L’Organizzazione contesta il vecchio sistema di far ripetere l’anno scolastico: rafforza le diseguaglianze e pesa sui bilanci. L’Austria vuole abolirlo, la Francia discute la riforma. L’Italia ventiduesima nella classifica dei Paesi più severi. Tutti promossi. Non è il nuovo slogan degli studenti fannulloni ma il suggerimento, molto serio, dell’ultimo rapporto Ocse sull’organizzazione dei principali sistemi educativi nel mondo. Lo studio conferma quello che molti esperti vanno dicendo ormai da anni. Ripetere un anno di scuola non sempre serve a recuperare il ritardo sul programma. Anzi, spesso è un modo di penalizzare ancora di più l’alunno in difficoltà. Numeri alla mano, l’organizzazione internazionale dimostra che laddove esistono molti “ripetenti” peggiorano i risultati complessivi delle classi e, in finale, anche la percentuale degli alunni che riescono a diplomarsi. Se anziché bocciare si organizzano corsi di recupero personalizzati o altre misure di sostegno (succede per esempio in Finlandia o in Gran Bretagna), allora l’efficienza nello studio migliora e il ritardo didattico può scomparire.
Come il voto e le pagelle, la bocciatura fa parte di una scuola “all’antica” oggi rimessa in discussione. In Europa, alcuni paesi si stanno già distaccando dal vecchio modello. L’Austria ha annunciato che abolirà le bocciature dall’anno prossimo mentre in Francia, con record di “ripetenti” sul continente, si discute una possibile riforma. E pazienza per chi sostiene, come il ministro Gelmini, che ci sia il rischio di essere troppo “buonisti”. “Sono contraria ad una scuola modello ’68 che non distingue chi si impegna e merita dai lavativi, che promuove tutti senza differenze”.
“Nei paesi in cui un maggior numero di studenti ripete gli anni scolastici – osserva l’Ocse – la performance globale tende ad essere inferiore, e il background sociale ha un impatto maggiore sui risultati di apprendimento”. Ovvero: la bocciatura rafforza le disuguaglianze, emargina ancora di più quei bambini o ragazzi con problemi scolastici. I ragazzi che devono ripetere l’anno non vengono quasi mai seguiti individualmente, perdono fiducia in se stessi e si allontanano dallo studio. Eppure, nonostante le tante critiche, continua a essere una tendenza diffusa. Secondo la classifica Pisa – che valuta i sistemi educativi nell’area Ocse – più di uno studente su dieci (il 13%) è stato bocciato almeno una volta nel suo percorso di studio. Il 7% alle elementari, il 6% alle scuole medie e il 2% al liceo. L’Italia si colloca appena al di sopra della media Ocse, con una percentuale di allievi bocciati del 18%. I ricercatori danno inoltre un giudizio negativo su un’altra pratica comunemente utilizzata per trattare gli studenti che vanno male a scuola, o hanno un comportamento inadeguato: il trasferimento in altre strutture scolastiche. Un metodo che, scrivono, “tende ad essere associato con una segregazione nel sistema scolastico, in cui gli studenti che provengono da contesti avvantaggiati finiscono in scuole con risultati migliori mentre quelli di origini svantaggiate finiscono in scuole peggiori”.
L’Ocse raccomanda anche maggiore elasticità da parte dei dirigenti scolastici sulla valutazione di fine anno, in base a criteri meno rigidi. Laddove i presidi hanno infatti più autonomia nel decidere la promozione, spesso vengono agevolati percorsi di accompagnamento che incentivano gli alunni più in difficoltà. Ultimo argomento: bocciare costa. Oltre a non garantire il progresso educativo, far ripetere un anno scolastico pesa sui bilanci dell’Istruzione pubblica, proprio in un momento di crisi economica e tagli alle scuole. Ogni bocciatura, hanno calcolato gli esperti dell’Ocse, costa in media tra i 10 e i 15 mila dollari annuali. In paesi come la Spagna, il Belgio o l’Olanda, i “ripetenti” incidono sul 10% del budget complessivo per l’educazione. Un altro effetto di lungo termine, registrato dall’Ocse, è il ritardato ingresso dello studente nel mondo del lavoro e la diminuzione di manodopera qualificata. Se le bocciature si ripetono nel ciclo scolastico, gli alunni tendono ad abbandonare lo studio, già prima del diploma. Un fallimento. Non solo per loro.
La Repubblica 26.07.11