«Noi faremo la nostra parte, ma se il premier non lascia, ogni provvedimento rischia di durare un mese e poi si tornerà da capo», avverte il leader del Pd, che chiede chiarezza sui costi sociali delle misure anti-crisi.
«Dopo 3 anni di favole ci troviamo col cappio al collo. Ma noi vogliamo capire due cose essenziali: se questo prezzo lo devono pagare solo i ceti medi, quelli a minor reddito e la gente che ha bisogno dei servizi o se disturbiamo qualcun altro». Alle sette di sera, davanti alle telecamere del Tg3, Pier Luigi Bersani torna a battere sullo stesso tasto, sulla preoccupazione scattata un attimo dopo l’annuncio fatto l’altra sera dal presidente del Consiglio sull’anticipo della manovra al 2013. È innanzitutto sul costo sociale della “nuova” ricetta berlusconiana per salvare l’Italia che il Pd vuole chiarezza. E poi «vogliamo sapere se finalmente c’è qualche riforma nella manovra per il lavoro e la crescita. Non pensi Tremonti di poter venire senza rispondere a queste domande, su questo faremole nostre proposte», ripete il segretario dei Democratici, che avverte il ministro dell’Economia: «non pensi di uscire dalle Commissioni parlamentari senza uscire dalle nebbie, senza dire cioè dove precisamente e a carico di chi e di che cosa intende ricavare decine di miliardi dall’assistenza e dalla manovra sul fisco e detrazioni». Tanto per essere precisi, ci faccia capire «quanto pagherà chi ha redditi, patrimonio e ricchezza paragonabili, per fare solo un esempio, a quelli del presidente del Consiglio». Certo, ci sarebbe voluto «e ci vorrebbe un governo nuovo, fatto rapidamente, con personalità autorevoli, credibili nel mondo, che riuscissero a raccogliere il massimo di forze parlamentari. Su questa ipotesi – assicura Bersani – noi saremmo pronti ad abbassare un po’ le nostre bandiere e a dare pienamente una mano». Ma il Pd farà comunque, «responsabilmente» la propria parte – garantisce il segretario – cercando di correggere le misure che si vareranno, ma «finché sta lì Berlusconi, e lo dice il mondo non solo noi, tutto quello che facciamo rischia di durare un mese e poi farci tornare da capo».
PREZZO SOCIALE
Del resto, a fronte di una situazione economica gravissima, per la presidente del Pd al Senato, Anna Finocchiaro, il governo è ancora fermo agli annunci o a scelte, come quella sull’inserimento del pareggio di bilancio nella Carta, «che sono positive ma che richiedono tempo e non toccano l’oggi», mentre anticipare le misure annunciate senza modificarle significa dare «un ulteriore colpo a famiglie e lavoratori» perché «se non sicambia la manovra ci sarà un prezzo sociale molto alto da pagare». E anche lei conferma: «Noi andremo in Parlamento comunque e avanzeremo le nostre proposte, note da tempo. Responsabilità vorrebbe che il governo ci ascoltasse».
Insomma, il grosso del Pd non esita a leggere i quattro pilastri della proposta anticrisi del Cavaliere come un aggregato di demagogia, annunci ancora in alto mare e – laddove qualcosa di concreto c’è – misure ad altissimo rischio per la collettività. Così la vede anche il presidente dei Democratici Rosy Bindi, critica sulle due modifiche alla Costituzione proposte dal premier, che sarebbero solo «un debole diversivo» rispetto alla drammaticità delmomento,ma assolutamente contraria all’anticipo del pareggio di bilancio al 2013 se primanon si cambia «una manovra depressiva e iniqua» e sulla scelta di «puntare tutto sulla delega sociale e il lavoro, senza intervenire sulla crescita e lo sviluppo», accentuando le diseguaglianze.
Pesante bocciatura anche da Stefano Fassina, responsabile economico del Pd, su questa formula anti-crisi che anziché liberalizzare l’economia ripropone la modifica dell’articolo 41 della Costituzione, che avvia verso una ulteriore precarizzazione del mercato del lavoro e che non specifica le fonti precise dei 20 miliardi di maggiori imposte e minori spese attribuite alla delega fiscale ed assistenziale anticipata al 2013, ma «si cimenta in un intervento demagogico e sbagliato sul pareggio di bilancio in Costituzione».
