Un recente rapporto stima il fatturato della cultura, nella Ue, sui 650 miliardi di euro, contro i 250 dell’industria dell’auto. E però, da noi, la cultura è sotto lo zero rispetto alla Fiat. Secondo lo stesso rapporto, la cultura produce il 2,6% del Pil europeo, contro il 2,1 delle attività immobiliari. E però – grazie all’immobiliarista
Berlusconi – da noi la politica edilizia pesa tanto e la cultura niente. Nonostante 3500 musei, 500.000 complessi storici (il dato è del segretario generale del MiBAC, Roberto Cecchi), 95.000 fra chiese e cappelle, 2.100 aree archeologiche, ecc. Che muovono un terzo di tutto il turismo il quale, da solo, contribuisce al Pil quasi come la
tanto esaltata edilizia. Nella crisi in atto, Francia e Germania hanno accresciuto gli investimenti nella cultura considerata motore di creatività e di sviluppo. Da noi il governo li ha assurdamente tagliati: dal 2004 a oggi la spesa del MiBAC è scesa dallo 0,34 (ed era già poco) allo 0,21% del bilancio statale, ultimo posto nella Ue.
Al non-governo generale si è sommata la latitanza, anche fisica e quindi decisionale, del ministro Sandro Bondi, tardivamente sostituito. Con nuna serie di commissariamenti straordinari, egli ha però espropriato le Soprintendenze (dall’Aquila a Pompei, alla
Domus Aurea), con crolli, manomissioni e/o paralisi. La dissennata politica di esodi di dirigenti di alta professionalità ha disossato la tutela. Ben 31 Soprintendenze sono gestite “ad interim” da titolari di altre aree. Aggiungeteci la drastica diminuzione di risorse già misere, e avrete un Belpaese ferito e allo stremo. Tornano i turisti stranieri e non ci sono i custodi. C’è un (costoso) direttore generale alla Valorizzazione… Gli “interim” riguardano otto Soprintendenze ai Beni architettonici. Come volete che possano contrastare abusi
edilizi, irregolarità di ogni sorta, quanto erode, ogni giorno, un pezzo del nostro ammirato Paese? Bondi aveva giurato di dar corso ai piani paesaggistici Stato-Regioni. Non ha fatto nulla: con grande
sollazzo per gli speculatori e con danno enorme per tutti noi. Poi c’è il grande capitolo dello spettacolo dal vivo, anche questo svenato dal taglio feroce di risorse (dallo Stato ai Comuni costretti a loro volta a ridurre) e dal non-governo. Qui, malgrado un modesto recupero del Fondo Unico per lo Spettacolo, la scure è calata sui teatri lirici più efficienti e più dotati di fondi propri come su quelli immersi in un clientelismo disperante. Senza vero rispetto per i meriti. Il teatro di prosa – che negli ultimi anni aveva incrementato
biglietti e spettatori – sta prendendo una autentica mazzata.
E che dire della multimedialità contagiata dalla crisi produttiva, creativa della Rai sempre meno competitiva, avvilita da spartizioni partitiche sempre più al ribasso? Nella sola Roma, anni fa, c’erano
oltre 100mila addetti al multimediale. Col non-governo, anche qui
la crisi morde, sacrifica nuove professionalità. Una mattanza.
L’Unità 24 07.11