L’indulto venne approvato con 245 sì, 56 no, 6 astenuti. In cinque anni solo il 33,92% dei detenuti beneficiati dal provvedimento è rientrato in cella. Mentre la quota di chi non ne ha usufruito è al 68,45%. Gli italiani tornati a commettere reati superano di 13 punti gli stranieri. se, alla resa dei conti, il tanto bistrattato indulto del 2006 si rivelasse un provvedimento parziale, ma – oltre che sacrosanto – assai utile? Una misura, gravata da limiti e carenze, ma efficace e, soprattutto, molto meno nociva sul piano sociale di quanto si sia detto e scritto. In effetti, quel provvedimento di clemenza è stato uno dei più controversi e diffamati dell’intera legislazione repubblicana. Approvato, come prescrive la norma da i due terzi del Parlamento (oltre l’80%), è stato misconosciuto dalla gran parte di coloro che lo votarono. Mai una legge che aveva avuto tanti padri e madri era stata così repentinamente rinnegata dai legittimi genitori. Molte le ragioni. In primo luogo, il carattere parziale del provvedimento, non accompagnato da una contestuale amnistia (che avrebbe potuto ridurre il numero dei procedimenti e alleviare il lavoro dei giudici), e non sostenuto da adeguate misure di accoglienza e di integrazione per gli scarcerati. Ma, soprattutto, a pesare sull’opinione pubblica e a determinare quel ripudio da parte del legislatore furono due fattori: l’incapacità di reggere l’impatto che i reati commessi dagli indultati avrebbe avuto sul senso collettivo di insicurezza e la contestuale e irresponsabile campagna mediatica.
È decisivo ricordare che, dal 2006 al 2007 (periodo che comprende i mesi successivi all’approvazione dell’indulto) l’informazione televisiva nazionale sulla cronaca nera passa dal 10,7% al 23,7% (come ha documentato il centro di ascolto di Gianni Betto). Inevitabilmenteun simile affollarsi di “notizie criminali” crea una sensazione di ansia collettiva e di allarme sociale, tali da esigere l’individuazione di una causa (l’indulto, appunto) e la demonizzazione di quanti avrebbero contribuito a determinarla (sia i parlamentari che vollero quella misura sia chi di essa beneficiò). Ma, a distanza di 5 anni, una ricerca condotta da Giovanni Torrente e da chi scrive per conto di A Buon Diritto onlus, mostra una realtà tutt’affatto diversa: e quanto quella percezione di insicurezza generalizzata fosse alterata e frutto di manipolazione. La premessa è che indulto e amnistia sono, per loro stessa natura, misure di eccezione per un tempo d’eccezione. Ovvero provvedimenti di emergenza per una situazione estrema, in attesa che si ponga mano alle riforme strutturali: le uniche, come è ovvio, che possano risolvere davvero le grandi questioni dell’amministrazione della Giustizia e dell’esecuzione della pena. Ma intanto esaminiamo le conseguenze del provvedimento d’eccezione del 2006, con riferimento al principale allarme allora diffuso: «escono dal carcere e tornano a delinquere». La ricerca prima ricordata affronta di petto proprio questo nodo, permettendo di verificare come quella misura, pur con tutti i suoi limiti, ebbe un esito positivo. L’indulto ridusse l’entità della popolazione detenuta per un periodo di tempo sufficiente a impedire che il disastro si traducesse in una tragedia e che, dai quasi 62mila reclusi, si arrivasse a 80mila.Ma il risultato più significativo è forse un altro. La recidiva dei beneficiari dell’indulto si attesta sul 33,92%. Una percentuale elevata ma da confrontare con quella relativa alla recidiva tra quanti non hanno beneficiato dell’indulto. L’unica rilevazione sul lungo periodo al riguardo è quella dell’Ufficio Statistico del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, che ha mostrato come il 68,45% dei soggetti scarcerati nel 1998, nei successivi 7 anni, sia rientrato in carcere una o più volte. Siamo dunque a una percentuale più che doppia. E questo conferma una tesi avanzata verso la fine degli anni ’70 dal Centro Nazionale di prevenzione e difesa sociale, presieduto da Alfonso Beria d’Argentine: i provvedimenti di clemenza approvati in quegli anni non avrebbero provocato un aumento della recidiva.
Ma la nostra ricerca riserva altre sorprese. Intanto va notato (pur se si tratta di dati ancora parziali) che la recidiva cala ulteriormente tra coloro che beneficiano dell’indulto mentre si trovano sottoposti a una misura alternativa al carcere. In altre parole, scontare la pena in condizioni meno afflittive e meno disumane può contribuire alla riabilitazione sociale (e a non reiterare il reato). Ancora. Il tasso di recidiva fra gli italiani è di circa 13 punti percentuali superiore a quello degli stranieri. Quest’ultima circostanza svela, in maniera inequivocabile, quanto gli stereotipi – e le campagne politiche fondate sugli stessi – possono avere le gambedavvero corte.
P.S. Per riprendere il discorso sulle riforme strutturali, che vadano oltre lo stato d’emergenza, è utile partire dall’intervista rilasciata dal nuovo ministro della Giustizia Francesco Nitto Palma al Corriere della Sera. Il ministro affermala necessità di «un programma di depenalizzazione dei reati minori e contro l’ «eccessiva criminalizzazione»: il fatto, cioè, «che le leggi prevedono la sanzione penale per violazioni» che andrebbero punite con «sanzioni amministrative o civili». Parole sante. Che coincidono puntualmente con quanto è stato raccomandato, con inappuntabili argomenti, dalle relazioni conclusive delle Commissioni per la riforma del Codice penale, presiedute prima da Carlo Nordio (centro destra) e poi da
Giuliano Pisapia (centro sinistra), su incarico rispettivamente del governo Berlusconi (2001-2006) e del governo Prodi (2006-2008).
Ma è impossibile non far notare al ministro Nitto Palma che il governo del quale entra a far parte ha operato in senso esattamente opposto. Valga un esempio: illeciti amministrativi, quali erano fino a
due anni fa, ingresso e soggiorno irregolari in Italia sono stati trasformati in fattispecie penale, con relativa detenzione. Il che ha portato in cella migliaia e migliaia di stranieri, responsabili di «violazioni» che andrebbero punite, al più, «con sanzioni amministrative o civili». Ecco una manifestazione di «eccessiva criminalizzazione» che, oltre a gridare vendetta davanti a Dio e agli uomini, incrementa il sovraffollamento del sistema penitenziario. Con esiti che sono sotto gli occhi di chi li vuole vedere.
L’Unità 29.07.11