Lo storico dell’Economia Berlusconi non è più in grado di aggregare niente e nessuno incapace di qualsiasi strategia per il Paese. Si dovrebbe iniziare alzando l’età pensionabile a 65 anni per tutti e riducendo il carico fiscale. La Bce sbaglia a tenere alti i tassi. Sconcertante, devastante. Sono i primi aggettivi che Giulio Sapelli, professore universitario a Milano e storico dell’economia, usa per definire l’incontro tra governo e parti sociali. «Sconcertante – dice Sapelli – già l’annuncio: il 18 agosto il decreto. Siamo sull’orlo del baratro e aspettiamo ancora? Sconcertante che un governo si presenti lacerato senza un programma che costruisca non dico coesione sociale ma almeno, nelle difficoltà, un po’ di sana condivisione patriottica. Niente. Non una certezza sulle tasse. In questi giorni s’è detto di tutto e il contrario di tutto. Non una idea però sullo sviluppo. Non una proposta autentica sulle pensioni. In compenso un gran parlare di costi della politica…».
Non è d’accordo, professore?
«Dal punto di vista della morale, credo che sia un obiettivo sacrosanto tagliare i costi della politica. Ma quanto peseranno questi tagli sull’economia italiana? Poco? Niente? Certo pochissimo. Il dramma è che nei momenti di difficoltà si paga tutto, compreso la rinuncia a una seria riforma dello Stato. Da quanti anni si parla di cancellare le province? S’è mai visto un progetto autentico di semplificazione, di redistribuzione delle funzioni? No, si è sempre proceduto sovrapponendo burocrazia a burocrazia, salvo ogni tanto scoprire in modo assolutamente improvvisato il problema: una volta i costi della politica, una volta le province…».
Si può dare un senso politico all’esito
di questo incontro?
«Il naufragio del governo, la fine di un ciclo, che finendo rischia di trascinare il paese al disastro. Siamo di fronte alla dimostrazione che una forza politica costruita su una leadership personale non può reggere, si consuma giorno dopo giorno: Berlusconi non è più in grado di aggregare niente e nessuno, è diventato un puntino tra tanti puntini, incapace di qualsiasi strategia per il Paese.
Semplicemente grottesco il modo in cui in questa situazione, quando è fondamentale, vitale, il nostro rapporto con l’Europa, con la Merkel, con la Banca centrale europea, Berlusconi abbia delegittimato l’unico ministro, Tremonti, presentabile in Europa, l’unico che abbia relazioni con l’Europa, con la Merkel, con i banchieri europei».
A questo punto, l’Italia, per conto suo, che cosa potrebbe fare?
«L’Europa ci ha già fornito una lunga lista di cose da fare. Basterebbe partire da quella. Io penso che si dovrebbe cominciare elevando per tutti l’età pensionabile a 65anni. Sarebbe il primo passo, un passo che terrebbe conto della realtà dei fatti, un passo che è già diventato improbabile, dal momento che un ministro della Repubblica, mi riferisco a Umberto
Bossi, ha subito messo le mani avanti per bloccare qualsiasi cambiamento. Bossi lo ha detto: le pensioni non si toccano. Vedremo… Credo che poi bisognerebbe decidersi a passare a una fiscalità fondata sull’Iva più che sull’Irpef, colpendo i prodotti di lusso. Se una bottiglia di champagne verrà a costare il doppio francamente non mi preoccuperei,
soprattutto avendo letto che l’Italia risulti uno dei più forti importatori al mondo di champagne. Quindi si dovrebbe abbassare il carico fiscale: con questo, tra i più alti in Europa,non vedo come si possa riavviare un cammino di crescita, rilanciando i consumi, ridando corpo al mercato interno. Tutte scelte che avrebbe dovuto prendere il partito del liberista Berlusconi e che, malgrado tanto vantato liberismo, non sono mai state prese…».
Ma c’è qualcosa che gioca a nostro favore?
«Ancora, tutto sommato, una buona economia manifatturiera. Esiste ancora un’industria capace di produrre e di esportare».
Ovviamente non si può dimenticare il contesto, perché la sofferenza è universale…
«La situazione è abbastanza semplice e drammatica. Consideriamo un indice economico che mi sembra particolarmente preoccupante, quello che riferisce dell’andamento del commercio mondiale, cresciuto fino all’inizio di questo millennio e da un paio d’anni in netta discesa: negli Usa, in Europa, tranne che in Germania. Anche in Cina o in Sudamerica siamo a percentuali ancora di crescita, ma molto più basse che in passato. Tutto lascia pensare che un ciclo si stia invertendo, un ciclo costruito certo sull’innovazione tecnologica ma anche sui bassi salari e sulla disoccupazione strutturale: uns istema che all’inizio può funzionare, ma che alla lunga si paga. Gli Usa stanno cercando di reagire con una politica di tipo postkeynesiano, prestando i soldi alle imprese e aiutando i consumi (la stessa riforma sanitaria di Obamaha anche questo significato: risparmi i soldi dell’assicurazione e spendi altrove)».
Le politiche europee del credito sono adeguate?
«Cito la Federal Reserve americana che ha annunciato di aver bloccato fino al 2013 il costo del denaro vicino allo zero. Significa dire: fate investimenti, contraete mutui, indebitatevi. Perché siete garantiti. È una strada per riavviare il sistema. In Europa Trichet difende un più alto costo del denaro, per timore dell’inflazione, quando la vera minaccia oggi è la deflazione».
Nella tempesta di Londra ci sono anche i segni di questa crisi?
«Con tassi di disoccupazione che toccano il dieci per cento (significa che nella realtà siamo al quindici per cento) non c’è da meravigliarsi di quelle esplosioni di violenza. Cameron parla di delinquenti. L’Herald Tribune di ieri scriveva: giovani disperati… Esatto: giovani senza lavoro, senza cultura, senza relazioni e ora anche senza consumi…giovani disperati».
L’Unità 11.08.11