La tanto attesa riunione con le parti sociali si chiude senza novità.
Doveva essere il punto di svolta della crisi, l’incontro epocale con il quale si sarebbe dato il via a una nuova stagione di riforme, l’anno zero di una ritrovata concordia nazionale. E invece nulla di tutto questo. L’incontro fra governo e parti sociali ha deluso le tante attese che si erano addensate alla vigilia. Per dirla con le parole di Susanna Camusso, leader della Cgil, è stata una riunione «non all’altezza dei problemi che abbiamo e della trasparenza che sarebbe necessaria». Il tutto con l’aggravante della tragedia senza fine che si vive sui mercati. Ieri, mentre il tavolo era ancora in corso, piazza Affari ha fatto segnare un ribasso mostruoso: meno 6,6 per cento.
Il governo quindi ancora una volta non ha voluto, o meglio non ha potuto, scoprire le carte. L’unica vera notizia riguarda la tempistica: il premier ha fatto sapere che è previsto un consiglio dei ministri ad hoc fra il 16 e il 18 agosto per anticipare alcune misure della manovra approvata non più tardi di un mese fa dai due rami del parlamento. Nessuna anticipazione, però, per quanto riguarda le misure che verranno prese. Berlusconi e il ministro dell’economia Tremonti si sono limitati nei loro interventi a ribadire quanto già detto nella conferenza stampa di venerdì scorso. Il presidente del consiglio ha confermato l’impegno di inserire in Costituzione l’obbligo del pareggio di bilancio mentre Tremonti, dal canto suo, ha snocciolato le stime aggiornate che prevedono l’anticipo del rientro dal deficit di un anno, al 2013. In particolare, il rapporto deficit-pil, al 3,8 per cento quest’anno, scenderà tra l’1,5 e l’1,7 il prossimo anno per arrivare al pareggio nel 2013. E per fare questo, ha detto il ministro dell’economia, occorre ristrutturare la manovra.
Cosa che più che una notizia è una banalità.
Non ha detto molto di più il sottosegretario Gianni Letta, secondo cui l’esecutivo al momento starebbe vagliando tutte le possibili ipotesi d’intervento per dare una stretta alla finanza pubblica. Tante ipotesi ma nessuna misura concreta. Un segnale d’impotenza, aggravato dalla proposta alle parti sociali di aprire tre diversi tavoli per le riforme che sono state richieste all’Italia dalla Bce: uno per le liberalizzazioni e le privatizzazioni, uno sulle infrastrutture e un altro per il mercato del lavoro. Insomma, dal governo sono arrivate promesse di future chiacchiere invece che misure reali. Non a caso, il capo degli industriali Emma Marcegaglia, che di solito non si abbandona a polemiche, non ha potuto fare a meno di notare che nonostante l’urgenza della situazione, l’esecutivo non abbia fornito dettagli su come raggiungere in anticipo il pareggio di bilancio. La Camusso dal canto suo ha mostrato un certo stupore per il nulla di fatto. «Ci aspettavamo che ci dicessero cosa intendono fare. La volta scorsa ci hanno consegnato il libretto delle cose fatte, questa volta ci aspettavamo la lettera della Bce, per sapere in che campo giochiamo ». E invece nulla di tutto questo, con Letta che ha anzi difeso la scelta di non pubblicare la lettera di Trichet. E con il ministro Sacconi che addirittura teorizza la mancanza di una linea definita: «L’incontro con le parti sociali ha consentito al governo di motivare la necessità di provvedimenti urgenti e a ciascun attore sociale di sottolineare le proprie specifiche priorità. A questo punto è il governo a dover decidere nel nome delle sue primarie responsabilità».
Una decisione che tuttavia è ancora in alto mare.
E anzi, dopo la giornata di ieri, si prefigura come ancora più complicata. Dalle parti sociali infatti è arrivata una vera e propria scarica di altolà sulle ipotesi di riforme che sono circolate in questi giorni. La Marcegaglia, ad esempio, è stata decisa nel togliere dal novero un’eventuale tassa patrimoniale.
Stesso pugno duro da parte dei sindacati per quanto riguarda una possibile stretta sulle pensioni, in particolare riguardo al blocco di quelle d’anzianità.
Industriali e sindacalisti poi si sono trovati d’accordo nel rivendicare l’autonomia in materia di relazioni industriali.
da Europa Quotidiano 11.08.11
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“La verità è che non sanno che fare”, Stefano Menichini
L’attesa era fortissima. Ora però ne sappiamo quanto ne sapevamo ieri. Cioè niente. Non solo noi. Non ne sa nulla quella inedita e preziosa alleanza dei produttori che è stata inutilmente convocata a palazzo Chigi. Non ne sanno nulla gli operatori finanziari, lasciati a cavarsela nella mostruosa tempesta borsistica.
Non ne sanno nulla i partiti. Non ne sanno nulla, figurarsi, i cittadini: come lavoratori, contribuenti, imprenditori, risparmiatori, pensionati, consumatori, in qualsiasi veste abbiano paura per il futuro.
Non sappiamo nulla di come l’Italia potrebbe uscire dall’emergenza per il semplice drammatico motivo che non sa nulla chi dovrebbe fare le scelte. Chi ha promesso di fare «presto e bene». Chi si vantava di aver già avviato tutte le misure necessarie e ieri ha dovuto ammettere che invece «tutto è cambiato» e che la manovra «va completamente ristrutturata».
Non lo dice più solamente Bersani, che il problema principale dell’Italia è la nullità che si trova alla guida del paese.
Il primo degli editoriali del Financial Times di ieri concedeva a Berlusconi un’ultimissima chance di dimostrare che tiene più agli affari pubblici che ai propri. Ma senza nutrire alcuna fiducia: «Ciò che l’Italia sta soffrendo non deriva da un colossale deficit di bilancio, ma da un colossale deficit di leadership politica». E la Borsa di Milano non aveva ancora chiuso, peggiore d’Europa, a meno 6,6 per cento. E il presidente del consiglio non aveva ancora confermato – davanti a Marcegaglia, Mussari, Camusso, Bonanni e gli altri – il proprio stato di stordimento.
Gianni Letta ha annunciato, e senza ironia, l’apertura di almeno tre o quattro tavoli di concertazione: così l’ennesimo dei tanti «momenti della verità» è sfumato, come i precedenti, nel rinvio causato dai veti nella maggioranza.
Oggi alla camera se ne consumerà un altro, dove almeno le opposizioni potranno confrontarsi con Tremonti. Sarà altrettanto deludente, temiamo. Del resto, perfino il prossimo “decisivo” consiglio dei ministri pare evento remoto, avvolto nelle nebbie.
Alla fine, anche chi vorrebbe collaborare, con le migliori intenzioni, potrà trovarsi a prendere atto che nessuna casa che brucia può essere salvata se il pompiere rimane immobile, attanagliato dal terrore e dall’incapacità.
da Europa Quotidiano 11.08.11