Un’altra giornata di passione in Borsa. Nei mercati italiani in particolare: record di perdite alla Borsa di Milano e nuovo record sullo spread tra i titoli del Tesoro italiano e quello tedesco. Lungi da me provare a interpretare il crollo di ieri o a prevedere se oggi la Borsa rimbalzerà. Ad ogni prima lezione di economia finanziaria gli economisti insegnano che l’andamento di Borsa giorno per giorno è essenzialmente imprevedibile. Quanto sta succedendo sui mercati finanziari in Europa e negli Stati Uniti da alcuni mesi è però perfettamente comprensibile.
Come ho argomentato su queste colonne la scorsa settimana, la questione del default Usa era ed è irrilevante. Esso sarebbe stato un default tecnico, una questione fondamentalmente legislativa e contabile. La prova di questo è che i tassi sui titoli americani sono rimasti bassi e invariati durante l’intera fase di negoziazione: gli investitori non hanno cioè mai cessato di prestare allegramente al Tesoro americano. Quegli osservatori che in questi giorni, senza badare a questi fatti, hanno correlato il possibile default Usa con la volatilità delle Borse europee, stavano evidentemente cercando di convincere se stessi oltre che i lettori.
La controprova è che le Borse sono crollate anche ieri dopo l’annuncio dell’accordo al Congresso.
L’andamento delle Borse in Europa e negli Stati Uniti ha una motivazione chiara: la ripresa economica è ovunque anemica o inesistente e i mercati scontano una crescita futura inferiore alle previsioni. Negli Stati Uniti in particolare i dati sull’occupazione fanno temere il peggio. Il rischio di una sorta di decennio di bassa crescita stile Giappone anni ‘90 è sempre più elevato e i mercati naturalmente ne risentono. La spesa e l’indebitamento pubblico americano influiscono sui mercati mondiali solo nel medio-lungo periodo, se è vero che essi sono una delle cause della scarsa crescita.
Anche la situazione italiana è chiara: basta non avere paura di guardare in faccia i fatti, anche quando non ci piacciono. Il Paese non cresce da almeno 15 anni. Le cause strutturali della mancata crescita sono ovvie ai più: il mercato del lavoro è ingessato e conflittuale, i servizi pubblici sono inefficienti (basti pensare alla giustizia civile), il carico fiscale è soffocante e reso iniquo dall’evasione, le rendite e la corruzione sono rampanti, il sistema produttivo è mal posizionato nella competizione internazionale. Nulla di nuovo; ma in generale una congiuntura mondiale sfavorevole ha effetti più gravi sui Paesi più deboli e quindi i mercati caricano sull’Italia maggiormente che su altri Paesi gli effetti del ridimensionamento della crescita globale (che l’Italia abbia retto meglio di altri in Europa la recessione e la crisi è refrain comune ma, dati alla mano, semplicemente falso).
Infine, l’Italia ha un debito pubblico ipertrofico che la espone ad ogni tempesta finanziaria e che nessun governo ha mai tentato seriamente di affrontare (che l’Italia abbia mantenuto i conti in ordine in questi ultimi anni è un altro refrain comune ma, dati alla mano, semplicemente falso). Se è vero che la ricchezza privata italiana è elevata, è anche vero che il carico fiscale è tale da non lasciare alcun reale margine di manovra fiscale che non comporti ingenti (e dolorosi) tagli alla spesa. La manovra di luglio ha chiaramente dimostrato che il Paese ed il suo sistema politico non sono in grado di produrre quell’inversione nella politica fiscale che sarebbe necessaria: invece di affrontare il problema, o anche solo di riconoscerlo, il governo ha deciso di rimandare a dopo le elezioni, prevedendo di perderle, ogni reale aggiustamento.
La questione degli speculatori che affossano il nostro debito e le nostre banche (che tanta parte di quel debito hanno in portafoglio), mi spiace dirlo, non è che una favola per anime semplici: chi si appresti a prestare denaro al Tesoro italiano richiede tassi elevati perché la crisi della Grecia, l’incapacità dell’Unione Europea a gestirla, e soprattutto la manovra fiscale di luglio hanno reso più probabile che i conti italiani non siano riordinati a medio termine. Non fossimo nell’euro avremmo già svalutato (cioè ripagato i debitori con valuta deprezzata, che equivale ad un parziale default). Senza riordinare i conti, una qualche forma di default parziale è inevitabile e chi presta soldi all’Italia lo fa solo ad un tasso che sconti una probabilità di tale default.
