Intervista a Susanna Camusso. Il leader Cgil «Circa 24 miliardi reperiti eliminando gli sgravi per il lavoro e per la famiglia. Ai grandi patrimoni non si chiede nulla. È inaccettabile»
Con questo governo, con questa manovra, non è possibile nessun patto sociale. Altro che coesione: loro fanno pagare sempre gli stessi e romponol’equilibrio sociale. Accade anche con l’ultima manovra, che noi non chiediamo affatto di anticipare, ma di cambiare ». Susanna Camusso smonta i troppo facili entusiasmi che qualche ministro (tipo Sacconi) ha espresso a margine dell’incontro del governo con le parti sociali.
«Non ci hanno mostrato nessuna disconitnuità, anzi. Lo schema del governo è stato lo stesso di sempre». Per la leader Cgil c’è un’incapacità strutturale dell’esecutivo nell’affrontare la crisi mondiale: «Qualsiasi cosa facciano, sarebbero costretti ad ammettere che finora si sono sbagliati, cosa che non possono fare. Così stanno fermi».
Intanto si diffondono voci di un intervento in pieno agosto e dopo qualche minuto piomba nello studio al quarto piano di Corso d’Italia la conferenza stampa del premier con il ministro del Tesoro.
Si pensa di anticipare la manovra, proprio quello che non volete…
«È l’ennesimo disastro. Fino a ieri il governo negava la crisi. Oggi fa due operazioni: risponde agli ordini europei, ribadisce la politica iniqua e conferma la volontà di dividere. Di fatto fa il contrario di quello che ha sollecitato il presidente della Repubblica e il contrario di quanto abbiamo chiesto noi al tavolo, dove si puntava sulla crescita».
Quando c’è una crisi nessuno sfugge ai sacrifici. Fu lo stesso nel ‘92-‘93.
«A differenza di quanto avvenne durante la crisi del 92-93, oggi noi abbiamo già dato. Finora hanno pagato sempre le fasce medio-basse. Allora decidemmo insieme al governo e avevamo un obiettivo chiaro, quello di entrare in Europa. E quel passaggio fu fatto all’insegna dell’equità, con sacrifici chiesti anche ai più ricchi. Oggi invece i lavoratori hanno preso solo schiaffi. Per noi la premessa necessaria è che non paghino più solo i lavoratori e i pensionati. Invece nella manovra che oggi si vuole anticipare si capisce molto chiaramente che i 4 miliardi nel 2013 (oggi già l’anno prossimo) e gli altri 20 nel 2014 (anticipati al 2013) verranno reperiti con una stretta senza precedenti sulle agevolazioni che per la maggior parte sono destinate ai dipendenti e alla famiglia (a proposito di famiglia), mentre sull’assistenza si aggredisce l’ultimo aiuto che è rimasto, per la non autosufficienza, dopo lo svuotamento di tutti i fondi. Per questo diciamo che anticipare questa manovra significa ammazzare il Paese. È importante che tutta l’opposizione dica chiaramente questa cosa. La cgil non rinuncerà a cambiare la manovra e a partire da settembre riprenderà la mobilitazione per cambiarla sulla base della nostra controproposta».
Il governo parla anche di un testo sul lavoro.
«È sempre la stessa scelta: la volontà di dividere. Quando ce ne hanno parlato al tavolo tutti hanno risposto: no grazie».
Pensa che quell’accenno allo statuto dei lavori da parte di Sacconi sia stata una provocazione?
«Certamente sì. Per questo dico che lo schema del governo non è cambiato. A Palazzo Chigi Berlusconi ha continuato a dire che tutto va bene, Tremonti ha continuato a parlare di rigore, e Sacconi ha continuato a cercare di dividere i sindacati. Tutto come se nulla fosse».
Ci riusciranno?
«Spero di no. Si è maturato un orientamento collettivo che la strada della divisione non ha portato da nessuna parte».
