Il presidente della repubblica riprende in mano le redini della politica, e se potesse… Se si dovesse spiegare a uno straniero cosa è successo ieri pomeriggio al Quirinale bisognerebbe dirgli che c’è stato un sostanziale passaggio di consegne. Fra Berlusconi e Napolitano. Il perché è presto detto. Il Cavaliere ormai non controlla più la situazione. Fosse per lui il tempo trascorrerebbe tranquillo ma data la situazione è costretto a subire l’evidenza dei fatti e l’iniziativa altrui, pressato da Napolitano e da Draghi, assediato da tutte le parti. Si ribella, a modo suo, al punto dal dover ricorrere ad una iniziativa tanto estrema quanto disperata: sollecitare l’aperto dissenso dalla manovra che sta prendendo corpo dei pasdaran a lui fedeli (una pattuglia: Crosetto, Stracquadanio, Bertolini e Malan), spinti ad annunciare un voto contrario ai provvedimenti del governo «se non cambiano» (così Crosetto, vice di Tremonti).
Già, perchè è proprio l’uomo di via XX settembre ad essere più che mai inquadrato nel mirino del Capo. Come se non gli bastassero le ferite del caso Milanese e gli strali “in diretta” dell’ex amico Bossi. E stando così le cose, nessuno giura sul futuro politico del super-ministro, una volta girata la pagina della grande crisi finanziaria.
In un tale bailamme, si comprende perché Giorgio Napolitano abbia voluto riprendere le redini del comando politico. Il presidente della repubblica non ha fatto nulla per celare la sua grandissima preoccupazione, anticipando il rientro a Roma dall’amata Stromboli (ferie-record per brevità di durata) e convocando immediatamente al Colle il premier, il ministro dell’economia e Gianni Letta (e a seguire i leader dell’opposizione “costruttiva”, Casini e Bersani, non anche un poco spendibile Di Pietro), ha sentito Schifani e oggi riceve Fini.
Fornendo l’impressione che se non fosse in atto un’emergenza così drammatica sarebbe pronto a prendere una iniziativa ancora più forte. Ma Napolitano sa bene – come ha ricordato a Stromboli qualche giorno fa – che la Costituzione, di cui è scrupoloso garante, non gli assegna altro potere che la famosa moral suasion: passi formali, in sostanza, non ne può fare.
Ma ecco che da “moral” la “suasion” diventa tutta politica: e dunque il presidente ha chiesto con una certa durezza al premier cosa si stia facendo di concreto, quali siano le carte, i provvedimenti di legge: di parole ne sono state consumate pure troppe. Lo stesso discorso aveva fatto in precedenza al premier Mario Draghi, tra l’altro irritato per una inopinata critica mossagli da Bossi su cui probabilmente ha chiesto lumi.
A Napolitano il premier e il superministro non hanno portato testi di legge. A loro è stato fatto capire che di tempo per ricomporre le fratture ne hanno poco, «prima della riapertura dei mercati ci vorrà il decreto». Ai governanti il capo dello stato ha ripetuto che «è indispensabile un confronto aperto fra i partiti e fra le parti sociali» facendo attenzione «all’equità delle misure e dei sacrifici che verranno richiesti». Ha chiesto impegno costruttivo anche ai capi dell’opposizione, registrandone la disponibilità.
Più sullo sfondo, il presidente della repubblica è preoccupato per l’esplodere ripetuto ed esplicito dei conflitti all’interno della maggioranza, fra premier e ministri, e fra gli stessi ministri. Se è vero che la sussistenza di una maggioranza è stata verificata più volte, da ultimo solo pochissime settimane fa, è altrettanto indiscutibile che l’irruzione della più grave crisi degli ultimi decenni stia scuotendo la compagine come mai prima d’ora. Ma ora la sua attesa è per il decreto, nel weekend.
