci, che non deprimono il Paese».
Mai soggetti scudati non sono rintracciabili.
«Gli intermediari sanno benissimo dove prendere i soldi».
Sull’evasione sono state recuperate le
sue misure.
«Non direi: la soglia a 2.500 euro non è la tracciabilità sui pagamenti,ma solo la soglia per l’antiriciclaggio. Mancano
poi tutte le norme quadro, come l’elenco clienti-fornitori. Se si vuole combattere l’evasione non lo si fa con misure sporadiche. Da noi basterebbe stabilire, come in Francia, che le banche comunicano i saldi finanziari al fisco. A questo si potrebbe affiancare una riforma Irpef, che abbassa la pressione parallelamente al recupero dell’evasione. Ma è davvero possibile fare tutto questo da noi? Certi interessi non sono stati toccati».
Sulle privatizzazioni ci sono margini?
«Mah, mi pare che su quel fronte abbiamo già fatto tutto».

L’Unità 14.08.11