Quale misura avrebbe dovuto essere anticipata ad agosto?
«Si sarebbero dovuti sbloccare gli investimenti. Quello che abbiamo visto finora è poca cosa. Ci sono misure che costerebbero anche poco. Per esempio c’è un piano bonifiche in attesa di autorizzazione da due anni. Quelli sono fondi privati, che restano bloccati. Si annuncia uno stanziamento del Cipe, senza indicare il cofinanziamento. Tremonti ci dice al tavolo che la Cassa depositi e prestiti costituisce un grande fondo per gli investimenti. Allora perché non lo attivano?. Mi permetto di ricordare che nel 2007 una parte del Tfr dei lavoratori è stato dirottato all’Inps per gli investimenti: 5 miliardi l’anno. È legittimo chiedere dove siano andati quei soldi?»
In ogni caso per la scossa servono altre risorse…
«Noi abbiamo le nostre proposte. Una tassa sulle grandi ricchezze, l’aumento dell’aliquota sulle rendite finanziarie. Oggi comincio a pensare che sui grandi patrimoni servirebbe una tassa ordinaria, come accade in tutti i Paesi, e una straordinaria. La patrimoniale straordinaria potrebbe servire per sbloccare gli investimenti e dare il via a un vero piano di sviluppo, evitandoil piano di svendite dei beni pubblici che si sta proponendo. Insomma, bisogna costruire un cambiamento delle voci. Ma la volontà di far pagare sempre gli stessi è chiarissima. Il governo non ci ha fornito alcuna spiegazione sul perché non si possano sostituire i ticket con la tassa sul tabacco come chiedono le Regioni. È chiaro perchè gli enti locali non vengono invitati ai tavoli. Si scarica su di loro la responsabilità di fare tagli, si attribuisce alla crisi internazionale la causa di tutti i mali, e Berlusconi e i suoi ministri fanno come Biancaneve, sembra che loro non c’entrino nulla. È innegabile che ci sia una crisi mondiale. Ma dentro questa crisi c’è anche un caso Italia, che con questo governo non si risolverà».
Chiede le elezioni anticipate o un governo di larghe intese?
«Non ci sostituiamo certo alla politica, ma sicuramente in questo paese c’è anche un bisogno forte di democrazia. Voglio sottolineare anche che in Spagna l’annuncio di elezioni anticipate non ha avuto conseguenze sui mercati. Nessuna minaccia alla stabilità, come molti ci raccontano da noi»
Non ci sarà un patto, ma di fattoil fronte delle parti sociali si è unito. «Non c’è stata un’improvvisa fusione di intenti. Il denominatore che unisce tutte queste sigle è il fatto che la situazione è grave, ciascuna rappresentanza sa che i propri associati rischiano. Cosa porta Confindustria a dire le cose con noi? Il fatto che se le imprese fanno fatica, anche il lavoro soffre. Le diverse sigle esprimono interessi differenti, ma tutti sanno che saranno penalizzati da questa crisi. Non a caso i punti comuni (i sindacati hanno detto no alle privatizzazioni, ndr), si sono concentrati sulla crescita».
E i rapporti con Cisl e Uil? «Bisognerebbe che si convincessero che con questo esecutivo è difficile fare qualsiasi cosa che vada nella direzione dell’equità».
Non avete chiesto voi un patto?
«Assolutamente no. È il governo che parla di patto per la coesione, la stabilità e la crescita. In realtà c’è il tentativo di far condividere alle parti le scelte che loro hanno già fatto. Faccio anche notare che la crescita, rivendicata dalle parti, non richiede alcun patto sociale. Sbloccare gli investimenti, fare la lotta all’evasione, colpire la corruzione spetta al governo. Questa è l’anomalia italiana che non si aggredisce con questa manovra».
da L’Unità
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“La rivoluzione di Susanna”, di Stefano Baldolini
Le convergenze in tempo di crisi mettono in difficoltà la Cgil, con le critiche alla Camusso.
