A Berlusconi e a Tremonti non piace la parola “patrimoniale” perchè troppo di sinistra? Oppure l’imposta sui grandi patrimoni non è condivisibile dalla maggioranza di governo perchè è stata proposta nell’ultimo anno, con formulazioni diverse, da noti rivoluzionari come Pellegrino Capaldo, Giuliano Amato, Luigi Abete, Carlo De Benedetti? E se impiegassimo l’elegante definizione inventata da Francois Mitterand all’inizio degli anni Ottanta, quando introdusse in Francia l’«Imposta di solidarietà sul patrimonio», forse sarebbe più presentabile? Facciamo un accordo: non usiamo più il termine patrimoniale, che non piace al premier e ai milionari, che spaventa i ricconi con lo yacht e la Ferrari e alimenta diatribe quasi sempre inutili. Scegliete un nome meno minaccioso, ci pensi Tremonti sempre creativo quando bisogna inventarsi un neologismo (il suo “mercatismo” ha avuto un discreto successo sui giornali…), ma per favore chiedete un contributo significativo a chi sta meglio se oggi, come tutti concordano, bisogna salvare l’Italia. Possibile che in questo Paese malmesso, dove crescono le ingiustizie e le diseguaglianze, dove chi sta sopra guadagna sempre di più e chi sta sotto è sempre più in difficoltà, sia così arduo far passare un elementare criterio di giustizia sociale che non è una declinazione elegante dell’esproprio proletario, ma un principio di democrazia? Chi ha di più deve dare di più, soprattutto in momenti come questi. E invece, anche ieri, le varie anime (ammesso che ce l’abbiano) della destra di governo si sono trovate unite solo nella bocciatura preventiva dell’ipotesi di tassare i grandi patrimoni. Vedremo se nei prossimi giorni maturerà qualche cosa di diverso anche all’interno della maggioranza. La patrimoniale è un’imposta usata da molti governi di destra e di sinistra, è stata impiegata in Gran Bretagna e Nicolas Sarkozy ne ha delineato una formulazione “alla francese”. C’è chi la pensa come intervento una tantum, chi la vuole pesante, chi vuole escludere i beni strumentali funzionali alla produzione. E c’è anche chi pensa che la patrimoniale possa addirittura essere la base per una profonda riforma fiscale che sposti il prelievo dal lavoro e dalla produzione ai beni e patrimoni. In questo Paese in piena crisi economica da oltre tre anni, con un debito pubblico enorme, con oltre mezzo milione di posti di lavoro scomparsi, con un giovane su tre senza occupazione, dove almeno 50 miliardi di euro di reddito sfuggono al fisco, un intervento di giustizia sociale non dovrebbe suscitare scandalo. L’Italia sta diventando sempre più diseguale e la crisi ha accentuato le differenze, soprattutto è continuato quel fenomeno che dura da oltre vent’anni che sposta quote crescenti del Pil nazionale dal lavoro dipendente alla rendita. Nel 1974 ai lavoratori andava il 74% della ricchezza prodotta, la percentuale era scesa al 53% a metà degli anni Novanta e nell’ultimo decennio è ulteriormente diminuita attorno al 45%. Non basta. L’impoverimento delle famiglie italiane è costante, a causa della pressione fiscale e della caduta del potere d’acquisto dei salari. I salari medi dei lavoratori italiani sono solo al 23° posto tra i paesi dell’Ocse. È i bassi salari non favoriscono nemmeno la creazione di “veri” posti di lavoro. Nel 2010 circa l’80% dei nuovi assunti ha avuto contratti a tempo determinato o precari. Che cosa volete di più, volete colpire ancora le famiglie, i lavoratori, i precari, i pensionati? La grande manovra del geniale Tremonti è togliere gli assegni familiari e cancellare le agevolazioni? È di questo che stiamo parlando per risanare i conti e rilanciare il Paese. Si vuole di fatto alzare la pressione fiscale sul lavoro dipendente mentre le rendite se la cavano sempre. Chi in questi giorni specula e guadagna in Borsa pagherà solo il 12,5% sulle sue plusvalenze, la stessa aliquota che “colpisce” le vergognose stock options di potenti manager. La patrimoniale, o come volete chiamarla, una tassa più alta sulle rendite avrebbero un grande valore. Aiuterebbe il mondo del lavoro e i ceti più esposti alla crisi a condividere i sacrifici per sostenere il Paese, verrebbe introdotto un principio di giustizia. Il 10% circa delle famiglie possiede quasi la metà dell’intera ricchezza nazionale. Un contributo di solidarietà di poche migliaia di euro da parte di questi soggetti per due o tre anni porterebbe il Paese fuori dall’emergenza. È una richiesta eccessiva?
L’Unità 11.08.11