La retorica anche poco originale del capro espiatorio, siano gli Stati Uniti che fanno default o gli speculatori che fanno soldi, non ci aiuterà. È il momento dei fatti.
da La Stampa
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“Un deficit di credibilità”, di Tito Boeri
Ieri lo spread fra i Btp e i Bund decennali ha raggiunto un nuovo massimo storico: 355 punti base. I titoli bancari sono stati più volte rinviati per eccessi di ribasso. Per poi chiudere mediamente con perdite del 7-8 percento, affondate dalla svalutazione dei titoli di Stato che detengono massicciamente in portafoglio. Non sappiamo se almeno in questi giorni drammatici il Ministro dell´Economia ha deciso di rimanere a Roma per monitorare da vicino la situazione. Stando a quanto ha candidamente dichiarato in questi giorni, non passa da anni più di tre notti alla settimana nella capitale nonostante gli enormi poteri che ha accentrato su di sè in sette degli ultimi dieci anni.
Quello che sappiamo è che il sito del Ministero del Tesoro continua a essere clamorosamente privo di note che rassicurino gli investitori, tranquillizzandoli anche dopo la cancellazione dell´asta di metà agosto. In un Paese con un debito pubblico come il nostro, il confine fra crisi di liquidità e crisi di insolvenza è molto labile. I siti del Tesoro spagnolo, greco e portoghese, gli altri Paesi ritenuti a rischio di insolvenza, sono ricchi di documenti che illustrano le riforme varate per rilanciare la competitività.
Da noi si è fatto davvero poco in questi anni e nulla negli ultimi mesi per sostenere la crescita, ma si poteva almeno ‘vendere´ l´accordo raggiunto dalle parti sociali a inizio luglio, che definisce nuove regole per la contrattazione collettiva e le rappresentanze sindacali. È una riforma importante per chi vuole investire sull´Italia, perché migliora grandemente le relazioni industriali nel nostro Paese. Forse non si è voluto scrivere nulla a riguardo sul sito del Tesoro perché il nostro esecutivo non ha avuto alcun merito nell´accordo, se non quello di essersi tenuto fuori dalla trattativa. Al di là del contingente, quello che oggi serve di più è dare un segnale di svolta, di maggiore attenzione rispetto ai problemi strutturali del nostro Paese. Significativamente gli spread si sono allargati soprattutto sulle scadenze più lunghe, segnale del fatto che le preoccupazioni degli investitori riguardano soprattutto le prospettive di crescita a medio termine. Vuol dire che possiamo ancora farcela, ma che abbiamo pochissimo tempo a disposizione. Purtroppo l´attenzione del nostro esecutivo continua ad essere rivolta altrove. Mentre la crisi di credibilità si accentuava, il governo pensava a far approvare l´ennesimo provvedimento ad personam sul processo lungo. Chi ad personam colpisce, ad personam perisce: il mercato ormai ci valuta sulle persone più che sulle politiche, come se fossimo un paese sudamericano, dove contano gli individui e non le istituzioni. È un errore perché oggi in Italia c´è continuità tra centrodestra e centrosinistra nel mantenere rigore nella gestione dei conti pubblici. Ma questo è stato il Governo più ad personam della storia repubblicana. La personalizzazione delle valutazioni sull´Italia è anche dovuta alla strategia comunicativa seguita dal nostro Ministro dell´Economia che, per salvare la sua posizione all interno di una maggioranza sempre più rissosa, ha più volte sostenuto che dopo di lui c´è solo il diluvio, che la sua presenza in via XX settembre è fondamentale per tenere la barra dritta nella gestione dei conti pubblici.
È il messaggio peggiore che oggi andava dato ai mercati, un segno di a che punto si è spinta l´irresponsabilità dei membri del nostro esecutivo, anche quelli ritenuti fino a poco tempo fa più affidabili. Un altro messaggio sbagliato dato ai mercati in questi giorni dal governo per salvare la sua pelle ai danni del Paese è quello che la crisi ha cause esterne e che potrà essere risolta solo con un intervento adeguato dell´Unione Europea. È un messaggio che può servire a difendersi dalle accuse di stare con le mani in mano mentre il Paese va alla deriva ma che dice a chi sta valutando se ricomprare o meno i nostri titoli alla scadenza che l Italia è ormai fortemente a rischio. Tutti sanno infatti che il nostro Paese e «too big to save», troppo grande per essere salvato da interventi comunitari. Deve farcela da solo. E anche un messaggio falso per fortuna. Possiamo davvero farcela da soli perché le cause della crisi sono nei nostri problemi strutturali, cui possiamo solo noi porre rimedio. Anche l´alibi della crisi del debito Usa, dopo il pur fragile accordo trovato al Congresso fra democratici e repubblicani sul tetto all indebitamento, è ormai caduto. Per favore allora smettiamola di parlare di speculazione e di pensare a ergere difese contro gli investitori stranieri che potrebbero comprare le aziende italiane. Abbiamo bisogno di più investitori stranieri non certo di meno in questo frangente. E la nostra è una crisi di credibilità, che possiamo risolvere solo con politiche e, a questo punto, anche persone credibili. Non può più esserlo chi ha ripetutamente dimostrato di anteporre la propria sopravvivenza personale alle sorti del Paese.
da La Repubblica del 2 agosto 2011