Secondo l´oracolo d´Arcore (hard core nel calembour d´un foglio inglese), l´Italia sopporta meglio d´altri Paesi eminenti la congiuntura planetaria: in fondo, stiamo bene; importa poco che il debito pubblico sfondi ogni parametro e i Btp siano collocabili solo a tassi esosi; «le borse sono un orologio rotto», racconta giovedì 4 agosto, visto come Piazza Affari accolga lo stupido discorso nelle Camere, applaudito dalla ciurma (il ministro degli Esteri, viso impassibile da capovoga, batteva il ritmo a manate sul banco); en passant consiglia d´investire in Mediaset. Un tedesco direbbe Galgenhumor, umorismo da patibolo. Dopo otto anni sub divo Berluscone, i conti fanno spavento. S´è arricchito da scoppiare, indifferente agl´interessi collettivi, senza la minima idea del cosa sia fare lo statista, perché l´unica sua abilità, formidabile, sta in affari penalmente rischiosi, donde la fobia dei tribunali: nel clownesco contratto elettorale figuravano Stato leggero, fisco arrendevole, vita comoda, soldi a palate, opere pubbliche faraoniche; e passata la sbornia, i poveri contraenti vedono in faccia la bancarotta. L´ipotesi migliore è una dura terapia in lacrime e sudore, ma il danno genetico lascia segni permanenti.
Nella crisi mordono fattori italiani. Il più importante ha un nome, “corruzione”: borsa nera dove infedeli addetti alla res publica vendono favori alterando i meccanismi selettivi; è un vorace fisco occulto; vent´anni fa divorava diecimila miliardi l´anno in lire. Lì cade una classe politica bacata, 1992. S´estingue la Dc, cerca identità l´ex Pci. In vacuo emergono l´antipolitica leghista e la pseudonovità berlusconiana. Il beneficiario della tempesta giudiziaria è lui, supremo corruttore (magnifico trasformismo): doveva salvarsi e sinora vi è riuscito occupando lo Stato; l´adopera disinvolto, quasi fosse roba sua; in particolare, trucca la giustizia mediante norme su misura, ubbidito da squadre parlamentari del cui ceffo non s´era ancora visto l´eguale. Diciannove testi promulgati sono il monumento d´una fraudolenta soperchieria. Il ventesimo, votato a Palazzo Madama, gli offre il modo d´allungare i dibattimenti portando testimoni a migliaia, finché i delitti siano estinti dal tempo; al quale fine s´era ridotto i termini; e un altro capolavoro in corso d´opera decapita i processi imponendo limiti alla durata nei singoli stadi.
Il berlusconismo implica l´impunità dei colletti bianchi. La portava nelle insegne: documenti sonori dicono che greppia fossero gli appalti gestiti dalla Protezione civile; emergono una P3 e P4, ma il Protettore aborre questo canale investigativo, l´unico efficace, e appena abbia mano libera, lo spranga. Naturale il rigoglio malaffaristico. Gli analisti quantificano l´attuale prelievo in sessanta miliardi d´euro, dodici volte quello d´allora, pari alla manovra che doveva quadrare i conti. Nei materiali raccolti figura Denis Verdini, triumviro forzaitaliota: martedì 2 agosto Montecitorio dichiara tabù le relative emissioni verbali; «non mi lascerò colpire dai giudici», afferma quel prode. L´indomani l´Unto viene nelle Camere a elogiarsi e gli eletti sciamano in vacanza fino al 5 settembre: centosettanta parlamentari andranno in Terrasanta, condotti dal templare Cl Maurizio Lupi; accudisce le onorevoli anime monsignor Rino Fisichella, arcivescovo evangelista (ogni tanto interloquiva in senso governativo).
In proposito circola una dottrina. Il capostipite è Licio Gelli, venerabile maestro della P2: era idea sua il pubblico ministero ubbidiente al governo («Piano di rinascita democratica», databile 1976), così nessuno molesta i gentiluomini ben visti da chi comanda; pochi anni dopo suona musica analoga Bettino Craxi. L´argomento tiene banco nella commissione bicamerale dalemiana (5 febbraio 1997-9 giugno 1998), il cui quarto comitato studia «le garanzie»; lo presiede un verde dal passato camaleontico: ultras cattolico, Lotta Continua, partito radicale, Psdi, Psi modulo craxiano. Castigamatti antigiustizialista, l´on. Marco Boato vuole una magistratura ridotta a ordine professionale, come gli avvocati o i dentisti et ceteri: un Consiglio superiore subordinato al parlamento; al diavolo l´obbligo d´agire; procure immobili finché non arrivino notitiae criminis qualificate; e punto capitale, ubbidiscano al ministro. Il Venerabile chiede spiritosamente i diritti d´autore. Dalla stessa matrice discendono i disegni berlusconiani (nella P2 aveva il numero 1816). Altrettanto vi pescano chierici d´una scuola pseudoneutrale. L´ultimo (E. Galli della Loggia, Corriere della Sera, 31 luglio) rileva «livelli spaventosi d´inquinamento», speriamo ancora reversibili: vero; e dalle cronache non appare indenne la sinistra. Falso invece che il nodo scorsoio sia insolubile fin quando gli antagonisti non transigano sulle regole dell´azione penale. Vale l´opposto: accordi transattivi implicano logiche illegalistiche, i cui canoni risalgono a Gelli, ricalcati nella Bicamerale; messeri d´ambo le parti ventilavano uno scioglimento parlamentare delle pendenze penali berlusconiane. Cantori Pdl e finti neutrali salmodiano contro l´«uso politico della giustizia». In chiaro il discorso suona così: «vogliamo un sistema dove le persone siano penalmente diseguali; alcune meritano riguardi fino all´impunità». La corruzione è delitto grave: quanto pesi, lo dicono i conti pubblici; ed esiste un solo rimedio, punirla, qualunque sia il distintivo all´occhiello; cosa impossibile dove un ministro comandi le procure e i partners del commercio delittuoso parlino sicuri al telefono, non ascoltabili. Al quale proposito spigoliamo una notizia (Corriere della Sera, 5 agosto). L´Olonese diagnostica il morbo italico: toghe invadenti tarpano la crescita economica; e ha la terapia pronta. Eccola: «fermare le intercettazioni», farina del diavolo; sminuire la Consulta affinché non dichiari invalide norme votate dal parlamento; strigliare gl´irrispettosi. Non è più perdonabile fingere che il caso penal-psichiatrico B. sia materia quasi innocua.
La Repubblica 11.08.11