Forse Berlusconi avrebbe fatto meglio a non parlare. In questi frangenti i discorsi vuoti sono peggio dei non discorsi. Aveva chiesto di parlare a mercati chiusi nutrendo l´aspettativa di annunci importanti, di segnali di svolta nelle politiche se non nelle persone. Ma questa volta non sono arrivati neanche gli annunci. Solo vuoti richiami alle parti sociali, l´ennesimo accenno al nuovo statuto dei lavori, di cui il ministro Sacconi parla da almeno sette anni senza aver mai presentato un progetto, e un vaghissimo riferimento a fusioni e aggregazioni di enti pubblici. Due conti possono essere utili per capire il pericolo che stiamo correndo. Ieri lo spread fra titoli di Stato decennali italiani e tedeschi era salito fino a 400 punti base: sul mercato si chiedevano rendimenti del 6,25 per cento per acquistare i nostri titoli di Stato, mentre i Bund alla stessa scadenza venivano comprati a poco più del 2,35 per cento. Per fortuna non dobbiamo pagare da subito questi interessi sul totale del nostro debito pubblico, ma solo sulle nuove emissioni e i nostri titoli di Stato hanno una durata media lunga, superiore ai 7 anni. Ma a regime, con un debito pubblico superiore al reddito generato in Italia ogni anno, quei due punti e mezzo in più di interessi rispetto a due mesi fa pagati su tutti i titoli in circolazione significano 50 miliardi in più di oneri sul debito, più di quanto raccolto in tre anni e mezzo dalla manovra appena varata.
Dato che gli investitori questi conti li sanno fare, ogni nostro ritardo nell´adottare le contromisure, rende uno scenario di questo tipo sempre più probabile. Questo implica che la percezione del rischio aumenta, dunque il premio, il rendimento aggiuntivo che si chiede per comprare i nostri titoli di Stato. Si mette cosi in moto un circolo vizioso o «effetto valanga», fatto di tassi sempre più alti sui titoli di Stato, dunque spesa per interessi crescente e disavanzi di bilancio che aumentano ulteriormente il debito, una spirale che alla lunga porta alle crisi di insolvenza. Le reiterate affermazioni di Berlusconi secondo cui «i mercati si sbagliano», il suo riferimento alla «speculazione» sono una confessione di impotenza. I mercati sono qualcosa di impersonale, il risultato di scelte di milioni di persone che tra di loro non si parlano. Dire che si sbagliano serve solo a convincere gli investitori che la condanna che sta per essere emessa, per quanto possa apparire ingiusta a chi la subisce, ha fondamento.
L´unico modo per bloccare la spirale è causare coi fatti e al più presto forti perdite a chi scommette sulla nostra insolvenza. Per questo ieri ci volevano segnali forti. Poteva esserlo l´impegno, possibilmente corredato da un elenco di nuove misure, ad anticipare di due anni il raggiungimento dell´obiettivo del bilancio in pareggio. Si dovevano annunciare misure immediate di contrasto all´evasione fiscale incrociando davvero tutte le fonti informative disponibili sui redditi degli italiani, dato che l´economia sommersa in condizioni come queste diventa una risorsa in più cui attingere rispetto ad altri Paesi. Ci volevano misure di contenimento della spesa pubblica anch´esse immediate. Avrebbero dato il segnale di un governo che è ancora in carica, che riesce a fare scelte difficili. Il contrario di quanto fatto capire con una manovra, inizialmente presentata in Europa come incentrata sui tagli di spesa, e diventata invece per due terzi un insieme di nuove tasse. Sarebbe servito anche perché l´unico provvedimento varato in questi giorni è stato lo sblocco di 9 miliardi per il Sud, dunque nuove spese, segnale di un governo sempre più con la testa alle elezioni. Ci poteva essere nel discorso di Berlusconi almeno un segnale di svolta nella mentalità, un´indicazione del fatto che la nostra classe politica ha capito che si possono fare tante riforme a costo zero, che si può sostenere la crescita anche tagliando la spesa pubblica, migliorando la composizione del nostro bilancio e rendendo meno oneroso il finanziamento del debito non solo per le amministrazioni pubbliche, ma anche per i privati. La crisi del debito pubblico sta infatti riducendo la liquidità in circolazione nel settore privato, mettendo in grave difficoltà le nostre banche e le nostre imprese. Ogni passo fatto per bloccare la spirale è perciò di per sé una misura per lo sviluppo. Una cultura della crescita con riforme a costo zero difetta anche all´opposizione. Il fatto è che non poche delle misure che dovrebbero essere adottate possono nell´immediato rivelarsi impopolari. Per questo ci vorrebbe oggi un esecutivo che non ambisce solo ad essere rieletto, anche se le elezioni dovessero tenersi alla scadenza naturale della legislatura. Ogni segnale dato in questa direzione, ogni indicazione che il nostro Presidente della Repubblica è disposto a mettere una volta di più in campo la sua popolarità interna e credibilità internazionale per contrastare la crisi, può servire a bloccare la spirale. Non è certamente casuale il riconoscimento ieri del lavoro di Giorgio Napolitano in queste settimane da parte di Sergio Marchionne. All´estero, tra chi tuttora detiene più di metà dei nostri titoli di Stato, sono in molti a pensarla come lui.
da La Repubblica