Risparmiare nella scuola non significa cancellare risorse, ma impiegarle al meglio. Nonostante la crisi le forze politiche democratiche non devono rinunciare ai fondamentali traguardi di equità sociale. Se c’è qualcuno (e purtroppo c’è) che pensa di por mano ai tagli sulla spesa per l’istruzione per rientrare nei limiti indicati dalla Ue, non si può che sperare in una risposta pronta da parte delle forze politiche e dei sindacati. Per cominciare, occorre tener conto che da troppo tempo il sistema educativo è stato considerato una sorta di pozzo. Una riserva inesauribile dalla quale si poteva attingere secondo le necessità del momento, ovviamente non di quelle che avrebbero consentito di migliorare la qualità delle scuole o di promuovere la ricerca. La conseguenza di questa politica di taglio delle risorse è stato il deterioramento continuo delle condizioni di funzionamento del sistema. Il fatto è che la politica dei tagli ha aperto una contraddizione insanabile proprio con la nozione di sistema. Per esempio, ridurre l’orario scolastico non significa solo diminuire l’organico degli insegnanti, ma affermare un’idea dell’educazione formale limitata ad una trasmissione di contenuti ai quali non corrispondono altre esperienze, quelle necessarie perché ciò che è stato appreso possa essere applicato. In un contesto nel quale la scuola italiana non può non confrontarsi con quella degli altri Paesi europei, è stato intrapreso un cammino divergente, di diminuzione del tempo dell’istruzione formale. Mentre nel resto d’Europa l’orario delle lezioni è solo una parte del tempo di funzionamento delle scuole, in Italia lo esaurisce completamente. L’autonomia delle scuole, anche troppo conclamata, si è ridotta ad una minuteria di gestione che ignora le scelte culturali, le prospettive di valore, l’impegno civico. La dotazione delle scuole (biblioteche, laboratori e altri spazi specializzati) è stata avviata alla dissoluzione, incentivando l’acquisizione di uno strumentario tecnologico che in assenza di una ricerca adeguata non produce benefici di qualche rilievo. Potremmo continuare, ma chiunque è in grado di farlo per suo conto. Per coprire l’inconsistenza delle interpretazioni che hanno sostenuto la politica scolastica si è fatto ricorso ad esibizioni ideologiche e, talora, alla rievocazione di un senso comune del quale non si può che ripetere quanto affermava Stuart Mill, e cioè che si tratta del brodo di cultura del pregiudizio. Ripercorrere l’evoluzione della politica scolastica dei governi della Destra è come immergersi nella polvere di qualche vecchia soffitta. Troviamo i grembiulini e le pagelle col voto di condotta, ma troviamo anche una nozione di merito totalmente schiacciata sulle caratteristiche personali dei singoli allievi. In breve, dopo decenni (è trascorso quasi mezzo secolo dalla riforma della scuola media) nei quali è sembrato che il sistema volesse perseguire intenti di equità sociale, preoccupandosi di più per chi aveva maggior bisogno, ci troviamo di fronte alla brutale dichiarazione che chi consegue insuccessi è scarsamente dotato di attitudini per lo studio o non si è impegnato come avrebbe dovuto. Va da sé che i meritevoli (ovvero gli allievi dotati e costanti nell’impegno), di fronte ai tagli di risorse che colpiscono il sistema sono del tutto in grado di adattarsi. Quel che si trascura di notare è che a tale adattamento provvedono, quando possono, le famiglie e che le discriminazioni sociali sono tornate ad essere la causa principale di successo o di insuccesso nelle scuola. È evidente che ci si trova di fronte ad una situazione economica di una gravità estrema e che anche la scuola è inevitabilmente coinvolta nell’andamento generale del Paese. Ma pretendere di fronteggiare le esigenze del momento con la falsa soluzione dei tagli alla spesa vuol dire mancare di intelligenza circa le caratteristiche della spesa per l’istruzione e della capacità di interpretare i cambiamenti in atto e quelli che si possono attendere nei prossimi anni. Meglio sarebbe tentare di ridefinire un quadro organico del funzionamento del sistema educativo. Oggi gli oneri per il funzionamento del sistema scolastico sono ripartiti fra lo Stato, le Regioni e gli altri enti locali. Gli interventi appaiono slegati, e rispondono a intenti che nel loro insieme non forniscono un’immagine di sviluppo per la scuola. Un sistema scolastico cresciuto all’insegna dell’unità si trova ora frazionato in realtà difformi e divergenti. C’è una scuola al Nord e una al Sud, le scuole di città sono diverse da quelle delle campagne e via seguitando. Occorre ricostituire il sistema. Ciò non significa limitare gli spazi di intervento dei soggetti che concorrono al funzionamento della scuola, ma eliminare la casualità degli interventi affermando una linea di politica per l’educazione fortemente ancorata ai principi stabiliti dalla Costituzione. Risparmiare nella scuola non significa tagliare le risorse, ma impiegarle al meglio per conseguire i traguardi di equità per i quali le forze politiche democratiche da sempre si sono impegnate.
L’Unità 09.08.11