Troppi gli stranieri: secondo la legge non devono superare il 30%. Hanno deciso di chiudere la scuola elementare più multietnica d’Italia: la statale «Lombardo Radice» di via Pier Alessandro Paravia 83 a Milano. Il motivo: gli stranieri sono troppi. Dall’anno prossimo non ci sarà più la prima elementare, il che vuol dire che fra cinque anni la scuola si estinguerà.
Eppure era ritenuta un modello riuscito di integrazione, più volte premiata dalla Regione. I genitori e i bambini ne erano entusiasti. Le insegnanti avevano preso il loro compito quasi come una missione. Ma sembra che l’Ufficio scolastico territoriale di Milano non voglia sentire ragioni: una lettera, giunta all’istituto la scorsa settimana, ha gelato le speranze di bambini e genitori: «Cercatevi un’altra scuola».
La storia va raccontata dall’inizio. Via Paravia è nel quartiere San Siro. Un quartiere da sempre diviso in due: da una parte una Milano benestante, dall’altra una Milano di immigrati. In un simile contesto, la scuola elementare «Lombardo Radice» è da tempo un luogo di incontro. Negli anni Sessanta e Settanta fra bambini milanesi e bambini napoletani («i figli dei cavalli», li chiamavano, perché i loro padri facevano gli stallieri all’ippodromo di San Siro). Da qualche anno a questa parte, l’incontro è fra bambini italiani e bambini stranieri; e perfino fra stranieri di diverse nazionalità. Nessuna scuola in Italia è infatti più multietnica di questa. Su 93 alunni, 80 sono stranieri, di ben sedici nazionalità diverse. Figli di gente che vive a volte alle soglie della povertà, nelle case popolari dell’Aler di fronte alla scuola.
All’inizio di aprile a scuola arriva un decreto dell’Ufficio territoriale che dice: dall’anno prossimo la prima non si fa più, i bambini vadano o alla Brocchi o alla Cabrini, oppure i genitori si scelgano loro un’altra destinazione. I genitori vengono informati dalla direttrice della scuola alla presenza del consiglio di circolo. La notizia getta tutti nello sconforto. Qualcuno si mette a piangere. La Brocchi è lontana 4,6 chilometri, la Cabrini 2,3. Ma la difficoltà dello spostamento non è la cosa più grave. Quel che preoccupa è la chiusura di una scuola che per i bambini e le famiglie da anni rappresentava l’unica possibilità di un vero inserimento in Italia. Forse l’unica presenza dello Stato nel quartiere.
Alla prima elementare dell’anno scolastico 2011-2012 si erano iscritti diciotto bambini. Per fare una classe ne basterebbero quindici. Ma nel decreto si fa riferimento alla nuova legge che fissa un tetto del 30 per cento di stranieri per ogni classe. Una decisione dunque inevitabile? Domenico Morfino – un genitore, membro del consiglio di circolo – e Diana De Marchi, consigliera provinciale del Pd, assicurano che non è così. Che sono possibili deroghe se i bambini stranieri sono comunque nati in Italia e se hanno frequentato due anni di scuole italiane, anche materne. «Se si adottasse rigidamente la legge, senza dare deroghe, a Milano dovrebbero chiudere 40 scuole elementari, 24 medie e 16 istituti superiori», dice Diana De Marchi. Degli 80 bambini stranieri della scuola «Lombardo Radice», 59 sono nati in Italia.
Ricevuto il decreto di aprile, parte la protesta. Il 7 maggio c’è nel quartiere una manifestazione che è un modello di trasversalità. Partecipano tutti: italiani, stranieri delle più diverse religioni, il parroco don Roberto, le suore della scuola cattolica, il senatore del Pd Ignazio Marino, anche qualche leghista. Tutti vogliono che la scuola non chiuda. In pochi giorni si raccolgono 1081 firme. I bambini scrivono al presidente Napolitano, che risponde con una lettera.
Viene chiesto un incontro con il dirigente dell’Ufficio scolastico territoriale (per capirci: quello che un tempo si chiamava il provveditore) Giuseppe Petralia. «Ci siamo visti ai primi di maggio, è stato molto comprensivo e disponibile», dice Diana De Marchi. «Ha aggiunto che entro un mese ci avrebbe fatto sapere». «Ma da allora – aggiunge Domenico Morfino – non ci ha più risposto, se non con la lettera della scorsa settimana, firmata dal suo ufficio, che sollecita i genitori a indicare quali siano le altre scuole prescelte».
Il provveditore Petralia non ha risposto neppure a noi. Ci ha risposto invece il ministro Gelmini, che così spiega perché non sarebbe possibile una nuova deroga: «Le deroghe si danno se la quota di stranieri è un po’ superiore al trenta per cento. Ma dall’Ufficio territoriale di Milano mi hanno detto che la nuova prima classe sarebbe stata composta al cento per cento da stranieri: e così sarebbe stata una situazione difficilmente gestibile. Non vogliamo discriminare nessuno, ma abbiamo pensato che fosse meglio così per tutti. L’Ufficio di Milano mi ha assicurato che i bambini andranno in scuole vicine».
I genitori andranno ora per avvocati: è già pronto il ricorso al giudice di pace. In via Paravia nessuno vuole rinunciare alla scuola che ha fatto sentire italiani questi bambini.
La Stampa 29.07.11