Proprio da Fassina arriva una sentenza senza scampo: se non accettano «le correzioni proposte dalle opposizioni si anticipa una manovra pesantemente regressiva e, quindi, depressiva».
Mac’è pure chi è su posizioni diverse e mostra una parziale apertura. Così Walter Veltroni, che giudica negativamente la manovra («occorre che non deprima, con la stangata fiscale, una crescita vicina allo zero», e ascoltate le parti sociali e le opposizioni, vanno introdotte «forti correzioni») apprezza comunque la decisione sull’anticipo del pareggio di bilancio, considerato «ragionenovele» anche dal senatore Marco Follini.
da L’Unità
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«Il pareggio di bilancio nella Carta? È solo fumo», di Laura Matteucci
Intervista a cesare Damiano. L’ex ministro del Lavoro «Non è realizzabile nel breve
periodo e non serve a superare l’emergenza economica»
Un diversivo. Una proposta che non trovo affatto convincente. Fumo negli occhi per non affrontare quello che sta davvero dietro le scelte di bilancio, l’incapacità di questo governo a contrastare la crisi, peraltro negata fino all’altro giorno. A cui adesso risponde anticipando una manovra iniqua, che avrà effetti dirompenti sui ceti medio-bassi, e depressivi sull’intera economia». L’ex ministro del Lavoro Cesare Damiano, ora capogruppo Pd in commissione Lavoro alla Camera, boccia senza appello i quattro «pilastri» sbandierati da Berlusconi e Tremonti come la diga in grado di arginare il pressing planetario sull’economia e sulla politica italiana, alla cui capacità di solvenza i mercati non credono più.
Partiamo dal pareggio di bilancio in Costituzione: lei lo trova “un diversivo”, perchè?
«Non sarebbe realizzabile nel breve periodo: se anche tutto filasse liscio, ci vorrebbe quasi un anno per una modifica costituzionale. Già questo, fa della propostaun escamotage per nascondere il vero problema del governo: l’incapacità di intervenire subito e con serietà. Un po’ come gli incontri con le parti sociali – cui loro, peraltro, l’hanno costretto: è un’operazione di facciata, fatta da un governo cheha sempre negato la concertazione, e semmai perseguito le divisioni. In più, si tratta di un vincolo che finirebbe per irrigidire ogni possibilità di manovra politica: di fronte ad un’emergenza seria non si potrebbe varare un correttivo che l’affronta con efficacia, assumendosene la responsabilità politica».
Se il problema è il tempo, allora anticipare la manovra ha un senso.
«Avrebbe senso se la manovra fosse un’altra. Questa scarica i costi solo sui più deboli, colpisce severamente le pensioni, aumenta la pressione fiscale, e costruisce una sorta di patrimoniale sui più poveri, con la tassazione dei depositi, anche modesti, e l’introduzione dei ticket. In più, non ci sono risorse per gli investimenti: una manovra depressiva, in una logica di pura quadratura dei bilanci. Si tratta di intervenire con rapidità? Bene,ma innanzitutto correggiamo gli effetti distorsivi degli interventi. Non vedo perchè ancora una volta siano state esentate le rendite finanziarie».
Allude ad una patrimoniale.
«Questo Paese ha reazioni inconsulte quando si pronuncia quella parola, incredibile. Io penso ai grandi patrimoni, ascrivibili al 10% delle famiglie: non capisco perchè non debbano concorrere una tantum al salvataggio. Su questo il Pd deve lavorare, pretendendo che qualsiasi futura manovra non esenti qualcuno dal pagare dazio».
Non ci sono già delle proposte in campo?
«Bisogna andare avanti. Anche analizzando le conseguenze devastanti di 30 anni di liberismo: non dobbiamo vergognarci di dire che i mercati vanno regolati, o che lo Stato deve poter intervenire. Di parlare di redistribuzione della ricchezza e di progressione delle imposte. Dobbiamo dotare la politica di una visione alternativa, altrimenti saremo solo i correttori di bozze scritte da altri».
Si torna a parlare di Statuto dei lavori.
«Il colpo finale è al modello contrattuale e alla rappresentatività. Quello Statuto fa perno sulla derogabilità dei contratti, su un’ulteriore riduzione delle tutele del lavoro, compresa la riforma dell’art. 18».
Tremonti enfatizza la libertà d’impresa, con la modifica all’art. 41.