Non sono bastati i distinguo del segretario sulle privatizzazioni contenute nel documento comune con le altre parti sociali. Né il monito al governo sull’intangibilità dello statuto dei lavori. Nemmeno la presa d’atto del sostanziale flop dell’incontro a palazzo Chigi.
Potere dei simboli. Per la minoranza e, a quanto pare, per parte della componente maggioritaria della Cgil, è stato troppo vedere il loro segretario marciare all’unisono con imprese e banche, e soprattutto, sottoscrivere una proposta insieme.
«Non ho mai visto una conferenza stampa in cui Confindustria e banche parlano a nome dei sindacati», dichiara a Europa Gianni Rinaldini, leader dell’area di minoranza “La Cgil che vogliamo”, che in una nota chiede di sospendere gli incontri previsti nelle prossime settimane e di convocare subito il direttivo. «Dopo tanti anni di sindacato – continua Rinaldini, durissimo – non ho mai visto la Cgil funzionare in questo modo. C’è un gruppo dirigente, a partire dal segretario, che va avanti e mette gli altri davanti al fatto compiuto. Così il voto diventa un voto di fiducia al segretario, un modo per evitare la discussione. Sono tutte trattative senza delegazione trattante, cosa mai vista. L’unico testo che il direttivo ha visto è quello già firmato. Tutta la partita si è aperta, e il direttivo non l’ha mai discusso. Persino nel ’93 c’era una delegazione nell’ufficio di fianco con cui Trentin discuteva».
È la fisiologica posizione della minoranza interna, si dirà. E probabilmente è vero. Ma se è vero quello che scrive il manifesto, «qualcosa si muove e non tutti, tra chi è organicamente nella maggioranza camussiana, è disposto ad apporre la sua firma in calce al “documento comune”». Anzi, «nei prossimi giorni il dissenso si manifesterà, anche al vertice delle categorie e della segreteria nazionale». Non mancherebbero i segnali, come il dissenso di un segretario confederale, Nicola Nicolosi che boccia senza riserve il documento.
Mentre sembrano limitarsi a marcare una soglia invalicabile Carla Cantone, segretario generale dello Spi-Cgil, sindacato dei pensionati, quando parla di stop a ulteriori sacrifici a lavoratori, giovani e pensionati, e Rossana Dettori, segretaria generale Fp Cgil, che ribadisce il no alle privatizzazioni.
Vedremo se queste prime voci si moltiplicheranno, o se i mugugni rimarranno semplici rumors. «Una cosa è ciò che si sussurra nei corridoi, altra è ciò che si dice in pubblico», ci dice chi conosce bene una struttura complessa come la confederazione. Una cosa appare certa. Sia la sottoscrizione del documento che l’avvio del cantiere con le altre parti sociali, possono considerarsi la seconda accelerazione impressa al più forte sindacato italiano dopo l’accordo interconfederale con Confindustria, raggiunto lo scorso 28 giugno. Accordo che suscitò nel direttivo dubbi e perplessità anche in esponenti della maggioranza.
L’inizio di una dinamica con conseguenze pericolose per la segreteria? L’ex direttore generale della Cgil di Cofferati, oggi senatore Pd Achille Passoni, tende a minimizzare: «È sempre così a ogni appuntamento con il governo nei momenti difficili. È una fibrillazione quasi naturale. Ovviamente c’è una minoranza che fa il suo lavoro, ma le mosse del segretario sono ampiamente condivise. Peraltro non vedo come si possa criticare la Camusso. La maggioranza della Cgil ha sempre detto che la manovra era sbagliata, che non c’era la crescita. E lo diceva da sola. Oggi lo dicono tutti». Semmai il problema è che «c’è una parte della Cgil che ha idiosincrasia agli accordi, non sapevo però che avesse idiosincrasia per un semplice documento unitario».
da www.europaquotidiano.it