da Europa Quotidiano 12.08.11
******
Napolitano chiede azioni immediate e invoca «coesione»
Fare presto e bene. Presto, perché rischiamo ormai un bagno di sangue sui mercati e non sono più possibili esitazioni. Bene, perché bisogna rassicurare una volta per tutte i partner dell’euro e la Bce (che ci ha offerto, sì, un aiuto, ma condizionato), dimostrando che l’Italia sa gestire la crisi. Sono state queste due urgenze a dominare il colloquio tra il presidente della Repubblica e il premier, accompagnato da Gianni Letta e dal ministro Tremonti, ieri pomeriggio al Quirinale. Il precipitoso rientro a Roma di Giorgio Napolitano, in anticipo sul suo già breve calendario di vacanze a Stromboli, era di per sé un segnale della difficoltà del momento e del timore che certi nodi interni alla maggioranza blocchino il governo in un’insopportabile surplace.
Insomma: la preoccupazione del capo dello Stato era che, a tempo quasi scaduto per quanto riguarda la risposta del nostro Paese all’ondata di panico internazionale, potesse ancora mancare una «piena consapevolezza» di quanto è profondo il baratro che ci sta di fronte. E di come sia decisivo prendere «immediate contromisure», attraverso quel decreto di cui agli uffici giuridici del Colle non è ancora giunta né un’anteprima di massima né, tantomeno, una bozza più articolata.
Berlusconi e Tremonti hanno illustrato al presidente — solo a voce, dunque — alcune parti del provvedimento virtualmente pronte, in particolare alcune misure fiscali e finanziarie, e si sono limitati ad accennare altre parti che restano da approfondire (le più pesanti e controverse, la cui vaghezza dipende dal mancato accordo politico). Ma si sono impegnati a chiudere la partita entro la riapertura dei mercati dopo Ferragosto. Vale a dire che tra stasera e domani dovrebbero varare il provvedimento, in modo di recapitarlo al Quirinale nel weekend e consentirne analisi e firma.
È una sfida con l’orologio in mano che Napolitano segue monitorando maggioranza e opposizione attraverso un giro d’orizzonte cominciato ieri con una telefonata al presidente del Senato Schifani e con un paio di incontri importanti (Bersani e Casini) e destinato a proseguire oggi con un’udienza riservata al neosegretario del Pdl Alfano e al presidente della Camera Fini. Se al governo, al quale compete la responsabilità del decreto, domanda «scelte equilibrate, con sacrifici da distribuire con equità verso tutti i cittadini» in modo di non alimentare il conflitto sociale, il sondaggio del capo dello Stato con gli altri punta a mettere a fuoco il grado di disponibilità ad «accettare il confronto», magari con proposte proprie e in ogni caso senza alzare a priori le barricate. E in questa direzione si è espresso Bersani.
Sembra un rilancio della richiesta per «un impegno di coesione» che aveva fruttato il rapidissimo via libera alla manovra di fine luglio. E qui, per non equivocare il senso dell’iniziativa a largo raggio di Napolitano e non azzardare l’idea di mediazioni che non gli competerebbero, tornano utili le sue stesse parole di pochi giorni fa. «Quando parlo di coesione non la intendo come rinuncia da parte di qualche forza politica o sociale alle proprie ragioni e impostazioni, né come passaggio fortunoso o obbligato da piattaforme nettamente contrastanti a un programma unificante. Intendo il riconoscere la complessità e gravità dei problemi che si sono accumulati e che pongono a rischio il futuro del Paese: escludere competizioni perverse sul terreno della dissimulazione, della sdrammatizzazione e del populismo demagogico, aprirsi a un confronto serio».
Ecco lo spirito di interesse nazionale che il presidente vorrebbe rianimare sui due versanti della politica. La posta in gioco è molto alta e, mentre Bossi si sganghera polemicamente ipotizzando contro il governo addirittura un complotto di Bce e Mario Draghi (sottintendendo d’infilata forse pure il non citato Napolitano), ora sta a Berlusconi fare la prima mossa.
Il Corriere della Sera 12.08.11