«Lo fa perchè vuole dare un finto segnale di modernizzazione. Ma modificare quell’articolo, che chiama le imprese alla responsabilità sociale, ha un senso di deregolazione totale. Un “liberi tutti” che sa di far-west. E di cui non mi pare proprio le imprese abbiano bisogno»
da L’Unità
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«Ma la nostra proposta è strutturale non nominale», di La. Ma.
Intervista a Giorgio Tonini. Il senatore Pd «È una soluzione europea. Tiene conto
del ciclo economico. Negli anni difficili consente di sforare»
Èuna richiesta europea. La Germania è stato il primo Paese ad accogliere l’appello, la Francia ha già avviato le procedure per farlo, e adesso, costretti dall’emergenza, arriviamo anche noi. Questo è un punto che mi trova favorevole, ma solo a determinate condizioni». Il senatore Pd Giorgio Tonini, ora capogruppo in commissione Esteri, condivide la proposta di inserire in Costituzione l’obbligo del pareggio di bilancio, peraltro già lanciata giorni fa dal Terzo polo insieme a Nicola Rossi, ex Pd ora nel gruppo Misto e sottoscritta da diverse firme bipartisan tra cui quella del democratico Enrico Morando. L’obiezione di molti economisti, tra cui Tito Boeri, è che rischieremmo la fine di Obama,costretto poi auntour deforce in Congresso per alzare il tetto del debito. La norma, insomma, sarebbe troppo rigida.
«Boeri dice questo perché ha in mente solo la proposta di Rossi, dalla quale ci distinguiamo per l’inserimento di una clausola. Noi ci rifacciamo all’accordo europeo, che in realtà parla di pareggio strutturale di bilancio, non nominale, che quindi tenga conto del ciclo economico. Si prevede il pareggio al netto degli effetti del ciclo: se è positivo il patto diventa più stringente e, viceversa, negli anni difficili, consente di sforare. Il vincolo, insomma, dev’essere flessibile, non rigido: più severo se l’economia cresce, più tollerante in caso contrario».
Il processo di modifica della Costituzione è lungo e complesso: non avremmo bisogno di interventi immediati?
«Per approvarlo in fretta almeno in prima lettura, infatti, bisognerebbe muoversi subito. Invece, il calendario del governo fissa la riunione della commissione competente giovedì prossimo. Di fatto, significa rimandare tutto a settembre. È chiaro che occorrerebbe anticipare, tra l’altro procedendo anche alla riduzione dei parlamentari, sulla quale siamo tutti d’accordo».
Ma non basta noi vincoli europei già esistenti?
«Quelli sono il punto di riferimento. Inserire l’obbligo nella Carta sancirebbe il fatto che il risanamento è un bene non disponibile ai diversi governi e maggioranze parlamentari. Un obiettivo che resta fisso, condiviso dall’intero Paese».
Gli altri punti di cui hanno parlato Berlusconi e Tremonti come li giudica?
«L’anticipo del pareggio di bilancio è anche giusto,mail problema sono i contenuti della manovra. Troppo spostata sul lato delle entrate, finisce per mettere sotto torchio i soliti noti. Piuttosto, bisogna intervenire in modo strutturale sulla spesa, e semmai alleggerire la pressione fiscale a dipendenti e imprese».
Come? Con una patrimoniale?
«Abbiamo un problema enorme: dobbiamo rapidamente liberarci di una quota consistente di debito, e per farlo credo sia giusto chiedere alla parte più ricca della società un contributo. Non in chiave punitiva, ma di responsabilità e solidarietà. Ricordandoci, dati Bankitalia, che il 50% del patrimonio privato vale 7volte il debito pubblico ed è in mano al 10% delle famiglie».
E «la madre di tutte le liberalizzazioni », la riforma dell’art. 41 della Costituzione sulla libertà d’impresa? È questa che porterà la crescita necessaria?
«Quella è una boutade, costruita perchè a Tremonti piacciono le cortine fumogene. L’art. 41 prevede la responsabilità sociale delle imprese, e nessun imprenditore peraltro se n’è mai lamentato. Non è proprio il caso di cambiarlo, tanto meno come surrogato di una seria politica di liberalizzazioni di cui, invece, non si vede l’ombra. Tremonti farebbe bene a seguire Bersani nelle sue “lenzuolate”, e su questo saremmo tutti d’accordo».
da L’Unità